Il piranese Franco Viezzoli racconta le sue grandi passioni

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Il piranese Franco Viezzoli racconta le sue grandi passioni

L’idea di quest’intervista è nata nei giorni scorsi, quando Franco Viezzoli presentò al pubblico un suo documentario su un viaggio in Dalmazia, organizzato dallo scomparso Silvio Cattalini, che fu per anni presidente dell’ANVGD di Udine, con un gruppo di affezionati amici, tra cui c’era anche il giornalista Pierluigi Sabatti, poco tempo dopo la fine della guerra nell’ex Jugoslavia. E insieme, con il critico d’arte Marianna Accerboni, ne hanno parlato in pubblico al Circolo della stampa di Trieste, di cui Sabatti è presidente. Alle immagini della crociera nell’Adriatico orientale l’autore aveva fatto precedere un racconto di sé, con tanti scatti della sua vita. Gli chiesi se mi avesse potuto dedicare qualche minuto e ne fu subito entusiasta, a patto che venissi a casa sua, per assaporare meglio, immersa nei suoi ricordi, negli oggetti di una vita, la sua lunga esperienza di esule fortunato. Fortunato, diremmo oggi, perché Viezzoli ha una bella famiglia, una moglie e tre figlie, la sua casa è lo specchio delle sue passioni: quadri, immagini, piccoli vascelli in miniatura da lui stesso costruiti con la collaborazione della moglie che confezionava le vele. Un piranese che ha sposato un’isolana, l’ho già visto nella mia famiglia, gli racconto, e questo come sempre scatena la ridda di ricordi di soprannomi, di luoghi, di incroci di parentele varie.

I simboli di un destino

“Ho trascorso la mia infanzia nella semplicità e serenità che la nostra terra sapeva dare ai suoi figli” dice nella sua presentazione per immagini: “La prima pagella recava stampato il fascio, l’ultima la stella rossa. Questi due simboli hanno determinato il nostro destino, ma poco importa, certi simboli lasciano il tempo che trovano, la dignità di un popolo resta”.
Franco Viezzoli a Trieste è un personaggio, partecipa a tutte le iniziative culturali, dedicate all’Istria, armato di macchina fotografica, riprende tutto, ha un archivio di immagini stratosferico. Ma è altrettanto conosciuto perché per lungo tempo, dal 1977 al 2000, fu ristoratore. In piazza Benco, attigua al centrale Corso Italia di Trieste, gestiva la vecchia e famosa “Trattoria Trieste mia”, oggi scomparsa a seguito di un drastico intervento nell’antico palazzo che la ospitava.

I clienti illustri della trattoria

“In quel luogo transitarono in tanti, mi racconta. Gli amici artisti di cui conservo alcuni quadri, Bressanutti, Duiz e lo scultore Ugo Carà, per ognuno dei quali ho realizzato un documentario. Ho un bel ricordo di Tino Buazzelli, assiduo cliente assieme a un gruppo della sua compagnia. Mi raccomandava sempre di dargli piccole porzioni, poi non resisteva alla buona cucina e finiva che mangiava più di tutti gli altri. Buoni clienti erano Maurizio Micheli, Tony Musante, Corrado Pani e altri che venivano in gentile compagnia, salvo Paolo Poli che era sempre da solo. Una volta Alida Valli e Lino Capolicchio con altri colleghi attori, senza prenotare mi riempirono il locale dopo aver finito lo spettacolo a teatro. In quel momento ero rimasto da solo e stavo seduto al tavolo di un ultimo affezionato cliente, De Dolcetti. Questi mi aiutò e facemmo mangiare tutti al meglio come sempre. Ricordo Jole Silvani, gli artisti della Contrada e Orazio Bobbio, che veniva anche con sua madre, poi molti politici, cantanti, scrittori: Fulvio Muiesan, Fulvio Tomizza, Guido Miglia. C’era poi un giornalista e caro amico, Franco Decleva, corrispondente Rai da Atene, molto assiduo quando tornava a Trieste. Una sera si trovò nel mio locale con un gruppo di greci che alloggiavano nel vicino albergo. Ne venne fuori una serata che sembrava di essere alla Plaka di Atene. Era della cerchia anche l’architetto Alessandro Psacaropulo, assieme all’architetto Antonio Guacci”.
Lo fermo subito perché Psacaropulo è quello che ha progettato la casa in cui vive; il suo stile c’è nel sontuoso portone d’ingresso, nella scalinata di marmo scuro, che porta ai vari piani ed appartamenti, nelle vetrate e terrazze che guardano dall’alto la città. Siamo su uno dei più bei colli di Trieste.
“Gli chiesi – mi racconta – di fare alcune modifiche interne per rendere più fruibili certi spazi che altrimenti erano inutili. Lui nicchiò. Lo sa come sono fatti gli architetti. Però realizzò quello che gli chiesi, anzi poi altri in casa approfittarono di quell’idea”.

Un padre minatore e tramviere in Istria

Facciamo un passo indietro. Viezzoli nacque ad Albona nel 1937, il padre era minatore in Arsia, la famiglia fortunatamente andò via prima del tremendo incidente che provocò 200 morti nel 1940. Ritornati a Pirano, dopo l’allagamento della miniera di Sicciole, il padre si mise a fare il tramviere.
“A quei tempi – racconta Viezzoli – la ferrovia Parenzana passava per Santa Lucia e da qui si raggiungeva Pirano con il tram. Da piccolo stavo in calle Andrea Dandolo, che attraversava la punta di Pirano da una parte all’altra e quando c’era bora e il mare si alzava, l’acqua entrava nella stradina da una parte e scendeva dall’altra. Io stavo sull’uscio con in mano il retino aspettando di prendere i pesci che passavano. Eravamo sempre in strada da bambini, andavamo a casa solo per mangiare e fare i compiti, non c’era televisione, nessuna tecnologia, un’infanzia felice, a misura d’uomo. Dopo le medie, andai a lavorare nell’officina del tram, nella ditta in cui lavorava anche mio padre. Nel 1952 feci quattro mesi di corso di meccanica a Sušak (mi mostra il certificato originale). Nel ‘53 hanno sostituito il tram con l’autobus, che imparai a guidare e a riparare. Per un guasto meccanico a un mezzo venni arrestato per sabotaggio e trattenuto alcune ore dall’OZNA. Al tempo dell’occupazione titina – mi dice – noi spiritualmente eravamo contrari agli slavi. Per dimostrare questa contrarietà il primo maggio andavamo a smontare i fili degli altoparlanti, rompevamo le lampadine con la fionda. Rifiutavamo la festa perché la trasformavano in una cosa loro a cui noi eravamo estranei. Fecero terra bruciata per gli italiani, non c’era alcuna possibilità di restare. Quando seppero che avevamo fatto domanda per venire a Trieste ci licenziarono immediatamente. Finimmo ad Opicina nei grandi bidoni, gli hangar abbandonati dai militari americani, poco dopo nel campo profughi di Padriciano e poi ancora a Prosecco dove conobbi mia moglie”.

Anni terribili

Furono anni terribili quelli, il freddo del Carso non lasciava scampo.
“Di notte mi svegliavo a Prosecco con la coperta spolverata dalla neve, che filtrava da tutte le parti, racconta, dovevo andare a piedi fino in via dell’Istria, una distanza notevole, dove c’era la tipografia Coana. Facevamo il corso tipografi, gestito dall’Opera Figli del popolo di don Marzari. Dopo qualche mese a Palazzo Vivante, aprirono il corso di meccanico che io volevo assolutamente frequentare. Mi dissero di no, perché non era possibile passare da un corso all’altro. Andai da monsignor Marzari e gli dissi che già una volta avevo subìto un’ingiustizia, quando alla fine della scuola chiesi di venire in convitto. Mi ero presentato a Trieste con il documento scolastico: volevo fare il Nautico. E invece c’era stato uno scambio di persona e dovetti tornare a casa. La mia protesta sortì l’effetto desiderato e passai al corso per meccanici con istruttore Pribetti di Rovigno. Fui diplomato con lode. In quel periodo mio zio, Miro Gubertini, volle che facessi un corso di inglese, perché aveva fatto domanda affinché entrassi nella Società Italia di Navigazione, con la quale era già imbarcato. Lo frequentai al circolo Marina Mercantile in via Rossini con il professor Bocciai. A Genova superai l’esame di ammissione, mi mandarono a fare la scuola alberghiera a Bordighera. Subito dopo mi imbarcai per il Nord America sulla Saturnia e poi su altre navi per qualche anno. Nell’ultimo periodo lavorai con i comandanti lussignani Crepaz e Ribarich, che subito dopo sarebbero andati a dirigere la Raffaello e la Michelangelo, ammiraglie della flotta. Capitò di essere imbarcato con Giulio Spessot, amico mio di Pirano, che finì a fare il cuoco alla Casa Bianca con Kennedy. Successivamente mise su un’impresa alimentare per surgelati, pranzi e cene per aerei. Costruì un impero, ma purtroppo morì giovane. Tra un imbarco e l’altro andavo a lavorare da Suban (importante ristorante cittadino di cucina tipica), e quando sbarcai definitivamente mi assunse stabilmente. Con la mia trattoria mi sono poi finalmente potuto dedicare alle mie passioni, il modellismo navale, la fotografia, i viaggi per conoscere il mondo dal vivo e motivare il tempo libero. L’Istria mi aspettava pazientemente e finalmente l’ho riscoperta come in un sogno meraviglioso, come il titolo del mio documentario del 1990 Un Sogno istriano”.

Oltre cento documentari

I documentari realizzati per immagini da Viezzoli, fin dagli anni 80, sono circa un centinaio, raccontano dell’Istria, della Dalmazia, del Quarnero, di lunghi viaggi in roulotte e camper fino alla Grecia con nella testa il famoso verso “Cantami o diva del pelide Achille”, e ancora in Spagna, Marocco, Portogallo e Turchia, poi Lituania, Lettonia, Estonia, Persia, Tunisia e Scozia, India e Nepal. Non ultimo un ciclo di dieci appuntamenti con i castelli del Valvasor, un documentario sul Liberty a Trieste, su Giuseppe Tartini, sulla Parenzana, su Pirano, per concludere con un omaggio alla poesia di Annamaria Muiesan Gaspari.
“Un girovagare per il mondo con il desiderio di fissare tramonti, squarci di cielo, palazzi, chiese, strade, luoghi sconosciuti, in una sequenza infinita di immagini e foto con la musica che la fa da regina. In Dalmazia ebbi la sensazione di trovarmi a casa mia, nel mio habitat, anche se la Dalmazia reca i segni di una nobiltà maggiore, in cui Venezia troneggia indiscutibilmente”.
Presidente della Famea Piranesa, aderente all’Unione degli Istriani di Trieste, Franco Viezzoli ha ereditato la carica da Rino Tagliapietra, anch’egli grande fotografo e documentarista.
“Non vedo un grande futuro per le nostre associazioni, afferma sconsolato, figli e nipoti sono lontani dal nostro mondo; è più facile che sopravvivano le Comunità degli Italiani in Istria che quelle degli Istriani in Italia”.

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