
Accade, a volte, che due esseri si incontrino non per caso, ma per suono. Come strumenti accordati in tonalità diverse che trovano armonia solo nell’ascolto reciproco, Golnar e Pedro hanno intrecciato le loro traiettorie tra distanze, migrazioni e palchi condivisi. Lei, portatrice silenziosa di un’epoca perduta, con lo sguardo dell’Iran nelle dita e nel cuore. Lui, figlio del ritmo popolare e della scena europea, cresciuto tra fiati di festa e teatri illustri. Si sono riconosciuti a Weimar, tra lingue diverse e strumenti accordati, e da allora non hanno più smesso di suonare la vita insieme. Dalle feste popolari della Navarra alle rivoluzioni silenziose di Teheran, dai palcoscenici storici d’Europa alle stanze condivise di Fiume, la loro musica è diventata linguaggio, casa, visione. Insieme creano, insegnano, compongono, costruiscono spazi nuovi, danno forma ai sogni, ma soprattutto custodiscono le proprie radici, coltivando ogni giorno la possibilità di trasformare l’amore in suono, e il suono in appartenenza. Li abbiamo incontrati in una luminosa mattina di sole, per un’intervista che si è presto trasformata in un dialogo intimo, quasi confidenziale. Ci ha emozionato la profondità della loro storia, la gentilezza silenziosa che li accompagna, la loro umiltà sincera e, al tempo stesso, la forza che emana dal loro modo di essere e di creare. Un incontro che, come la loro musica, parla con semplicità al cuore, e lascia una traccia che resta.
Quello che il vento non porta via
Golnar Mohajeri ha esordito raccontando come la sua esistenza abbia subito una trasformazione radicale a partire dal 2012, anno in cui lasciò Teheran per stabilirsi in Europa, un continente che osserva con uno sguardo insieme analitico e sospeso, come si contempla qualcosa al tempo stesso intimo e distante. La sua prima tappa fu la Germania, seguita poi dalla Croazia. Con lucidità disarmante, l’artista ha parlato del suo Paese d’origine, l’Iran, mettendone in luce le profonde contraddizioni e rievocando un passato eterogeneo e tumultuoso, segnato da regimi e rivoluzioni, da monarchie rovesciate e ideologie intransigenti. “Prima che nascessi vigeva il regime dello scià” – ha dichiarato – “una dittatura, certamente, ma il volto del Paese era allora completamente differente. Camminare per Teheran o per Parigi poteva suscitare sensazioni affini: l’architettura mutava, così come la cultura, ma si respirava un’apertura che oggi è venuta meno”. Con il tempo, ha proseguito, quello stesso sistema si è irrigidito, assumendo contorni via via contorni più oppressivi, tantoché l’odierno assetto di potere ha oscurato i volti, soffocato i pensieri, sottratto diritti e libertà fondamentali, in particolare alle donne. E tuttavia, anche in quella apparente quiete dell’assoggettamento, si cela un rifiuto muto ma tenace. In questo contesto, la violoncellista porta dentro di sé una frustrazione silenziosa e persistente, legata al suo Paese e a coloro che ancora vi abitano. “È una tristezza ricorrente, che va e viene. A volte sprofondo e sto male, ma adesso sto meglio. La frustrazione è una costante della mia vita, ma ho imparato a restare in piedi, a rinascere dopo ogni crisi”.
Pedro, che l’Iran ha potuto conoscerlo da vicino, ha annuito, sottolineando come “la società iraniana sia viva, moderna, straordinariamente aperta. È il governo a imporle una maschera deformante. Non è come in altri Paesi, come l’Arabia Saudita, dove anche il tessuto sociale appare repressivo. In Iran le donne sono combattive, molto più emancipate di quanto comunemente si pensi, forse persino più che in alcune nazioni europee”.
Pennellate musicali
Nel momento in cui il discorso è scivolato sulla musica, la voce di Golnar ha cambiato colore, facendosi più morbida, più luminosa, come se evocasse qualcosa di profondamente suo, un respiro antico e familiare. Per lei, cresciuta in una famiglia numerosa di artisti, la musica è sempre stata parte integrante della casa, una presenza viva e discreta. Sua madre, artista nell’anima, suona strumenti tradizionali iraniani e, in gioventù, aveva anche recitato in qualche film. Le melodie scorrevano per le stanze, si mischiavano ai gesti quotidiani, si depositavano nei pensieri: erano parte del paesaggio domestico, come un profumo o una luce che si dà per scontata. Tutti, in famiglia, cantano o suonano qualcosa. “A dodici anni entrai in una scuola di musica, una specie di liceo artistico, e lì conobbi il violoncello. Me ne innamorai. Mi appassionai anche alla teoria, all’armonia, alla storia della musica. Frequentavo concerti, approfondivo, ascoltavo”. In quel clima di scoperta e dedizione, Golnar conserva un ricordo vivido del suo primo debutto, a soli quattordici anni, quando eseguì due brani al pianoforte, a memoria, davanti a un pubblico. Durante l’esibizione, un “Oh!” spontaneo le sfuggì per la sorpresa, e fu un momento rivelatore. Sorrise e imparò.
Nel 2008 si iscrisse all’università a Teheran, in un periodo agitato, quando il Movimento Verde infiammava le piazze, gli atenei, le conversazioni. L’atmosfera politica era densa, e influenzava profondamente anche la vita accademica. I docenti migliori lasciarono le cattedre, e la musicista si ritrovò priva di un insegnante di violoncello. Continuò a studiare privatamente, con un maestro di grande talento, laureato in fisica, che però, non avendo un titolo musicale ufficiale, non poteva essere assunto. Fu un periodo di frustrazione. A diciannove anni desiderava imparare, esibirsi, crescere, ma intuiva che, restando, avrebbe presto dovuto insegnare per sopravvivere. “Con alcuni amici formammo un trio, una piccola orchestra d’archi, ma ottenere i permessi per suonare era un’impresa. A volte i concerti venivano cancellati all’ultimo momento”, ha raccontato. Fu allora che maturò la decisione di trasferirsi in Germania per proseguire gli studi, con l’idea, inizialmente, di fare ritorno. Ma poi la vita, come spesso accade,le ha indicato un’altra via.
Dalle strade di festa alla scena europea
Pedro ha seguito un percorso molto diverso, ma ugualmente mosso da passione. Ha ricordato – “Avevo sei anni quando iniziai con il pianoforte, ma presto lo abbandonai per le percussioni. Volevo entrare nella banda del mio villaggio, vicino a Pamplona, che rappresentava una profonda parte identitaria”. Con alcuni amici formò una “charanga”, una piccola banda da strada tipicamente spagnola, composta da una decina di elementi, con la quale suonavano alle feste, tra la gente, per le strade, eseguendo musiche popolari che facevano ballare chiunque le ascoltasse. Parallelamente frequentava il Conservatorio, dove scoprì la magia del palco e la forza delle reazioni del pubblico, e da lì il desiderio di continuare non lo lasciò più.
Ben presto vinse un concorso di musica da camera, e fu proprio un membro della giuria a metterlo in contatto con un professore a Weimar. Grazie a una borsa Erasmus partì per la Germania, si iscrisse come studente regolare e finì per stabilirvisi. Diversamente da Golnar, nella sua famiglia non vi sono musicisti di professione. Tuttavia, il padre, appassionato dilettante, tornò a suonare il violino dopo i quarant’anni, forse ispirato proprio dal figlio e dalla sua compagna. Anche i suoi fratelli avevano studiato musica, ma solo lui l’ha trasformata nella propria vocazione.
Destini in musica
Accadde a Weimar, nel 2014, che i loro destini iniziarono a intrecciarsi in silenzio, tra il suono degli archi e parole in lingue diverse. Lei guidava gli studenti Erasmus attraverso i labirinti di una nuova vita; lui dava voce al proprio talento nella Stadtkapelle orchestra e rincorreva audizioni nelle sale d’Europa. Undici anni più tardi, le loro vite hanno trovato un approdo comune sulle rive adriatiche di Fiume, dove la loro unione sembra aver posto radici profonde.
“Nel 2018 ottenni un posto tramite audizione proprio a Fiume” – ha narrato Pedro con la serenità di chi ha fatto pace con il proprio percorso – “avevo intenzione di restare un anno, giusto il tempo di provare”. Ma il destino aveva altri piani. Con l’arrivo della pandemia, tutto cambiò. Golnar si trovava ancora in Germania, intenta a concludere il suo master. Il 2020 segnò il momento del ricongiungimento, grazie a un imprevisto colmo di possibilità: una cara amica violoncellista, in attesa di un figlio, le offrì la possibilità di sostituirla per un periodo. Un’occasione provvidenziale che si sovrappose, con crudele ironia, all’interruzione della sua borsa di studio. “Il mio concerto di diploma fu annullato, così come l’esame finale – ha ricordato Golnar – e con essi si spense anche il sostegno economico. Non sapevo più quale strada prendere”. La pandemia si trasformò così in un passaggio obbligato tra incertezza e speranza, un tempo sospeso fatto di voli cancellati, documenti in scadenza, distanze che sembravano incolmabili. “L’invito da Fiume fu per me come una luce nel buio – ha confessato – sono stata fortunata. Due anni più tardi, vinsi il concorso per un posto fisso. Ora siamo entrambi qui, insieme”.
Fiume, armonia quotidiana
Oggi parlano della città con gratitudine sincera, come si parla di un rifugio inatteso. Golnar, violoncellista dall’anima sensibile, si è innamorata del mare che lambisce le coste, del clima gentile, del verde che esplode nella natura intorno. Ammira la stratificazione architettonica del luogo, silenziosa testimone del passaggio di tanti popoli. Eppure, qualcosa a volte le manca. “Fiume è piccola. Vorrei ci fossero più eventi culturali, ma so anche che non si può avere tutto”. Pedro, invece, sottolinea la centralità geografica del capoluogo quarnerino, la sua apertura al mondo, la facilità con cui si può viaggiare verso l’Austria, la Macedonia, la Grecia. Coglie nell’aria la complessità della storia fiumana, la sua anima multilingue e mutevole. Ricorda con emozione il docu-film “Fiume o morte” di Igor Bezinović, visto di recente, e le storie di coloro che hanno imparato nuove lingue per sopravvivere, per giocare, per amare. “Qui i bambini parlano tre o quattro lingue, è meraviglioso”. Tra i ricordi più scintillanti, il percussionista evoca il primo concerto con l’Orchestra sinfonica dello Zajc, l'”Aida” presentata a Pola. Le prove furono un piccolo caos, mancavano tecnici, i microfoni si fecero attendere. Tuttavia, contro ogni previsione, lo spettacolo fu un trionfo. “Dopo lo spettacolo, affittammo un appartamento e ci prendemmo il tempo di visitare le isole Brioni. Un ricordo che custodisco con tenerezza”. Ora, i due musicisti confermano di voler restare. Hanno appena acquistato casa. Un gesto semplice, eppure potentissimo. Come una nota lunga che segna la fine di un movimento e l’inizio di una nuova sinfonia.
ReVibrant tra echi e visioni
Tra le molteplici fioriture artistiche sbocciate a Fiume, una si distingue per la sua forza visionaria e la sua inquieta bellezza contemporanea. Il progetto prende il nome di ReVibrant, un’esperienza sonora che fonde musica sperimentale e ricerca timbrica in un corpo unico, pulsante, in continua metamorfosi. Al fianco di Pedro, uno dei suoi ideatori, vi è il violinista Osman Eyublu, con cui nacque sin da subito una sintonia profonda, tanto sul piano umano quanto su quello artistico. L’ensemble, che ha portato le proprie vibrazioni in diversi spazi della città, si è successivamente arricchito con l’arrivo di Mohajero, e insieme hanno dato forma a numerosi progetti, contaminazioni, invenzioni.
“Un anno fa, con Osman, abbiamo fondato anche la Filarmonica da Camera di Fiume – ha rimarcato l’artista spagnolo, con l’orgoglio discreto di chi crede nella forma collettiva dell’arte – un ensemble flessibile, composto da diciotto musicisti. Non si tratta di un’orchestra classica, ma di una formazione aperta, capace di accogliere progetti di ogni natura”. Con questa formazione, portano la musica in angoli intimi della città, la diffondono nella regione e anche oltre confine, in Europa. Il debutto ufficiale risale all’aprile del 2024 con “Il coniglio di velluto”, spettacolo poetico in cui Pedro ha firmato le musiche e Deni Sanković ha narrato la storia sul palcoscenico. “È stata un’esperienza indimenticabile – ha confidato – vorremmo tanto riproporlo, ma purtroppo manca la volontà concreta di investire in questi progetti”.
Palcoscenico, luogo dell’anima
C’è una luce particolare nei loro occhi quando il discorso cade sul palco. Per loro è uno spazio sacro, un punto di convergenza dove tutto si riallaccia, dove l’interiorità trova forma, dove ogni nota racconta un frammento di sé. Pedro ne ama la varietà, la natura cangiante. Trova rilassante suonare nella buca d’orchestra durante un’opera, ma nel sinfonico avverte l’urgenza della massima concentrazione. La musica da camera, invece, gli offre un’intimità preziosa, affine a quella del teatro, un rapporto viscerale con l’altro.”Se siamo in tre, ogni sguardo ti cerca. La tua presenza si trasforma in gesto, in narrazione. Un anno fa ho suonato un concerto per xilofono solista, la mia prima volta davanti all’orchestra. Un’altra dimensione. L’ho adorata”. Per Golnar, l’esperienza si colora inizialmente di tensione. L’energia che la attraversa prima di salire sulla scena con piccoli ensemble è un nervosismo emozionato, che però si dissolve non appena inizia a suonare. “Quando suono, è come allungare la vita”, ha sussurrato, con l’intensità di chi conosce il peso delle parole. Il legame con il teatro affonda anche nelle sue radici più intime. Nel 2019, tornata in Iran, prese parte a una produzione teatrale scritta da una cugina, attrice professionista scomparsa prematuramente, che la famiglia volle ricordare riportandone in scena le parole. “Recitavamo, suonavamo strumenti tradizionali del nord dell’Iran, cantavamo. Era uno spettacolo breve ma denso, poeticamente ricco, emotivamente stratificato. Ogni sera dovevamo sostenere lo stesso livello di intensità e, se qualcosa cambiava, improvvisare. Ma accade anche nella musica. Lei insegna a farlo, proprio come la vita, quando tutto sfugge al controllo”.
Vite in concerto
Condividere la vita e il lavoro, per Golnar e Pedro, non è una fatica, ma una danza ben accordata, una consuetudine serena costruita sul rispetto e sull’ascolto reciproco. Si conoscono profondamente, si stimano, si accompagnano. “In realtà siamo quasi sempre insieme – ha riferito la violoncellista con un sorriso lieve – solo quando Pedro ha un concerto fuori città ci separiamo. Di solito lavoriamo fianco a fianco. Molti dicono che sia complicato, ma per noi è naturale”. Suonano in duo, mescolando le rispettive energie creative. Le tensioni esistono, come in ogni processo autentico, ma sono parte del viaggio, motori invisibili che spingono la musica a cercare nuove forme. “A volte è il tono di voce di Pedro a creare attrito”, ha scherzato Golnar, che si definisce drammatica e lenta nei modi, mentre lui si riconosce testardo, ma sempre pronto a sorridere. “Probabilmente sono troppo diretto – ha rivelato l’artista – ma se qualcosa non va, bisogna dirlo. Non è cattiveria, è necessità. Abbiamo due settimane per prepararci, non due anni. Sì, sono molto testardo, ambizioso, dedito fino in fondo”.
Eppure, ciò che davvero commuove è il modo in cui le loro radici, pur immerse in vite itineranti, non si spezzano mai. Le portano con sé, le custodiscono nei gesti quotidiani, nei sapori che si ripetono come rituali, nelle tradizioni che li riconnettono alla propria origine. Golnar cucina piatti della sua infanzia iraniana e celebra le feste del proprio calendario con cura e poesia: il Nowruz, l’arrivo della primavera, le notti più lunghe dell’anno riempite di melograni, riso, frittate alle erbe, pesce speziato, tortilla iraniana. Pedro risponde con la forza solare della cucina spagnola, tradotta in tortilla de patata, empanada, jamón serrano, garbanzos con chorizo. Un amico spagnolo lo rifornisce di prelibatezze iberiche, piccole ancore di memoria. Li accomuna il desiderio di condividere: aprono la loro casa, invitano amici, mescolano lingue, sapori e ricordi, come in una sinfonia intima che parla molte lingue ma ha un solo cuore.
Luoghi da inventare
Quando si parla di futuro, la loro voce si fa chiara e appassionata. I sogni sono orizzonti da esplorare, visioni che aspettano il momento giusto per diventare materia. Dopo l’estate, porteranno un concerto educativo alla Casa dell’Infanzia, sostenuto dalla Città. Pedro comporrà la musica, e insieme a Osman interpreteranno in musica e parole il ritorno di Marco Polo dal Giappone, intessendo brani tradizionali provenienti dalla Cina, dall’Asia centrale, dal Medio Oriente. “Saremo anche attori – hanno affermato con entusiasmo – racconteremo storie mentre suoniamo. È un progetto in cui crediamo molto”.
Ma l’ambizione più grande, quella che pulsa nel profondo, è l’indipendenza artistica. Pedro immagina piccoli spettacoli, ispirati al microteatro di Madrid. “Era una vecchia casa di tolleranza, ora ristrutturata, con stanze minuscole, in cui si esibiscono attori per pochi spettatori alla volta. Io immagino qualcosa di simile, ma con danza, teatro e musica. Una performance intima, un astante alla volta. Poi si esce, si torna al bar, si conversa, si condivide. A Fiume funzionerebbe, ma realizzarlo è difficile. Servono spazi, fondi, tempo”.
Golnar, con un desiderio che nasce dalla nostalgia, sogna invece di tornare a suonare in Iran. “Mi manca la mia famiglia. Li vedo solo una volta all’anno. Vorrei portare lì i nostri progetti, farli assistere dal vivo a ciò che creiamo insieme”. Ama profondamente quello che fa con il compagno, anche quando tutto si complica, anche quando la pressione cresce. Anzi, proprio lì, tra stress e responsabilità, tra il bisogno di fare bene e quello di osare, sente che qualcosa prende forma. Qualcosa di vivo. E mentre parlano, immaginano, ricordano, Golnar e Pedro continuano a fare ciò che meglio li racconta: suonano la vita, la esplorano come se fosse una partitura infinita. Insieme, ogni giorno, nota dopo nota.
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