Italiani d’Istria. Chi partì e chi rimase Lucia Castelli lo racconta in una mostra

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Italiani d’Istria. Chi partì e chi rimase Lucia Castelli lo racconta in una mostra

Lucia Castelli, che propone la fotografia come testimonianza della vicenda dell’esodo, ci fa ripensare sia al lavoro svolto fin qui da tanti entusiasti, sia a quanto ancora da completare per compiere quel piccolo miracolo di salvaguardia e di recupero di una storia “cancellata dalla storia”, la nostra. È l’autrice della mostra “Italiani d’Istria. Chi partì e chi rimase”, prodotta da Fondazione Campo Fossoli che proprio oggi s’inaugura a Firenze (ore 17.30 – S.R. Affratellamento, Via Giampaolo Orsini 73).

La sua spinta nasce, come spesso succede, dalla necessità personale, alla quale si allaccia un lungo racconto: “Quando nel 2011 ci sono state le celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia – racconta – sentivo dentro di me una nota stonata, mancava la festa, l’omaggio all’Italia non comprendeva le terre dove sono nati i miei genitori. Quell’anno la FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche) aveva lanciato un progetto nazionale invitando tutti i fotografi e fotoamatori a raccontare l’Italia per immagini. Vi aderì anche il circolo fotografico Colibrì di Modena al quale sono iscritta. Sapevo che il campo di Fossoli, dove avevo trascorso la mia primissima infanzia era stato trasformato in museo, cosi decisi di ritornarci dopo tanti anni per scattare le mie fotografie. Sono partita portando con me l’album di famiglia per ritrovare i luoghi di allora, il medesimo sfondo, i particolari. Ho realizzato quindi una prima mostra personale che è stata esposta anche al campo di Fossoli. Sono venute tante persone a vederla, gente che vi aveva abitato, alcuni si ricordavano di me, è stata l’occasione per riabbracciarci. È stato allora che ho capito che dovevo fare qualcosa di più”.
Cos’era stato il campo e quali segni portava della sua precedente destinazione?
“Il campo di Fossoli era nato nel 1942 come campo di prigionia, diventando dal 1943 un campo di concentramento per gli ebrei. Tra il 1945 ed il 1947 fu un centro di raccolta per stranieri indesiderabili. Dal 1947 e fino al 1952, gestito dalla comunità Nomadelfia fondata da Don Zeno Saltini, s’iniziarono alcuni lavori di ristrutturazione del campo. La nostra comunità di esuli arrivò nel 1954, partecipando da subito ai lavori di ristrutturazione del campo: di costruisce la chiesetta, nasce il villaggio San Marco. S’era cercato di cancellare le tracce del suo triste passato che però emergeva qua e là. I miei ricordi sulla vita al campo sono veramente pochi perché avevo solo 7 anni quando la mia famiglia si è trasferita a Modena. Mia mamma raccontava che a Fossoli, in mezzo alla pianura padana, c’era un pezzettino di Istria, staccata dal contesto, perché ostile al nostro insediamento. Ci siamo difesi rimanendo uniti, continuando a parlare il nostro dialetto, mangiando all’istriana, mantenendo le tradizioni. A Modena, nel 1963, mio papà riunì la famiglia (mia sorella, la mamma ed io) e ci disse che a Modena avremmo parlato in lingua. È stata dura ma grazie a questa imposizione non ho avuto problemi a scuola e non ho dovuto dare spiegazioni su una storia comunque difficile da comprendere, soprattutto in quegli anni”.
E l’Istria…scomparsa?
“L’Istria la vedevo sempre negli occhi di mio padre, nella sua nostalgia, nel suo rancore mai sopito e nel suo desiderio di tornare, anche se non in Istria (che non sentiva più sua) almeno a Trieste, vicino alla sua terra. Quando è andato in pensione si è comprato una casa a Trieste e ci andavano spesso, perché lì, con quell’aria e quel mare, lui diventava un’altra persona, se stesso. Intanto avevano ripreso a parlare il dialetto tra di loro che per me è sempre stato ‘casa’. Molte delle persone che ho contattato per le testimonianze, conoscendo le mie origini, mi hanno subito parlato in dialetto facendo scattare la molla forte della comune appartenenza”.
Come si presenta agli intervistati e quali sono le prime reazioni, e le sue sensazioni?
“Ho iniziato la ricerca intervistando, prima tra tutti, mia madre, poi suo fratello che è rimasto in terra istriana, oggi Slovenia. Mi sono quindi fatta forza ed ho iniziato a contattare i conoscenti che avevano vissuto nel campo di Fossoli e via via, tramite loro, ho allargato la cerchia delle persone coinvolte. Tra questi vorrei ricordare Antonia Piuca, Fulvia Zudič, Milena Saina e Giorgio Ledovini. Non tutte le persone da me contattate sono state disposte a fornirmi una testimonianza perché molte ferite non sono ancora rimarginate, tutti però mi hanno spinta a continuare. Non sono mai riuscita a sentirmi ben radicata né in Emilia dove sono nata e vissuta né in Istria dove sono sempre andata a trovare i nonni e gli zii rimasti. L’amore che i miei genitori mi hanno trasmesso per la loro terra natia mi ha lasciato un profondo senso di nostalgia ed il bisogno di ricomporre le mie radici”.
La mostra è frutto di un lungo lavoro di ricerca …
“Il lavoro dura da quattro anni, con umori alterni, per questo grande desiderio di far conoscere la nostra storia. A Carpi, nel Giorno del Ricordo 2018, ho avuto la sensazione di essere sulla giusta strada. Nel mio intento c’era la voglia di far conoscere l’impatto che quegli avvenimenti storici avevano avuto sulla vita di tante persone e quale migliore veicolo se non la viva voce di tanti protagonisti? Ogni testimonianza presente sui pannelli illustra un diverso aspetto della stessa problematica ed ogni storia rafforza la precedente. Le guerre, ma in questo caso anche i trattati di pace, sconvolsero la vita delle persone. Inevitabile la domanda: partire o restare? Alcuni non hanno avuto altra scelta, hanno subìto minacce, pressioni. Le famiglie si sono smembrate, la comunità si è dispersa”.
Di cosa si compone la mostra, come è strutturata?
“La mostra si compone di tre sezioni. Nella sezione RITORNO AL VILLAGGIO SAN MARCO c’è il viaggio nella storia con persone che, come me, vi hanno abitato, e sono venute portando una loro vecchia fotografia per realizzarne una nuova tanti anni dopo con la medesima inquadratura. Nella sezione CHI PARTÌho ritratto persone che hanno deciso di lasciare le proprie terre e che oggi vivono sparse in varie località come Modena, Carpi, Firenze, Pavullo, Nonantola, Trieste. Infine nella sezione CHI RIMASE ho ritratto persone che tutt’ora vivono nell’Istria ora Slovenia. Le testimonianze sono state trascritte così come sono state registrate, seguendo i crismi della ricerca etnografica”.
C’è anche un volume che accompagna la mostra, non è solo un catalogo: che cosa racconta?
“Ci sono le fotografie esposte in mostra ma il libro approfondisce, in appendice, l’aspetto della nostalgia di chi scelse di andarsene, la vita quotidiana all’interno del Villaggio San Marco, la tradizione del 6 dicembre legata a San Nicolò e include anche i documenti relativi alla slavizzazione del cognome di mio padre e di mia sorella. Cambiare il cognome per mia sorella significò toglierle il diritto di frequentare a Pirano le scuole riservate alla minoranza italiana”.
C’è stato anche un importante supporto scientifico. Di chi e come si è sviluppato?
“Avevo da poco frequentato dei workshop di fotografia concettuale e creativa, che mi hanno fornito le basi tecniche per realizzare, al Campo di Fossoli, delle fotografie ‘costruitÈ (questi scatti non fanno parte della mostra, ma sono stati inseriti nel libro omonimo). Ben presto mi resi conto che quelle immagini da sole non sarebbero bastate a raccontare la storia della comunità istriana che era vissuta in quel luogo. Alcuni di quei workshop erano stati tenuti da Roberto Roda, responsabile del Centro Etnografico Ferrarese, e così mi rivolsi a lui per avere una supervisione scientifica che mi permettesse di realizzare il mio progetto. Ho inoltre avuto modo di conoscere Emiliano Rinaldi, la cui competenza è stata indispensabile nella supervisione grafica ed editoriale della mostra e del libro connesso. Fondamentale è stato inoltre il sostegno fornito dalla Fondazione Campo Fossoli, che si occupa della promozione e della gestione culturale e scientifica delle vicende legate al campo di Fossoli: la direttrice Marzia Luppi ha creduto da subito a questo progetto dandomi fiducia e supporto”.
La mostra sarà a Firenze, da oggi e fino al 30 settembre. Successivamente andrà nella Reggia Reale di Colorno, dal 9 al 25 novembre mentre nell’aprile del 2019 sarà esposta a Pirano. Oggi alle 17,30 l’inaugurazione, alla presenza di Fiore Filippaz testimone del Campo profughi di Padriciano di Trieste. Alle 21 un incontro sui temi della poesia in Istrioto di Dignano d’Istria di Loredana Bogliun, con l’introduzione di Emiliano Rolle coordinatore della Biblioteca Nova dell’Isolotto e condotto da Luca Larpi, poeta, docente a Siena. Il 19 settembre, alle 21, Silva Rusich, la cofondatrice del decennale premio Sergio Rusich mirato ad approfondire la conoscenza dei luoghi storici dell’esodo, e Alida Vatta, esule, saranno testimoni delle vicende delle loro famiglie. Il 26, ore 10, Matteo Mazzoni dell’istituto Storico Toscano della Resistenza affronterà un’analisi storica sul Confine Orientale.
Il 28, ore 10, si parlerà di ‘Flussi migratori. Numeri e problemi dell’esodo postbellico’ a cura di Massimo Livi Bacci docente di Demografia alla Facoltà Cesare Alfieri di Firenze.

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