
Una carriera in ascesa con grandi risultati sportivi, poi lo stop determinato dalla tragedia, la perdita dell’amico assoluto, Filippo, spalla/riferimento, la lunga elaborazione del lutto e la successiva rivincita della vita, alla quale tornare, con forza, con convinzione, con un approccio medico/scientifico. È la storia di Mike Maric.
Nato a Milano da famiglia di Rovigno, i ritorni regolari, frequenti nelle case dei nonni nella località istriana tanto da sentirsi parte di questo piccolo mondo sulla riva del mare. Mare è la parola chiave: Mike Maric è un apneista da record mondiali, è anche un ragazzo pieno di entusiasmo e capacità di relazionarsi con gli altri, è anche un serio professionista, medico che risponde al suo giuramento, curare, ma soprattutto prevenire.
Come un… mammifero acquatico
Negli ultimi anni ha affinato le tecniche di respirazione per rispondere alla sua esigenza di lunghe immersioni in apnea. Conoscenza che ha raccolto in un volume intitolato “La scienza del respiro” (Vallardi editore). Perché?
“L’apnea è il mio respiro. Saper trattenere il fiato per più di sei minuti, essere un apneista, per me significa vivere nell’elementum acqua con la totale, primitiva semplicità di un mammifero acquatico”.
Non è nella natura umana, o non ne abbiamo coscienza?
“Pensateci bene: noi trascorriamo i primi nove mesi di vita proprio in apnea, nel liquido amniotico, nel grembo materno. E siamo immersi in noi stessi, senza pensieri e preoccupazioni, pronti a uscire da quella dimensione per entrare in contatto con la realtà esterna, trasformandoci da piccoli delfini in Homo Sapiens. Per quanto sia impossibile ricordare il primo atto respiratorio della nascita, credo che vi sia una forte similitudine tra quello, il primo respiro della vita, e il mio primo respiro dopo ogni apnea. Trattenendo il fiato vivo un’emozione molto forte, che ha la capacità di rievocare quei momenti ancestrali”.

Foto: GENTILMENTE CONCESSA DA MIKE MARIC
«Mi sentivo Nettuno»
L’altro elemento è l’immersione in noi stessi, un percorso ancora più difficile dell’apnea come tale?
“È vero, per farlo ho dovuto imparare a respirare, a compiere questo gesto tanto semplice, naturale, spontaneo, quanto complesso dal momento in cui è diventato il centro della mia vita e mi ha permesso di vincere nello sport. Perché a un certo punto la passione – trattenere il fiato per vivere il “mio” mare – è diventata una sfida con me stesso, una ricerca del mio limite. Ricordo ancora quando da bambino, nella mia amata Rovigno d’Istria, mio padre mi insegnava a indossare la maschera per guardare le conchiglie, i pesciolini e i sassi colorati, sotto lo sguardo vigile di mia madre che non ha mai avuto un rapporto felice con l’acqua. Incredibile: mi sentivo Nettuno, come se sfidassi i misteri del grande blu, mentre in realtà – lo testimoniano le foto di quegli anni – si trattava di pochi centimetri d’acqua… Ma per me erano davvero tanti”.
“Una volta capito come mettere la maschera di papà, restavo in acqua per ore a giocare, a inseguire i pesci colorati, quasi volessi parlare con loro. Adolescente, uscivo in barca con mio padre e mi divertivo a catturare qualche pesce per preparare la zuppa serale, fiero di aver procurato la cena. In realtà non sono mai stato un vero pescatore, mi perdevo a guardare i pesci, a scoprire i colori dei coralli, ad ascoltare quei suoni così particolari che si sentono quando ci si immerge nel silenzio del mare. Era già il tramonto e mio padre continuava a ripetermi ‘Ma non hai freddo? Andiamo, dai, è tardi, la mamma ci aspetta, si preoccupa’… Da quelle giornate in barca sono passati molti anni e nella mia vita sono successe molte cose. Ho conseguito una laurea medica, specializzandomi nell’ambito della ricerca forense; ho raggiunto i miei obiettivi di sportivo; ho coltivato le mie passioni, coniugando l’amore per l’acqua con quello per la scienza”.
L’atto più naturale
Tutto questo impegno a quali consapevolezze ti ha portato?
“Studiando, lavorando e praticando l’apnea ho acquisito una sempre maggiore consapevolezza di quanto sia importante il nostro respiro”.
Quindi hai deciso di scrivere, di comunicare agli altri le tue consapevolezze?
“Fino a dieci anni fa le pubblicazioni sul tema erano esigue, ma ultimamente l’interesse verso questo argomento sta crescendo anche in ambito scientifico. Se prima era appannaggio della cultura indiana e cinese e della medicina olistica di matrice orientale, oggi anche la comunità scientifica occidentale sta ponendo sempre più attenzione alla respirazione e alle sue applicazioni per migliorare la performance sportiva; le modalità con cui il diaframma influisce sulla salute e sul benessere delle persone in generale, non solo degli sportivi, sono divenute oggetto di ricerca”.
“Respirare è l’atto più naturale che esista, il più automatico e spontaneo. Per questo possiamo benissimo non dedicargli alcuna attenzione. Talvolta mi diverto a chiedere alle persone: ‘Tu, come respiri?’ e loro o mi guardano basite, oppure rispondono di sapere che è importante respirare ‘di pancia’, e poi aggiungono che non sono capaci di farlo. Ecco: la respirazione è il primo atto fisiologico necessario alla sopravvivenza umana, ma anche il più sottovalutato. E invece imparare a respirare bene significa migliorare la nostra salute, fare un passo fondamentale nel raggiungimento del benessere psicofisico, nella gestione della fatica, dello stress, delle emozioni”.
Le situazioni estreme
Un esempio?
“Possiamo rendercene conto nelle situazioni estreme, quando proviamo uno spavento, una grande gioia, una paura, una preoccupazione, perché ci ‘manca il fiato’. Ma respirare bene è importante in ogni momento, soprattutto in un mondo dove tutto va velocissimo: la vita, il lavoro, i rapporti personali, le notizie… tutto corre e scorre in maniera fulminea. Imparare a conoscere il proprio respiro e a usarlo bene può essere un passo fondamentale per ritrovare se stessi e un buon equilibrio”.
Tutto questo lo si ritrova nel libro?
“Questo libro raccoglie ciò che ho imparato finora sul respiro. Non sono in grado di indicare rimedi miracolosi né magie, ma ho fatto tesoro della mia esperienza di sportivo, dei miei studi, della ricerca scientifica più avanzata e della combinazione di tutte queste cose. Lavorare in ambito universitario mi permette di esplorare diversi campi di ricerca e di collaborare con altri professionisti, sottoponendo loro questioni che ancora oggi non hanno risposta e mettendole a confronto con la mia esperienza e la mia attività di allenatore. Ma insieme a tutto questo, nelle pagine del libro c’è anche moltissimo della mia storia”.

Foto: GENTILMENTE CONCESSA DA MIKE MARIC
Un prima e un dopo
La scopriamo leggendo il libro e guardando il filmato che Mike ha realizzato rendendo plastico, spettacolare il suo approccio col mare. Come avvolto in una bolla che è sogno, ma allungandosi diventa corpo e vita. La discesa nel blu come tante volte, un desiderio e una sfida. Poi lui, Filippo, l’amico più caro, il collega al quale affidare le proprie prove, improvvisamente scompare, inghiottito da un malore o un attimo di disattenzione, lo si scopre leggendo. Per Mike è il crollo e cercare di riemergere dal proprio dolore sarà infinitamente difficile. Respira, ripeterà a sé stesso, respira: non devi fare altro per iniziare a stare meglio perché quella notizia l’aveva lasciato “senza fiato” per un lungo, lunghissimo tempo.
Oggi Mike viene considerato un vero e proprio guru del respiro, medico e professore all’Università di Pavia, ha fatto dello studio e della ricerca scientifica la sua grande passione insieme a quella per lo sport, che lo ha portato a vincere il titolo di campione del mondo di apnea nel 2004.
Che cosa vorrebbe dire al nostro pubblico?
“Ogni giorno scegliamo di vivere 20.000 volte: un essere umano, infatti, può resistere senza cibo per 20 giorni, senza bere per 10, ma non può restare in apnea per più di pochi minuti. Eppure, nonostante la respirazione sia il primo fabbisogno fisiologico necessario alla sopravvivenza umana, è anche quello più sottovalutato. Per questa ragione imparare a respirare in modo corretto è di essenziale importanza”.
La respirazione triangolare
Lei lo insegna durante i corsi – alcuni anche alla Comunità degli Italiani di Rovigno – ci può anticipare qualche elemento?
“Sdraiati a terra, su un tappetino, a pancia in su: gambe rilassate e leggermente divaricate, i glutei, la schiena e le spalle devono essere a contatto con il pavimento allungando la colonna vertebrale. Questo è il punto di partenza per iniziare a respirare: comodo, senza cinture che stringono la vita e ben distesi. Concentrati su come stai respirando, facendo attenzione a respirare esclusivamente attraverso il naso. Pensa al tuo respiro: è profondo o superficiale, lento o veloce? A questo punto, inspirando lentamente dal naso, pensa di portare l’aria verso l’ombelico, poggiando le mani sulla pancia. Comincia a riempire di aria la parte inferiore dei polmoni, senza interrompere l’inspirazione, continua a gonfiare all’altezza dello stomaco, espandendo la gabbia toracica per riempire anche la parte superiore dei polmoni. Quando proverai un senso di ‘pienezza’, inizia a espirare, sempre dal naso, lentamente. Ripeti la sequenza, ma contando mentalmente: 1, 2, e 3. Ecco la respirazione triangolare, simbolo di stabilità, solidità e armonia. Bastano pochi minuti per questo esercizio e subito ti sentirai più leggero, concentrato e pronto ad affrontare i piccoli stress quotidiani. Ma questa è solo la prima tappa: dallo sport al gioco, dal sesso al lavoro, ogni performance può migliorare mettendo in pratica questi preziosi segreti”.
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