Giugno e novembre, i mesi del ritorno, degli incontri, della condivisione. I Fiumani serrano le file, si ritrovano per dare vita ai progetti sulla letteratura, la storia, la cultura, l’attualità e costruire un percorso d’intesa. Non è una fase nuova quella che si sta vivendo in vista del prossimo appuntamento a Fiume, il programma è stato definito da tempo, definite le iniziative, gli spostamenti, gli orari… eppure, ogni volta si accumulano le attese e le emozioni in un tam tam di “ti vien, ti ghe sarà, ne vedemo…”, complici le novità del momento.
La Comunità degli Italiani ha eletto il suo nuovo presidente. Il giovane Enea Dessardo ha avuto modo di conoscere e stringere nuove amicizie col mondo degli esuli partecipando all’Omaggio a Sergio Sablich svoltosi nel 2023 a Firenze con convegno e uno splendido concerto del pianista Giovanni Bellucci.
Melita Sciucca rimane nell’Ufficio di Presidenza dell’AFIM per garantire quel legame necessario e forte che in questi anni è riuscito a sbloccare tante porte chiuse dal tempo e dalle lontananze. Accanto a lei altri fiumani residenti che hanno proposto la propria candidatura e sono stati votati. Impensabile solo qualche mandato fa. A Fiume verrà eletto anche il nuovo presidente AFIM.
In attesa che tutto venga definito abbiamo voluto ragionare con Franco Papetti, a capo dell’AFIM e con Diego Zandel, scrittore affermato e anima dei progetti culturali dell’associazione, del prossimo incontro che inizierà a Fiume tra qualche giorno, il 29 ottobre, e si concluderà, come da tradizione dopo la Messa in Cripta del 2 novembre.
“Da quattro anni l’AFIM (Associazione fiumani italiani nel mondo) ha completamente cambiato la propria strategia – risponde Franco Papetti, nato a Fiume, vive a Perugia – passando da una meramente rappresentativa a un’altra volta a stimolare un ritorno intellettuale e culturale, nella città della quale noi profughi continuiamo a sentirci parte integrante, dove i nostri avi erano vissuti da sempre e avevano prosperato nel corso dei secoli e dove la componente di lingua italiana era stata per lungo tempo la componente più importante”.
Che cosa intende per ritorno intellettuale e culturale?
“Ricostituire l’appartenenza a un solo piccolo popolo di fiumani accomunati da lingua, tradizioni, cultura e storia. Un collante fortissimo che porta alla valorizzazione dei mai sopiti legami con la città e, per i residenti, l’orgoglio di far parte dell’unica minoranza autoctona. Abbiamo iniziato a costruire questo senso d’appartenenza in vario modo ma focalizzando alcune iniziative cardine, per esempio la conoscenza delle opere degli scrittori fiumani. In collaborazione con la Comunità degli Italiani, il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Fiume con il sostegno della municipalità fiumana che ha messo a disposizione la sala municipale per i nostri eventi abbiamo ‘riportato’ a casa personaggio come Enrico Morovich con il libro ‘Un italiano di Fiume’, Paolo Santarcangeli con ‘In cattività babilonese’ e Franco Vegliani con ‘La frontiera’: i volumi sono stati presentati in cofanetto sia nella versione italiana che croata. La promozione del progetto e delle opere realizzate si è svolta a Roma alla Sala stampa della Camera dei deputati, a Trieste nell’ambito del progetto di dibattito ‘Mai più confini’, a Zagabria all’Istituto italiano di Cultura”.
E ora, quale sarà l’evento di questo incontro 2024?
“Completiamo il percorso quadriennale con un autore che ancora di più legherà gli esuli ai residenti e completerà il percorso iniziato quattro anni fa. I primi autori del ciclo sono fiumani esuli, Enrico Morovich a Genova, Paolo Santarcangeli a Torino e Franco Vegliani a Trieste, ma con il poeta e scrittore Osvaldo Ramous, il più importante intellettuale dei cosiddetti rimasti, non solo si rende omaggio a un grandissimo autore, ma anche a coloro che restarono a Fiume e videro cambiare la città progressivamente nel tempo; la Fiume di Morovich, Santarcangeli e Vegliani è quella della giovinezza, della nostalgia e del rimpianto che in Ramous diventa quella della sofferenza e del dubbio, elevando poeticamente il sentire di tutti; nel contempo Ramous si dichiara ‘veterano di fughe mancate’ arrovellandosi nel dubbio se la sua scelta di restare sia stata quella giusta in una città dove la maggior parte dei fiumani di lingua italiana se n’erano andati. E proprio nel suo capolavoro ‘Il cavallo di cartapesta’, che Ramous scrive negli ultimi anni della sua vita e che dedica a Fiume, affronta per primo tra i fiumani rimasti, l’esodo e forse, o proprio per questo, si dovrà aspettare la pubblicazione del romanzo, per opera della rivista La Battana, per ben quarant’anni dalla stesura e ventisette dalla morte dell’autore. Ecco perché la presentazione del libro bilingue ‘I figli della cometa e prose sparse’ – grazie a Gianna Mazzieri Sanković e a Melita Sciucca – diventa una tappa fondamentale per superare colpevoli silenzi e far conoscere in Italia e anche a Fiume questo autore straordinario, stimolarne lo studio e l’approfondimento”.
Il 29 ci sarà anche un dibattito tra associazioni e persone di buona volontà sul futuro dell’attività associativa. Di cosa si tratta? Di cosa s’intende discutere?
“Fondamentalmente su un punto che li comprende tutti: la possibilità di un coordinamento tra tutte le realtà che si riconoscono nell’identità istriana-fiumana-dalmata al fine di armonizzare le attività di ampio respiro, formative ed identitarie – come raduni, convegni, omaggio agli uomini illustri durante ricorrenze importanti, il rapporto con i Paesi di residenza, l’incontro con i vertici della politica, tanto per fare qualche esempio –. Ma soprattutto un coordinamento che dia consistenza all’unità di intenti espressa con le leggi o la realizzazione di siti che ci rappresentano ovunque nel mondo. Auspichiamo una partecipazione convinta e numerosa”.
Diego Zandel prima di giungere a Fiume sarà a Trieste e Gorizia alla presentazione dei suoi ultimi libri, ma soprattutto per omaggiare la sua città. Perché?
“Dopo la morte dei miei genitori è nata in me, forte, l’urgenza di dare più impulso al mio legame con una città che viveva nei loro ricordi, sogni, desideri e che, quando hanno potuto, sono tornati a frequentare tutti gli anni, nei mesi estivi. Quel mio primo raduno, credo del 2019, sul lago di Garda, nel corso del quale Franco Papetti è stato eletto presidente, ha segnato, però, anche il mio ingresso nell’ufficio di presidenza dell’AFIM come consigliere per la cultura. Un onore per me e un piacere. Il mio contributo nasce dalla convinzione che la cultura sia il primo viatico per abbattere i confini che ci separano dalla nostra città e dai fiumani che ancora ci vivono”.
Percorso già iniziato con i libri…
“Vero. Avevo iniziato questo cammino ancora ai tempi della Jugoslavia, frequentando gli scrittori della minoranza Osvaldo Ramous, Mario Schiavato, Giacomo Scotti, Laura Marchig, in particolare, così come alcuni giornalisti dell’EDIT, sentendoli parte di una geografia letteraria che mi apparteneva, anche se figlio di esuli nato in un campo profughi marchigiano. Comunque, c’è ancora tanto da fare”.
L’iniziativa del cofanetto di libri bilingui è nelle sue corde quindi?
“Sinceramente ne sono fiero, per i due scopi dell’iniziativa: il primo, quello di far capire agli attuali abitanti della città la presenza autonoma della lingua e cultura italiana accanto a quella croata e, in passato, magiara; il secondo, l’indicazione forte che la storia della città non è iniziata il 3 maggio 1945, ma ha alle spalle secoli che hanno contribuito, tutti, a darle quello spirito cosmopolita, tollerante e rispettoso di tutte le lingue, culture ed etnie, contrapposto alla unidimensionalità a cui vorrebbero ridurla i nazionalismi di ogni categoria. Mi sembra giusto e doveroso che i fiumani di oggi conoscano la storia della loro città al netto di ogni manipolazione ideologica”.
Che cos’è oggi la Fiumanità?
Credo sia il tratto precipuo di un carattere, un modo di essere, a cui la nostra associazione guarda e che, nel fondo, rappresenta il motore della sua attività. Da qui la necessità di stimolare il dialogo e l’incontro con tutti i fiumani, a cominciare dalle istituzioni culturali e politiche, come in parte già stiamo facendo, così da allargare il campo dei confronti per mettere all’angolo anni, troppi, di divisione, incomprensioni, diffidenza, talvolta astio, atteggiamenti e sentimenti che non hanno più senso di esistere. Mi è molto piaciuto, al di là dell’anno sfortunato per la pandemia, lo slogan scelto dall’amministrazione cittadina per caratterizzare Fiume, città della cultura 2020, cioè ‘Il porto delle diversità’. Ecco, facciamo in modo che non sia solo uno slogan, ma anche sostanza, progetto, futuro”.
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