
Succede spesso che si debba descrivere una “geografia” familiare complessa per le ragioni più diverse alle quali l’esodo ha aggiunto del suo. Andare lontano, ma anche scoprirsi ricchi. Questa è l’esperienza di Maria Rosaria (Rosemary) Buri della famiglia Burich di Fiume.
“Ho difficoltà a individuare un unico luogo di provenienza – racconta –. Nata in Italia, a Cosenza, dove papà, economista agrario, era direttore dell’Opera Valorizzazione Sila. Quando avevo sette anni ci siamo trasferiti a Roma, frequentavo la terza elementare. Quando avevo otto anni (1961) papà Paolo si è trasferito a Panama per dirigere – in un progetto delle Nazioni Unite – un programma di sviluppo agricolo sulla costa atlantica dell’istmo di Panama. In quella città ho imparato l’inglese e lo spagnolo e ho frequentato per due anni una scuola americana. Infine ci siamo trasferiti in Perù (per sette anni e mezzo!), dove mio padre era project manager in un programma di irrigazione e drenaggio in una zona di bacini e fiumi nell’Amazzonia peruviana. Ho completato i miei studi in una scuola americana (Franklin D. Roosevelt – The American School of Lima), esperienza meravigliosa che mi è rimasta nel cuore. Spesso identifico Lima come il mio luogo ‘di provenienza/appartenenza’ per i bellissimi ricordi di quegli anni. Dopo Managua, Nicaragua, ho deciso di tornare in Italia per proseguire gli studi: Scuola Interpreti e Università la Sapienza a Roma, nonostante lo zio Lazi – Ladislao Mittner, cugino di primo grado di mio padre – mi proponesse di studiare Lingue alla Cà Foscari (Università di Venezia) dove lui era professore ordinario di Lingua e Letteratura Tedesca”.
La sua infanzia con suo padre?
“Lo vedevo in modo ‘intermittente’, ma è sempre stato molto affettuoso con me. Ho trascorso più tempo con mia madre, una donna salentina determinata, generosa, forte e molto aperta a tutte le variegate esperienze che l’hanno portata in giro nei due continenti, imparò lo spagnolo, l’inglese, allestì e smantellò sei case, sempre positiva, con il sorriso sulle labbra e pronta ad affrontare nuove abitudini, a scoprire altre culture e tradizioni, nuovi luoghi, frutti e fiori. Sì, perché amava dipingere i fiori e diventò una bravissima artista sperimentando molte tecniche: porcellana, mosaico, batik, acquerello, pittura ad olio, smalto, vetro, e ha anche seguito corsi, in Perù, per creare manufatti in argento”.

Foto: GENTILMENTE CONCESSA DALLA FAMIGLIA BURI
Che cosa rappresentava in quei primi anni il suo legame con Fiume?
“Papà esitava a raccontarmi di Fiume e io non capivo il motivo. Amavo sentirlo parlare della sua mamma e del suo papà – i nonni che non ho mai conosciuto –, entrambi insegnanti nella scuola elementare di Fiume. La nonna, Albertina d’Ancona, nata a Budapest da genitori italiani, insegnava l’ungherese ai bambini italiani, mentre il nonno Stefano Burich, insegnava l’italiano ai bambini ungheresi di Fiume. Si parlava di Fiume quando ci si incontrava con i suoi cugini (tanti! Il nonno Burich aveva 7 fratelli e sorelle) soprattutto durante le riunioni ‘di famiglia’ con i cugini residenti a Venezia, Modena, Bolzano e Vienna”.
Enrico Burich e Ladislao Mittner: la sua famiglia è un’eccellenza nella storia di Fiume. Come sono stati “raccontati” in casa questi personaggi?
“Lo zio Rico era fratello del nonno Stefano. L’ho conosciuto a Roma quando era direttore del Goethe Institute, se non sbaglio. Era molto affettuoso con papà; fu lui a inviare un telegramma per comunicare a mio padre e a suo fratello Lucio la scomparsa del nonno. Ricordo che la moglie, zia Fila Ferrari di Modena, scriveva sempre alla mia mamma. Era molto bello ricevere le lettere e i regalini delle cugine quando abitavamo in Perù. La zia Letizia de Battistig, moglie di Ladislao Mittner, ci scriveva delle lunghe lettere con tante notizie sullo zio Lazi e sulle sue prestigiose pubblicazioni, sulle mostre organizzate a Venezia e mi mandava delle deliziose borsette di Roberta de Camerino”.
Dove si sono incontrati i suoi genitori, di cosa si occupava all’epoca suo padre?
“Papà era assistente del prof. Manlio Rossi Doria alla facoltà di Agraria dell’Università di Napoli, con sede a Portici. Papà e Rossi Doria furono invitati alle nozze del prof. Donno, un loro collega che sposava una signora di Novoli (Lecce). La mia mamma, Cecilia Màdaro, che all’epoca studiava Scienze Botaniche all’Università di Torino, era tornata a Novoli per queste nozze e lì si conobbero. Si sposarono qualche anno dopo, nel 1951 a Brindisi, dove lo zio di mamma, sacerdote, risiedeva. Celebrò le nozze l’Arcivescovo di Brindisi: pochi invitati. Rossi Doria e papà divennero grandi amici e il professore fu il loro testimone di nozze. Un aspetto curioso per quegli anni: mia mamma non volle un abito tradizionale. Scelse un tailleur in seta grigio perla, una camicetta di pizzo e un cappellino con una veletta! Viaggio di nozze a Positano, dove Rossi Doria, papà e i suoi colleghi condividevano d’estate un piccolo appartamento con vista sul golfo”.
Quale è stata l’evoluzione della sua carriera?
“Sono stata molto fortunata ad avere acquisito una perfetta conoscenza di due lingue – inglese e spagnolo – da bambina. Alla fine del percorso di studi alla Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori di Roma cominciai subito a lavorare per le istituzioni: Ministero degli Esteri, Presidenza della Repubblica, Ministero della Difesa, accompagnando i ministri anche a Bruxelles per le riunioni della Nato. Ho conosciuto sei presidenti della Repubblica e li ho seguiti in diverse visite di stato all’estero, tra cui quella nel Regno Unito, dove ho avuto l’onore di tradurre la Regina Elisabetta, e anche in Spagna dove ho accompagnato il presidente Cossiga e ho tradotto per re Juan Carlos”.

Foto: GENTILMENTE CONCESSA DALLA FAMIGLIA BURI
Che cosa prova pensando a Fiume, alla sua cultura, agli intrecci, alle ricchezze?
“Una grande malinconia, e ora comprendo il dolore di essere stato un esule, di aver ‘optato per l’Italia’, ma mi dispiace che abbia deciso di italianizzare il nostro cognome. Sento un legame forte e affinità (linguistiche, passione per la danza, per le belle cose per la casa, l’amore per il mare…) con la nonna che non ho mai conosciuto e conservo con gioia e con rispetto diversi mobili che sono arrivati in Italia in casa nostra dopo la scomparsa del nonno Stefano nel 1946. Papà non mi spiegò mai come arrivarono, ma giunsero a Portici e l’Università li ‘ospitò’ nelle cantine fino a quando cominciarono a girare il mondo con noi. Sono venuta a conoscenza dell’esistenza del ‘cubo’ di masserizie degli esuli quando ho scoperto il bellissimo Museo della Civiltà Istriana, Fiumana e Dalmata a Trieste. Per me è stata una rivelazione, un ’eye-opener’. L’ho visitato più volte con commozione. Sono stata a Fiume per la prima volta nel 2006. Arrivammo in barca a vela e ormeggiammo ad Abbazia. Spero di tornarci e scoprire ancora tante cose”.
La sua professione l’ha portata a esplorare il mondo da un punto di vista molto particolare, al seguito dei capi di Stato, qualche aneddoto da ricordare?
“Sono state esperienze meravigliose e mi sento molto fortunata. Sono, nel contempo, missioni molto pesanti, delicate. Ho avuto grandi soddisfazioni. Quando ho accompagnato il presidente Cossiga nel 1990 in visita di stato nel Regno Unito, ebbi modo di portagli i saluti di una sua conterranea di Sassari, imprenditrice a Lecce. Il giorno del conferimento della laurea honoris causa all’Università di Oxford ci fu una colazione offerta dal rettore. Io ero seduta sul nostro solito sgabellino predisposto durante questi eventi per tradurre in chuchottage (traduzione sussurrata). Cossiga lo invitò a venire in Italia e a scegliere le sue destinazioni preferite. Il rettore accettò e rispose: Mi piacerebbe andare in due posti meravigliosi: in Maremma e in un posto ’remote in Southern Italy, called Salento’. Io traducevo. Cossiga non gli rispose subito. Si girò verso di me con un grande sorriso e mi disse: ‘Dottoressa, questa è musica per le sue orecchie…!’ Che incredibile coincidenza! Ancora oggi mi vengono i brividi quando ci penso!”.
Il ruolo della musica nella sua esistenza?
“Adoro la musica e mi piace ballare. Il nonno Stefano suonava il violino e dopo di lui nessuno della generazione degli esuli, e nemmeno nella mia. Ma il bisnonno di mio marito, il Maestro Pasquale Chillino di Lecce, nella cui casa noi abitiamo, era un pianista e compositore. Purtroppo noi non abbiamo neanche uno dei suoi pianoforti e soltanto uno spartito. Tuttavia, mia figlia Margherita, che abita a Firenze, ha fatto una ricerca presso la Biblioteca Nazionale e ha trovato una decina di spartiti, le cui melodie abbiamo fatto suonare e registrare. Il figlio di Margherita, il nostro nipotino Antonio Manfredi, suona il violino e canta nel Coro delle Voci Bianche dell’Opera del Duomo e nell’Accademia delle Voci Bianche del Maggio Fiorentino”.
Il rapporto col mare è anche ritorno alle origini?
“Ho grande rispetto per il mare e non ho la passione che aveva papà e che ha mio marito, a cui sono grata per avermi fatto scoprire Fiume dal mare, arrivandoci in barca a vela e vedendola da lontano come un miraggio. Quello sì che è stato un ‘ritorno’, che ho potuto raccontare a papà. E gli chiesi se volesse avere una foto di Fiume vista dal mare. Apprezzò molto. La fece ingrandire e incorniciare. E poi l’ha portata via con sé, assieme a una bandierina di Fiume, il 22 marzo 2008…”.
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