
Il nome di Giovanni Palatucci suscita sempre curiosità, scalpore, pietas e un desiderio di saperne di più. Questore a Fiume nel Ventennio e fino alla Seconda guerra mondiale, è stato protagonista di atti di eroismo nei confronti di cittadini di religione ebraica e altre persone prese di mira dal regime fascista. Molti hanno raccontato di essere stati salvati grazie al suo intervento. Eppure sulla sua figura ci sono ancora dubbi e soprattutto insinuazioni per ribadire esattamente il contrario di ciò che la storia ci ha tramandato. Ne parliamo con il presidente dell’Associazione Fiumani Italiani nel Mondo (AFIM), Franco Papetti, che recentemente ha voluto partecipare a Campagna ad alcune importanti cerimonie dedicate appunto a Giovanni Palatucci.
Perché Campagna, che cosa rappresenta questa località nella vicenda di Palatucci?
“Campagna è una cittadina in provincia di Salerno, non sulla costa, ma all’interno nella valle del Sele, sui Monti Picentini. Nel luglio del 1938 viene pubblicato sul ‘Giornale d’Italia’ il cosiddetto Manifesto della Razza, nel quale si affermava l’esistenza di una razza pura italiana di cui gli ebrei non facevano parte. Il successivo decreto legge del 7 settembre 1938, n.1381 portò all’allontanamento degli ebrei dalla vita civile, politica. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, gli ebrei giunti in Italia dopo il 1919, considerati stranieri, furono internati in campi appositi e le misure di internamento ricalcavano il modello di confino politico già utilizzato per gli oppositori del fascismo. Il ministero dell’Interno considerò Campagna un luogo ottimale. Si trattava di due ex conventi collocati alle estremità della città. Il convento Francescano di Concezione e quello Domenicano di San Bartolomeo, oggi sede del Museo regionale della Memoria e della Pace ‘Giovanni Palatucci’. Questi campi ospitarono, in un periodo che va dal 16 giugno 1940 all’8 settembre 1943, 590 persone, sia ebrei che italiani, oppositori al regime”.
Che ruolo ebbe in questa vicenda lo zio vescovo di Palatucci?
“Giuseppe Maria Palatucci (Montella, 25 aprile 1892 – Campagna, 31 marzo 1961) fu vescovo di Campagna dal 1937 fino alla sua morte nel 1961. Si prodigò per assistere gli ebrei presenti nei locali campi di internamento con il Segretario di Stato Giovanni Battista Montini, il futuro papa Paolo VI, cercando di evitare la deportazione degli internati nei campi di sterminio nazisti. Alla memoria del vescovo francescano, il 25 aprile 2007, il presidente della Repubblica ha assegnato il massimo riconoscimento al merito civile”.
Quale accordo esisteva tra i due Palatucci, nipote e zio?
“Giovanni Palatucci, addetto all’ufficio stranieri di Fiume dal 1937, nel 1944 fu reggente della Questura e da fervente cattolico si accordò con lo zio Vescovo per far affluire a Campagna i perseguitati, che Giovanni non riusciva a far espatriare. Così molti ebrei fiumani o provenienti dall’Europa centrale poterono salvarsi”.
La popolazione locale è fiera del Museo che gli è stato dedicato. Che cosa suscita una visita della mostra che lo racconta?
“L’Itinerario della memoria e della pace Centro di studi Giovanni Palatucci, è l’unico museo della memoria della regione Campania, moderno ed efficiente, organizzato nel convento di San Bartolomeo dove erano alloggiati gli internati. Fu istituito nel 2008. Al primo piano, attraverso una proiezione olografica, si narra la vita dell’internato ebreo fiumano Eugenio Lipschitz, che riuscirà a tornare a Fiume dove però verrà arrestato dai tedeschi e morirà ad Auschwitz. Nella sala emozionale, quattro proiezioni sincronizzate mostrano il percorso che i deportati erano costretti ad affrontare per giungere a Campagna e il ruolo di Giovanni Palatucci e dello zio vescovo. Al piano superiore è possibile visitare i luoghi emblematici degli ebrei all’interno del campo (camerata, sinagoga, oggetti di uso quotidiano) la galleria fotografica e documentale relativa alla vita di Giovanni Palatucci e i rapporti di fraterna amicizia che gli ebrei internati avevano con la popolazione di Campagna tanto che dopo l’8 settembre 1943 verranno nascosti dai campagnesi sulle montagne per evitarne il rastrellamento e la deportazione da parte dei nazisti”.
Lei è stato invitato a una cerimonia in onore di Palatucci, di cosa si trattava?
“Il Centro per la Pace di Campagna insieme al Rotary di Campagna hanno organizzato un convegno sulla pace e hanno voluto la testimonianza del rappresentante dei fiumani in considerazione del legame che unisce Fiume, Palatucci e Campagna. Tutto ciò su suggerimento dell’amico Francesco Avallone, residente a Campagna, nato a Fiume il cui padre poliziotto, guardia scelta, fu collaboratore di Giovanni Palatucci: Avallone Raffaele di Pasquale, prelevato dalla sua casa in via Valscurigne 38 a Fiume il 4 maggio 1945 e fucilato a Grobnico il 14 giugno 1945. Francesco partecipa spesso ai nostri raduni”.
Di Palatucci scrisse anche un autore importante come Paolo Santarcangeli. In che modo erano legati?
“Paolo Santarcangeli, avvocato e poeta ebreo, fermato in Questura il 18 giugno 1940, conobbe e fu anche aiutato da Giovanni Palatucci. Così lo descrive nel suo libro in ‘Cattività Babilonese’: ‘Chi era Giovanni Palatucci? Solo un piccolo commissario di polizia. Non aveva la vocazione dell’eroe: ma era un uomo pietoso. Furono i tempi a farne un eroe. Era piuttosto minuto, curato nella persona, d’un colorito pallido, esile, salute cagionevole. Amava la vita, gli scherzi, le nostre ragazze: in quel tempo era innamorato di una giovane, combinazione ebrea. Era patriota, ma le intemperanze dei fascisti gli davano fastidio e considerava come un’onta personale il razzismo in crescente espansione. Eravamo piuttosto amici. Nonostante ciò ci davamo del lei. La sua sorte è presto narrata. Aiutò in tutti i modi ebrei, slavi, antifascisti arrestati: voleva fare sentire che l’Italia era ancora un Paese civile. Tentava di riscattare le istituzioni che serviva e della quali allora dovette sentire vergogna. Consolò gli afflitti, soccorse i derelitti. Favorì qualche evasione. Scoperto e torturato dai tedeschi, fu mandato in campo di sterminio, in Germania. Non ne tornò’”.
Perché molti vogliono screditare la sua figura?
“Nel 2013 il Centro Primo Levi di New York ha posto in dubbio che Giovanni Palatucci fosse il salvatore di centinaia di ebrei e insinuò che la sua figura di Schindler italiano fosse stata costruita artificialmente nel dopoguerra. Si è aperto così un dibattito sulla figura di Palatucci, ma tuttavia la serie di testimonianze in suo favore e di altri scritti di storici hanno avvalorato la sua opera e lo Yad Vashem ha giudicato irrilevanti gli studi condotti dal Centro Primo Levi confermando il titolo di ‘Giusto’ fra le nazioni”.
Fiume fu per Palatucci una destinazione punitiva, eppure se ne innamorò. Perché?
“Fiume, come sappiamo, è sempre stata una città inclusiva. Tutti coloro che si trasferivano nella città del Quarnaro in poco tempo diventavano più fiumani dei fiumani. Palatucci arrivò nel 1937 dalla Questura di Genova, spostato perché non perfettamente allineato con l’ideologia fascista. Si ambientò subito e qui visse per sette anni fino alla cattura e alla deportazione. A Fiume trovò anche l’amore di una ragazza di religione ebraica. Quando i tedeschi entrarono a Fiume dopo l’8 settembre 1943, le loro forze di polizia avocarono le funzioni della Questura, relegando al ruolo di mera esecuzione di ordini la polizia italiana, alla quale furono sequestrati armi, munizioni e automezzi. Mentre gli altri funzionari della polizia di Fiume si fecero trasferire presso sedi dislocate nella neonata R.S.I, Palatucci preferì invece restare. Palatucci spesso si recava a Tieste per incontrare il suo amico console, che nel 1944 gli offrì un passaggio sicuro verso la Svizzera. Palatucci accettò, ma solo per mettere in salvo la sua giovane amica ebrea, Mika Eisler. Dopo il suo arresto fu trasferito proprio a Tieste, al Coroneo dove nei 40 giorni di permanenza fu interrogato e torturato, non fece alcun nome né di colleghi a lui vicini, né di oppositori al nazional-socialismo e alla R.S.I. esterni alla Questura, né di ebrei. Un riscontro lo si ricava dal fatto che dopo il suo arresto non venne operato alcun fermo. Venne trasferito a Dachau, dove giunse il 22 ottobre 1944, numero di matricola 117826 e, in quanto internato politico di nazionalità italiana, indossò una casacca con un triangolo rosso avente al centro la lettera I. Morì il 10 febbraio 1945 per tifo petecchiale”.
Tra le tante figure che gli esuli ricordano, quella di Palatucci è forse la più defilata. Come lo spiega?
“Sì, questa è una grave mancanza alla quale cercheremo di porre rimedio grazie anche a questo incontro avuto a Campagna con il Centro studi ‘Giovanni Palatucci’. Diciamo che è un primo passo per progetti comuni di approfondimento. Abbiamo programmato incontri con il direttore Marcello Naimoli per valorizzare il più possibile questa figura di eroe che tanto amò la nostra Fiume. Cercheremo di riportare Giovanni Palatucci a Fiume con il supporto della locale comunità ebraica della quale, nel corso del tempo, fecero parte personaggi indimenticabili, tra cui, per citarne alcuni, Michele Maylender, Paolo Santarcangeli e Leo Valiani”.
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