Un tenero amore contro i carri armati

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Un tenero amore contro i carri armati

Non c’è spazio per il sogno laddove alberga l’ingiustizia, né per l’amicizia e tantomeno per l’amore che però si ritrovano, schiacciati e intimiditi, nella militanza, nel coraggio di reagire, di scendere in piazza, di parlare alla radio perché la gente conosca la verità.

Sessantadue fa, era il 1956, l’Ungheria rispondeva alla prevaricazione, all’invasione sovietica, all’arrivo dei carri armati, con la forza di una gioventù impegnata, che non volle cedere, che pagò la propria impudenza, ma che rimane un esempio di grande dignità. Lo racconta Liliana Martissa Mengoli nel suo libro “Quell’autunno a Budapest” (youcanprint) che verrà presentato il 6 ottobre a Bologna presso la “Corte di Felsina” e il 14 ottobre a Padova, in occasione della Festa nazionale ungherese, organizzata dai Consolati onorari ungheresi del Triveneto. Perché l’Ungheria?

Liliana l’abbiamo sempre associata all’impegno con Coordinamento Adriatico, abbiamo letto i precedenti romanzi con l’Istria in sottofondo. Ma la sua storia?

“Sono nata in Romagna da genitori istriani e mi sono laureata in Lettere Classiche a Bologna. La mia personale ricerca delle radici mi ha portata ad approfondire gli studi sull-identità storica e culturale delle terre del nostro confine orientale e a collaborare con passione alle attività di Coordinamento Adriatico (www.coordinamentoadriatico.it) sul cui periodico ho pubblicato scritti di vario genere. Il punto d-approdo di questa ventennale esperienza è stato il mio primo romanzo ‘La bella borghesia’, ambientato in Istria nella prima metà del Novecento. L’accurata ricostruzione di un mondo scomparso, fatta anche di memorie familiari, mi ha permesso di ‘vivere’, attraverso i miei personaggi, nella terra degli avi. In seguito, l’attrazione per il mondo mitteleuropeo e i legami con la terra ungherese mi hanno spinta a una rilettura delle vicende della rivolta del 1956 e alla stesura del romanzo ‘Quell’autunno a Budapest”, frutto di documentazione meticolosa raccolta in loco e in Italia”.

Il 1956, sembra così lontano, eppure le dinamiche che portarono a quell’evento continuano a parlarci di un’Europa in fermento. Che cosa successe in Ungheria?

“L’Ungheria era un paese governato da un regime totalitario comunista e, di fatto, ancora occupato dell’Armata Rossa sovietica. La rivolta nacque spontanea per l’anelito alla libertà (libertà di stampa, elezioni a scrutinio segreto, pluripartitismo, ecc.) e all’indipendenza dall’URSS (con l’uscita dal Patto di Varsavia). Dopo due settimane di scontri con le forze armate russe, la rivoluzione fu schiacciata definitivamente dall’arrivo di nuove, numerosissime colonne di carri armati sovietici che occuparono Budapest. I fatti d’Ungheria furono l’anticipazione di quei fermenti di ribellione che portarono nel 1989 alla caduta del Muro di Berlino”.

Quanto è importante oggi ragionare su quanto avvenne allora?

“Al di là di ogni giudizio sul merito dell-attuale politica ungherese, io noto una certa continuità spirituale con i fatti di allora, nella rivendicazione di sovranità e di difesa dell’identità da parte di un popolo, come quello ungherese, che per secoli è stato soggetto al dominio straniero (prima dei Turchi, poi degli Asburgo e infine dell’Unione Sovietica)”.

Dove nasce l’interesse per l’argomento? Ci sei tu nella foto di copertina?

“Sì, sono io, qualche…decennio fa! Il mio interesse nasce da un’esperienza personale. Nell’agosto del 1968 mi trovavo in Ungheria (quando fu stroncata la ‘Primavera di Praga’) e ho potuto toccare con mano quali fossero le condizioni di vita e i sentimenti di chi viveva oltre la cortina di ferro. La protagonista è a Budapest per rivedere suo padre, ma conoscerà dei giovani del posto, una ragazza in particolare e la famiglia. Anche il suo tenebroso e bellissimo fratello con il quale scoppierà un tenero sentimento, una schermaglia amorosa così come succede a quell’età. Ma non superficiale”.

Come si inserisce in questa storia la tua appartenenza al mondo adriatico?

“Nei racconti familiari c’era il senso di appartenenza dell’Istria, alla Koinè culturale mitteleuropea e, storicamente, dei legami fra giuliani e ungheresi nella comune lotta irredentistica contro gli Asburgo”.

Anche nei libri precedenti, la tua ‘istrianità’ ti ha guidata nell’analizzare aspetti anche di nicchia, ma fondamentali per la comprensione del tormento di queste nostre terre?

“Certo. L’approfondimento di alcuni aspetti poco noti della tormentata storia istriana si deve anche alla suggestione dei racconti familiari (un mio zio, ad esempio, mi accennò alla sua partecipazione all’odissea dei patrioti-disertori in Russia durante la Grande Guerra)”.

Poco si sa dello spostamento di interi paesi e singole famiglie allo scoppio della prima guerra mondiale verso i campi di internamento austriaci, che tu hai raccontato in un passaggio di un tuo libro precedente…Come mai?

“La scarsa conoscenza dell’episodio che citi, si deve alla rimozione che in generale ha riguardato le vicende del nostro confine orientale e, a mio parere, anche alla focalizzazione dell’interesse degli esuli, in saggi, opere di narrativa, convegni, sul periodo storico che hanno vissuto in prima persona”.

Cos’è l’Ungheria per te?

“Un mondo sospeso fra memoria e fantasia, fra realtà e suggestione romantica, che mi attrae e mi coinvolge”.

La figlia di un diplomatico si trova a essere testimone dei fatti del 1956 a Budapest. Che cosa succede quando si è dentro la storia?

“Credo che si agisca d’impulso senza avere piena consapevolezza della situazione, perché gli accadimenti storici si possono valutare solo a posteriori. La protagonista Cecilia, come del resto i diplomatici e i giornalisti, fra i quali c’era anche Indro Montanelli, si muovono nell’incertezza di ciò che sta succedendo, per la parzialità delle informazioni cui possono accedere”.

Giovani con grandi ideali, capaci di ripensare una realtà…Quanto sono lontane queste dinamiche?

“I giovani europei di oggi, tranne quei pochi ancora imbevuti di vecchie ideologie, sembrano assenti, apatici, privi di progetti e ideali. È forse una situazione temporanea che li trova impreparati a fare delle scelte in un momento storico confuso e in rapida trasformazione”.

La storia solo a volte insegna, perlopiù è materiale da bacheca. Che cosa ci vorrebbe per far capire la sua importanza?

“Attualizzarla cogliendo analogie, parallelismi, dinamiche simili in periodi storici diversi, che possono aiutarci nella comprensione del presente”.

Che cosa ti ha spinta a raccontare questa storia?

“Il fascino dell’Ungheria, il desiderio di fare conoscere ai giovani, anche ungheresi, una pagina di disperato eroismo e, da ultimo, anche la riconoscenza per l’ospitalità che mi è stata offerta quando mi trovavo ‘prigioniera’ in Ungheria per l’improvvisa chiusura delle frontiere fra est e ovest, mentre Praga veniva invasa dalle truppe sovietiche”.

Perché passa anche dall’Istria?

“Perché, come ho già detto, c’è una comunanza culturale e sentimentale con l’Ungheria, un tempo molto sentita, anche se attualmente dimenticata. I fiumani non parlavano forse anche l’ungherese? E poi c’è il continuo richiamo alle mie radici, che mi accompagnano e che ritornano in ogni mio scritto a sottolinearne l’importanza”.

Come parte del gruppo di Coordinamento Adriatico, hai sempre seguito le dinamiche di questo mondo istriano-fiumano-dalmato, diviso dai totalitarismi,. Dove stiamo andando?

“Sinceramene non lo so. Le notizie che ricevo, come pure le mie sensazioni, sono contraddittorie. Nel ventennio della mia militanza in Coordinamento Adriatico, progressi indubbiamente sono stati fatti in tutti i campi, ma le conquiste sembrano fragili e i pronostici sono difficili, soprattutto per chi ha informazioni di seconda mano”.

Che cosa rappresenta la scrittura nella tua vita?

“Attualmente è importantissima. Rappresenta la pulsione al fare, rappresenta il cammino, il viaggio”.

Spesso ti sei presentata, come autrice, in punta di piedi: timore, discrezione, desiderio di saggiare le reazioni?

“Hai centrato perfettamente i motivi, anche se oggi mi sento più sicura della mia scrittura”.

Quale ruolo ha la ricerca nella decisione di iniziare a raccontare una storia?

“Un ruolo fondamentale. Il mio primo romanzo, ambientato in Istria, è nato si può dire da sé, dalla ricerca fatta per riscoprire le mie radici e ricostruire un mondo scomparso. Non sono nata in Istria, pur essendo figlia di istriani. Il secondo romanzo si deve invece agli incontri che ho avuto in Ungheria, alla documentazione rigorosa sulla rivolta di Budapest e alla lettura di autori della letteratura magiara: Sándor Márai, Magda Szabó, Ferenc Kormendi, e altri”.
L’autunno a Budapest si chiuderà con una fuga da quel mondo in fiamme, da una storia cattiva che avvelena il futuro delle giovani generazioni. Ma le cose non finiscono mai, dietro l’angolo qualcosa è in attesa: che le storie, quelle personali, si compiano. Entusiasmante, non mancano i colpi di scena, ma forse la cosa che più prende il lettore è il candore di questa ragazza, figlia di un diplomatico che ‘passeggia’ ignara, mentre la rivoluzione sta per scoppiare. Il suo disincanto è destinato a diventare forza, passione, coraggio. È una speranza.

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