È sempre stato pieno di fascino il racconto sul percorso che ha portato Graziella Semacchi Gliubich a cimentarsi nella poesia, a diventare un’autrice apprezzata e capofila di una schiera di “triestine” che viaggiano in una realtà di versi e strofe ora in italiano ora in dialetto, tutte valide, tutte una forza che descrive la città, il mondo, gli uomini.
L’ultimo nato in casa di Graziella è “L’odor del vento” uscito nella collana Poetare per i tipi dell’editore Fabrizio Serra di Roma e Pisa. Edizione elegante, curata nei dettagli, dalla scelta della carta a quella dei caratteri per il piacere della lettura, per il profumo della stampa che insieme portano al lettore il piacere della scoperta e della condivisione.
Fermare il momento
“Le poesie giacevano da tempo nei vari file del computer, le ho trasferite su carta per soppesare meglio il tutto e ho deciso di raccoglierle in un libretto”, racconta Graziella che incontriamo nella sua casa, ambiente che ha una particolare importanza nella vicenda che stiamo narrando. Quando le stanze erano ancora piene dei giochi dei suoi figli, lei preparava nell’ampia cucina manicaretti e piatti veloci a seconda delle stagioni e dello scandire dei giorni. Nel bel mezzo di quest’impresa che le donne e madri ben conoscono, lei infilava versi sparsi, per fermare il momento, per ricordare un pensiero, scritti qua e là su un quaderno di ricette o un pezzo di carta volante. La velocità delle strofe consolava il suo rigore nell’ottimizzare le ore. Erano momenti dedicati a sé stessa che per lungo tempo nessuno ebbe modo di leggere.
Poi le prime pubblicazioni, poi gli scritti più impegnativi e la poesia anche in lingua italiana. Ma il ritorno al dialetto era come un’onda che traghettava i pensieri a riva, al riparo da ogni vento pieno di “odori” come nel titolo del libro.
Gli incontri al Tommaseo
Presentato solo qualche settimana fa alla libreria “Minerva” di Trieste dall’autrice con il concorso di tre care amiche, tre giornaliste e appassionate di letteratura, a loro volta autrici di successo come Marina Silvestri o voci note come Maria Stella Malafronte e Marisandra Calaccione. Legate anche dalla frequentazione di convivi dedicati alle “voci” di Trieste.
“Non a caso – spiega Graziella – conobbi la letteratura triestina al femminile grazie alla Società artistico-letteraria fondata da Marcello Fraulini. Mi volle coinvolgere negli incontri che si svolgevano settimanalmente presso lo storico Caffè Tommaseo. Viste le miei radici dalmate da parte di padre, per me era un doppio piacere e il busto di Tommaseo vegliava. Devo dire che ci confrontavamo su varie tematiche in una bellissima atmosfera, vi partecipava gente che amava la scrittura e cercava di cimentarsi in questo genere ma anche artisti figurativi e altri. Fu durante quelle felici occasioni che Fraulini mi chiese di leggere le mie poesie. Morale della favola: ne parlò a Sergio Zorzon delle edizioni Svevo e nel 1981 uscì la mia prima raccolta di poesie “La girandola de le donne” con la copertina disegnata dalla figlia Nicoletta. Ricordo l’entusiasmo ma anche la trepidazione, mi aprivo al pubblico ed è una cosa che scava dentro e ti cambia. Mi consolava potermi confrontare con il gruppo di poetesse che s’era formato in quelle occasioni e con alcune delle quali nacque un legame forte che perdura ancora oggi, nonostante qualcuna sia andata avanti”.
Guidoni, Mocavero, Pasino, Borghi Mestroni le ricordiamo ancora. Quando TeleCapodistria inaugurò un programma di Libri e autori, Pagine Aperte, le poetesse triestine divennero protagoniste di una stagione di interviste che lasciarono il segno. Una di queste fu proprio con Graziella che poi introdusse tutte le altre…
Il significato della creazione
“Ricordo la presentazione dei libri, ma anche dei nostri hobby, una trasmissione in particolare rimane impressa nel ricordo, quando aprimmo gli armadi delle bambole di mia madre che aveva una vera passione nel collezionarle. Erano bellissime quanto preziose per i loro volti di porcellana biscuit o di panno, per gli abiti fedeli alle varie epoche storiche che permettevano di percorrere la storia del costume attraverso il tempo”.
Sull’onda dei ricordi consumiamo le ore di un pomeriggio denso, anche di domande: perché la scrittura?
“Scrivere è una liberazione, come dopo un parto, quell’incredibile senso di pace che si materializza depositando i pensieri. All’inizio la poesia non era la mia priorità, ero moglie e madre ma, nello stesso tempo, la poesia mi ha cambiata, facendo scattare qualcosa dentro di me. Tutto senza rubare nulla alla famiglia e senza mai sentirmi una poetessa, ma fermamente decisa a non rinunciare al significato della creazione. Nel tempo ho accettato anche progetti complessi su figure femminili del mondo giuliano, o ricerche storiche per le trasmissioni radiofoniche, una fra tutte la storia delle comunità ebraiche a Trieste, a Fiume e nelle località istriane. Ho alle spalle anni di impegno continuo e convinto con la Rai (l’Ora della Venezia Giulia), Voci e volti dell’Istria trasmissione per la regia di Marisandra Calaccione e condotta da Guido Miglia, personaggio che ho stimato moltissimo. A guidarmi una curiosità e voglia di conoscere che non si spegne mai, un tarlo ma anche una grande fortuna”.
Il riconoscimento per tutto il lavoro svolto è stato coronato da molti premi in regione, a livello nazionale ed internazionale. Anche la Medaglia di bronzo del Comune di Trieste…
“Che momento incredibile, gratificante, essere circondata da amici, parenti, nell’abbraccio del salotto Azzurro del Comune, alla presenza del sindaco Roberto Cosolini e dei suoi collaboratori. Ma soprattutto la consapevolezza di lasciare un testamento a figli e nipoti fatto di parole che raccontano una vita. Solo qualche giorno fa, una delle mie nipoti ha compiuto diciotto anni e abbiamo ricordato che alla sua nascita le avevo dedicato una poesia, come ho fatto dopo per la seconda nipote. Anche lei, la nipote ora maggiorenne, ama la scrittura, non so se continuerà a coltivare tale passione, ma la mia speranza è che questo filone continui. Sono ironici i miei figli, Michele dice che le mie poesie gli mettono tristezza, ma ‘mi no ghe pianzo de sora’, Nicoletta e Francesco mi apprezzano”.
Una storia triestina e adriatica
Le poesie, come i colori per i pittori, attraversano varie fasi, le tue quali sono state?
“Sono passata dalle poesie ispirate dalla quotidianità alle riflessioni sul tempo che passa, che è proprio fastidioso, e io cerco di dargli un senso proprio fermandolo nei versi, la vita è accettazione, io aggiungo una luce di speranza, di positività soprattutto in quest’ultimo libro dove lo trascorrere del tempo è protagonista”.
Che cosa ti spaventa del tempo che passa, di ciò che avverti oggi?
“La velocità, mi spaventa l’informazione cruda di oggi. Sono caduti tutti i veli ma non credo sia un bene e quindi col passare degli anni non potendo reagire, ci si piega, non si guardano le notizie, ci si accontenta dei titoli. Alla fine di questo mondo aggressivo e autoreferenziale ci rimane il senso di una realtà frivola e superficiale e questo non mi piace”.
La tua è una storia profondamente triestina e adriatica che rende questa città così meravigliosa e strana…
“Sono nata a Trieste, la nonna era di Umago e l’Istria la sento mia, una terra meravigliosa che mi ha sempre dato emozioni profonde. Mio padre era dalmata, di Bol, isola di Brazza, aveva 11 tra sorelle e fratelli. A Bol c’era la casa del bisnonno dove durante la Seconda guerra mondiale viveva uno dei fratelli di mio padre. Nella loro casa c’era una governante con un figlio studente che sarebbe diventato partigiano: succede che nel 1943 i partigiani di Bol disarmano i soldati dell’esercito italiano e nascondono le armi così recuperate nella casa di mio zio convinti che essendo lui un fervente italiano non sarebbe stato incluso nelle perquisizioni. I fascisti invece le trovano, uccidono la Tonka e il figlio partigiano, picchiano lo zio, sebbene ignaro di quanto fosse successo, e lo portano in prigione a Santa Maria di Leuca, dove morirà l’anno dopo in un campo di concentramento. La casa di Bol viene incendiata. Papà raccontava poco, ma sono andata a cercare zii e cugini che nel lungo interrogatorio mi hanno dato qualche notizia. Il nonno era un autonomista con Baiamonti, si chiamava Gaetano Gliubich. Questa appartenenza all’Adriatico orientale si nutre anche di queste vicende. La nostra storia ha radici profonde e andarle a incontrare è un processo lungo. Ecco perché la velocità spaventa. È giusto fermarsi, ragionare, concludere prima del passo successivo”.
El Mariner
Se speccia la barcheta
nel mar piato,
le vele el ga ligado.
Po el ga butà l’ancora
’tento che no la arassi,
e la cana.
Xe una fresca matina
dopo el temporal de ieri
se la gusta el mariner
stanco de subiar.
La vita ogi xe bela
el sol xe solo suo.
’Ciapemo la zornada’
el se disi rilassado.
Doman par cussì lontan…
Doman?
Ghe passa un brivido,
no ghe va più de pescar.
Fantasmi
Volessi netar la casa
de tuti i fantasmi
che ghe gira
ma cosa me restassi?
Un svodo
che nissuna storia nuva
me podessi contentar.
Restè fantasmi
della mia vita
strenta fra sti muri.
Ombre che me compagna
e no me la lassa sola.
Osterie
Osterie de periferia,
vin s’ceto e formaio
che piziga
servidi su nude tole
soto el pergolà
che filtra luce pura.
Lontan slusi el mar.
Osterie sul Carso
nel verde dei ginepri,
ronzar de vespe
che se poza
sui biceri de teran.
Senso de pase
istruì del tempo.
Aria de eternità.
Questa xe vita!
Questa xe vita!
star qua
tra le mie straze,
sola, in pase.
Zogatorlarme
come che voio
senza premura,
vardar fora dei vetri
el bel e el bruto
de la giornada
senza dover
combater co la piova,
col vento,
col sol che scalda e brusa.
Questa xe vita…
…co se ga la mia età.
Le poesie fanno parte della raccolta “L’odor del vento”, collana Poetare dell’editore Fabrizio Serra in Roma e Pisa.
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