
Trieste, la città che per prima accolse l’esodo di Istriani-Fiumani e Dalmati durante e dopo la Seconda guerra mondiale, è stata teatro, solo una settimana fa del 50esimo Incontro Sociale dei Cattolici italiani terminato con la Messa del Papa in P.zza Unità d’Italia. “Al cuore della democrazia – Partecipare tra storia e futuro” il tema scelto per questo appuntamento. Le iniziative si sono moltiplicate in vari luoghi della città e sono scese nelle strade per incontrare la gente. Un’incredibile suggestione: nella città laica che l’esodo aveva scosso fin nelle fondamenta portando una fede convinta e accompagnata dal ruolo di Monsignor Antonio Santin, cattolici di tutta Italia sono venuti a rendere omaggio ad una realtà composita che diventa patrimonio tangibile nell’Europa di oggi. Le forti contrapposizioni degli anni bui del Novecento europeo, come monito per un mondo del futuro convinto della necessità di un superamento delle divisioni, per un’Europa della pace. Nel cuore del dibattito il ruolo ed il significato del “Codice di Camaldoli” come documento base per la creazione dell’idea d’Europa. La sua storia è significativa. Siamo nel 1943 e un gruppo di intellettuali di fede cattolica, riuniti a Camaldoli, elaborano un Codice nella forma di documento programmatico nel quale vengono trattati tutti i temi della vita sociale: dalla famiglia al lavoro, dall’attività economica al rapporto cittadino-stato.
Curioso il particolare del luogo, Camaldoli, la località in cui venne fondato l’ordine dei Monaci camaldolesi da Romualdo che nel suo peregrinare visse per lungo tempo in una grotta in Istria, poco distante dal Canale di Leme, dove San Romualdo, si ritirò in meditazione.
A parlare del ruolo del Codice anche Monsignor Giuseppe Lorizio, noto teologo che ora svolge il ruolo di direttore dell’Ufficio Cultura del Vicariato di Roma ed è assistente nazionale del MEIC (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale).
Perché questo dibattito proprio a Trieste, chiediamo.
“Trieste è certamente un luogo di frontiere geografiche, culturali ed etniche. In questi giorni, si propone come zona di frontiera fra storia e futuro a partire dall’istanza democratica, che tanto sta a cuore a tutti noi sia come cittadini che come credenti. La necessità di rileggere e interpretare la storia per immaginare il futuro consente di rilevare come non bisognerebbe mai dare per scontata la democrazia che, data la sua fragilità è sempre a rischio e dovrà essere di volta in volta, oserei dire di generazione in generazione, ripensata e riproposta”.
Che cosa schiude il titolo del dibattito “Verso una Camaldoli europea”?
“Nel lontano 1943 una trentina di intellettuali cattolici si riunirono nel monastero di Camaldoli in Toscana per riflettere sul ruolo dei credenti nella politica del Paese. Il documento che stilarono si denomina Codice di Camaldoli e vide la luce due anni dopo, proponendosi come insieme di linee guida per quanti, dopo la guerra, si impegnarono nella vita politica, dando vita alla Costituzione italiana. Oggi tutti avvertiamo che l’Europa ha bisogno di un colpo d’ala, oserei dire di un’anima. Trieste come città di frontiera è il luogo più indicato per proporre una ‘Camaldoli europea’, che non potrà ovviamente riguardare soltanto i cattolici, ma dovrà necessariamente coinvolgere i credenti di altre confessioni cristiane e di altre religioni, nonché anche non credenti e diversamente credenti. Di qui la presenza, insieme a voci di ambito giuridico, del sottoscritto che porta l’istanza teologica nel dibattito”.
Trieste è la città dell’esodo, da qui sono passati più di ottantamila istriani, fiumani e dalmati esuli dalle loro città. In che modo il loro esempio, la loro sofferenza, diventano oggi patrimonio europeo, simbolo di una tragedia da superare tutti insieme?
“La posizione frontaliera è certamente scomoda e rischiosa, in quanto può, come spesso accade, essere luogo di conflitti anche cruenti, il cui superamento richiede pazienza e dialogo. L’Europa in questa prospettiva potrà certamente costituire un orizzonte di accoglienza per popolazioni diverse e in contrasto fra loro. Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica ‘Ecclesia in Europa’ parlava di globalizzazione della solidarietà e nella solidarietà, proponendo il cosiddetto vecchio continente come luogo emblematico di compresenza pacifica e feconda di diversità etniche, culturali, religiose e linguistiche. Un auspicio che va ripreso e rivitalizzato nel contesto odierno”.
Qual è il ruolo della cultura nel promuovere nuovi principi ed ampliare il dibattito sul futuro che desideriamo?
“L’esercizio della democrazia non si esprime soltanto nei momenti elettorali, oggi peraltro disertati da quasi la metà degli italiani, ma è un’attitudine che si innesta su una mentalità. Proprio tale innesto appella alla necessità della cultura e della formazione, cui la Chiesa da sempre offre ed è sempre chiamata ad offrire un contributo notevole e creativo nel Paese, attivando forme di coabitazione e collaborazione con altre appartenenze religiose, culturali e politiche. Il codice di Camaldoli rappresenta un momento alto di riflessione e partecipazione da parte di credenti in specie laici alla vita politica. L’evento di Trieste è stato preparato da ben due anni di lavoro per essere vissuto non solo nelle conferenze e nei momenti istituzionali più importanti quali la lectio offerta dal presidente Sergio Mattarella e la celebrazione eucaristica presieduta da papa Francesco domenica. Qui si sono vissuti momenti laboratoriali, piazze e tavole rotonde tematiche volte a stimolare la partecipazione sia del vasto pubblico che dei delegati”.
Con quale fine?
“La settimana si apre mentre si chiude, ovvero allorché i partecipanti ritornano nelle chiese e nei territori di provenienza, dove sono chiamati all’impegno quotidiano nella formazione tendente a innestare una cultura democratica fra quanti non sono presenti a Trieste, ma si sentono chiamati a prendere a cuore (parola che nel titolo risuona particolarmente evocativa) le sorti della nostra democrazia. Una riflessione che non può limitarsi al nostro Paese, così come – e lo ha sottolineato il presidente dei vescovi italiani Matteo Zuppi – i cattolici non devono rinchiudersi nelle sacrestie, ma partecipare alla vita pubblica. Il villaggio globale richiede attenzione al mondo intero e in particolare a quei luoghi in cui si vivono conflitti armati devastanti. Per questo l’incontro coi bambini di Gaza oltre che un profondo senso umanitario ha avuto un forte valore simbolico, in quanto esprime vicinanza al popolo palestinese vittima sia del terrorismo islamico che delle incursioni militari dello stato israeliano. Entrambi questi soggetti hanno provocato morte e sofferenze atroci nella popolazione civile, che non vuole la guerra, ma la pace”.
Nel dopoguerra, sono stati molti i sacerdoti che hanno seguito la popolazione nelle località dell’esodo. In che modo la chiesa riconosce questo loro impegno?
“L’esodo non è soltanto un’esperienza di disorientamento e di estraniamento, ma anche un momento in cui si può pensare e recuperare la propria identità soprattutto spirituale. In questo le popolazioni esodate hanno bisogno di guide spirituali illuminate, come sono stati Mosé ed Aronne per il popolo d’Israele nel deserto. Questo il compito di quanti sono chiamati a svolgere un ruolo pastorale nei confronti di persone e gruppi costretti ad abbandonare i propri territori”.
Nel mese di novembre di quest’anno, l’Associazione Fiumani italiani nel Mondo omaggerà i sacerdoti fiumani e la loro opera a Pisa, dove in 25 raggiunsero il Vescovo Ugo Camozzo, tutti costretti ad abbandonare Fiume nel dopoguerra. Tra loro padre Severino Dianich. Come è considerata la loro opera dalla chiesa?
“Certamente la loro opera è oltremodo meritoria. Per quanto riguarda il teologo Severino Dianich immagino che la sua origine fiumana abbia influenzato il suo pensiero, che si caratterizza per la sua grande apertura e dinamicità. Il riconoscimento da parte della gerarchia cattolica è risultato tardivo, ma c’è stato nel momento in cui don Severino è stato chiamato a far parte del sinodo sulla sinodalità”.
In che modo i principi di Camaldoli diventano oggi una via per l’Europa, quali i loro contenuti più importanti?
“Innanzitutto, l’impegno dei laici credenti nella vita pubblica e nella politica che ha dato vita a significativi contributi in primo luogo al processo che ha condotto alla costituzione repubblicana e quindi alla presenza dei cattolici nell’agone politico, con un loro partito di appartenenza. I tempi sono molto cambiati e oggi i cattolici risultano presenti in diverse compagini partitiche. La Camaldoli del passato nel suo codice non parla dell’Europa, laddove oggi invece auspichiamo come Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale (MEIC erede dei laureati cattolici che hanno dato vita a quel fecondo momento) che si declini in senso europeo la presenza nella vita pubblica e sociale. In questa prospettiva la Camaldoli europea non potrà essere solo di cattolici, ma a mio avviso dovrà caratterizzarsi come interconfessionale, dando spazio ai diversi cristianesimi presenti nel continente, interreligiosa, valorizzando anche le radici ebraiche ed islamiche dell’Europa e interculturale, attraverso l’ascolto di non credenti e diversamente credenti”.
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