
“Accendi la radio, forse sapremo qualcosa dei nostri cari…”, sussurravano nelle case ancora piene dei racconti di guerra. Storia e presente si intrecciavano e già si raccoglievano notizie e testimonianze. Lo scrittore Pier Antonio Quarantotti Gambini, nato nel 1910 a Pisino, era dentro quella radio. Pisino e l’Istria, soprattutto l’Istria occidentale con Capodistria e Pirano, con le loro vicende novecentesche, influenzarono fortemente la produzione letteraria di Pier Antonio. Quasi tutti i suoi romanzi sono infatti ambientati in questa terra mitica dell’infanzia, ai primi affetti, rivisitati anche alla luce del ricordo con l’amara consapevolezza che quel mondo fosse definitivamente tramontato. Un destino comune a tanti autori che anche nei decenni successivi coglieranno gli ultimi respiri di una terra destinata a scomparire nella cenere e rinascere come Araba Fenice ma diversa, per certi versi stravolta.
Nel 2025 ricorderemo l’anniversario della prematura scomparsa di Pier Antonio Quarantotti Gambini avvenuta nel 1965, ma in questo 2024 è giusto menzionare l’autore anche nel ruolo di giornalista radiofonico. Nell’anno del centenario dalla prima trasmissione di Radio Rai, è legittimo riandare con la memoria anche all’importanza che questo strumento ebbe nella storia della Seconda guerra mondiale e nell’esodo e sul ruolo che continua ad avere oggi nel promuovere le iniziative legate a Esuli e Residenti di un piccolo popolo sparso, i giuliano-dalmati.
Il trasferimento a Venezia
Al termine della guerra Quarantotti Gambini si trasferirà a Venezia dove, tra il 1945 e il 1949, lo scrittore dirige Radio Venezia Giulia, da lui stesso creata, con il fermo proposito di mantenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica italiana e internazionale sulla fragilità delle frontiere orientali dell’Italia e sul dramma degli esuli. Gambini aveva già raggiunto la fama con romanzi come “L’onda dell’incrociatore”, “Amor militare” e “Il cavallo Tripoli”. Ma un’attenzione particolare gli deriverà dai tre libri portati sul grande schermo, con un’analisi comparata del rapporto tra opera letteraria e cinematografica. Infatti nel 1960, “L’onda dell’incrociatore”, forse il suo libro più significativo, diventa un film diretto da un grande cineasta francese Claude Autant-Lara e viene intitolato “Les Règates de San Francisco” che nell’edizione italiana diventerà stranamente “Il risveglio dell’istinto”. Poi nel 1964 Florestano Vancini si ispira all’autore istriano per realizzare “La calda vita”, tratto dal romanzo omonimo, ma con molte licenze e variazioni rispetto al testo letterario. Il film è interpretato da Gabriele Ferzetti, Jacques Perrin e Catherine Spaak. Nel 1973, infine, Franco Giraldi porta sullo schermo “La rosa rossa”, l’omonimo romanzo del 1937, il film che inizia la trilogia della frontiera di Giraldi e che è interpretato, tra gli altri, da Alain Cuny. Un film raffinato e prezioso che testimonia l’atmosfera di un’epoca con l’ambientazione di Capodistria alla fine della Prima Guerra Mondiale. Il film rappresenta ancora oggi uno spaccato della società istriana di allora, tra spirito austroungarico e passione italiana.
Un impegno importante
Ma come furono quegli anni alla radio ce l’aveva raccontato in una lunga intervista realizzata per TV Capodistria, il fratello Alvise, avvocato, che aveva trasformato la sua casa a Venezia in un mausoleo degli intellettuali della famiglia, a partire dal loro padre che aveva lasciato una biblioteca ricchissima e poi di Pier Antonio che aveva avuto la grande soddisfazione di vedere tradotti i suoi libri in quasi tutte le lingue del mondo. Facevano bella mostra in un salone con vista sul Canal Grande riempiendo un tavolo centrale e alcuni laterali tanto era ampia la mole delle pubblicazioni. Ecco perché ci affascinò questa casa a Venezia, non lontana dal Ponte delle Tette, dove tutto era fermo a quel lontano 1965 quando, colto d’infarto, moriva Pier Antonio Quarantotti Gambini. Il foglio di carta infilato nella macchina per scrivere, la pipa pronta per essere accesa, le rose nel giardino segreto, la scala segreta che dalla strada portava direttamente alla stanza da letto affrescata. Tutto era vivo, palpabile, senza la pesantezza del dolore per la perdita di un congiunto che s’era amato tanto, ma piuttosto con la caparbietà di demandare al prossimo il messaggio di un impegno importante.
Dalla stretta calle si entrava nella casa da una piccola porta per trovarsi in un ampio spazio che immetteva da una parte sul canale, dall’altra accompagnava alla scalinata che portava al piano nobile. Sulle pareti carte geografiche e stampe, tutto era Istria. Nella biblioteca i libri che erano stati del loro padre, pietre miliari della storia di queste terre adriatiche, materiale dal quale Pier Antonio aveva succhiato linfa per i suoi scritti e aveva tratto ispirazioni per le lunghe conversazioni con il fratello ed i numerosi amici che l’accompagnavano. Era uomo cordiale, oltre che colto, affascinante.
La sua fama era arrivata lontano, molto lontano.
Il sì di Bobi
Nell’armadio i suoi abiti e ciò che rimaneva di vecchie pizze di interviste e filmati realizzati dalle TV o i cineasti in occasione della vincita dei numerosi premi o collateralmente alla presentazione dei film tratti dai suoi libri.
Nota dolente. Di tutta questa ricchezza, dopo la morte dell’avvocato e della sorella, nulla è rimasto in quella casa. L’ha ricordato più volte durante i convegni sull’autore anche Piero Delbello, direttore dell’IRCI, prendendo parte, nel corso degli anni, agli incontri dedicati all’autore capodistriano. L’IRCI, custodisce una parte importante del materiale appartenuto allo scrittore.
Tra i tanti carteggi, anche quello con Roberto (Bobi) Bazlen, altro personaggio chiave della cultura di queste terre. Gambini si fidava completamente di Bazlen il cui giudizio era fondamentale per la pubblicazione dei suoi libri. Quasi una questione scaramantica, solo il sì di Bobi sbloccava la via alla stampa.
Ma cosa fu la parentesi radiofonica?
Nell’autunno del 1945, su proposta del CLN giuliano e per iniziativa del Ministero degli Esteri, viene allestita “Radio Venezia Giulia”, l’unica emittente clandestina italiana del dopoguerra, allo scopo di garantire l’informazione e il sostegno psicologico alla popolazione italiana della regione Venezia Giulia e in particolare a quella residente in Istria sotto il controllo jugoslavo. Grazie all’impegno della missione diplomatica del conte Justo Giusti del Giardino, l’attività di “Radio Venezia Giulia”, assume pure la funzione di strumento per la raccolta di informazioni, per mezzo di propri agenti, nei territori occupati dagli jugoslavi, contrastando così i diversi tentativi di infiltrazione dello spionaggio titoista e di propaganda anti italiana, in uno scenario di piccola “guerra fredda” adriatica. L’emittente opererà continuativamente e clandestinamente a Venezia, sotto la direzione dello scrittore dal novembre 1945 al settembre 1949 e dopo un breve periodo di interruzione riprenderà i programmi grazie a un accordo tra il governo italiano e la Rai.
Di quell’esperienza di Quarantotti Gambini non si seppe nulla per anni. Mezze ammissioni a voce, praticamente nessuna traccia scritta. Solo pochi anni fa lo storico Roberto Spazzali, seguendo tracce nascoste e scavando negli archivi, è riuscito a ricostruire la vicenda in “Radio Venezia Giulia” (Leg/Irci, 2013). Un contributo importante è arrivato dal ritrovamento delle carte salvate dallo scrittore e dal fratello Alvise, che della radio fu direttore amministrativo: note di agenzia, appunti, lettere, bozze, che formavano il materiale preparatorio per i servizi dell’emittente e che i due fratelli avevano conservato.
Una parte di noi
Ma come era finito Quarantotti Gambini nel mezzo di quella vicenda? Nel 1942 – ci aveva raccontato Alvise – era stato nominato direttore della Biblioteca civica triestina, incarico che mantiene anche sotto l’occupazione nazista. Fatto che gli costò, a guerra finita, la destituzione. Su quella vicenda scriverà il pamphlet “Un antifascista epurato”, mentre i giorni dell’occupazione titina rivivranno in “Primavera a Trieste”. Ma la frustrazione non lo lascerà tanto da definirsi “un italiano sbagliato”. Se ne va a Venezia dove lo zio, Antonio de Berti gli offre la direzione di Radio Venezia Giulia. La radio inizia le trasmissioni il 3 novembre, giorno di San Giusto. I primi mesi sono frenetici. Vengono trasmessi due notiziari al giorno, e Quarantotti Gambini scrive personalmente la dozzina di pezzi che li compongono, in attesa dei collaboratori che arriveranno nei mesi successivi. Rubriche economiche, culturali e molta politica completano il palinsesto. Poca musica, a volte l’Inno di Trieste, ma anche Bandiera rossa chiudono la lettura degli articoli. Non è mai stata chiarita del tutto la paternità dell’idea di impiantare una stazione radio rivolta agli italiani di Trieste e dell’Istria, che li invitasse a tenere duro mentre la loro sorte era in bilico e al tempo stesso raccogliesse informazioni dalle zone occupate.
In quegli anni la radio è fondamentale. C’erano stati gli esempi di Radio Londra, Radio Bari, emittenti molto ascoltate in tempo di guerra. La terza vita di Radio Venezia Giulia nasce all’insegna del sostegno del ritorno di Trieste all’Italia. Nel 1952 prende il via, all’interno della sede veneziana della Rai, “L’ora della Venezia Giulia”. Titolo che è rimasto nel programma radiofonico dedicato alla minoranza italiana presente in Istria, Fiume e Dalmazia che ancora oggi, lontano erede di Radio Venezia Giulia, viene irradiato dalla Rai di Trieste e prende il nome di Sconfinamenti, già Voci e volti dell’Istria condotta da Guido Miglia e successivamente da Ezio Giuricin e Biancastella Zanini.
I cent’anni dal primo annuncio Rai alla radio contengono anche una parte di noi.
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