Un’identità frammentata

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Un’identità frammentata

In che cosa consiste il carattere di un popolo? Stando a una celebre affermazione di Benedetto Croce, quello che conta è “la sua storia, tutta la sua storia, nient’altro che la sua storia”. Da questa tesi si evince che il carattere di un popolo non è dato una volta per tutte, ma è in continua evoluzione, alla luce anche dell’esigenza di adeguarsi ai tempi che corrono. Fiumi d’inchiostro sono stati versati per dissertare del carattere nazionale italiano e ancor meglio della coscienza e dell’identità nazionale italiana, della consapevolezza di tale identità. Nel caso di una minoranza che vive in una tormentata terra di frontiera, con una storia ricca e complessa, la questione presenta sfumature ancor più particolari.
Si dirà che non sia affatto scontato essere coscienti della propria italianità. Conta certo l’appartenenza nazionale, ma in un’area che è stata testimone di scontri ideologici profondi non può essere dimenticata l’identità di classe, unita a quella professionale. E dulcis in fundo, in un periodo in cui Piazza Zanella ci ricorda le esperienze dell’autonomismo, come non ricordare l’importanza che da queste parti ha sempre assunto l’identità municipale o locale, forse in termini ancora più marcati di quella regionale.
Tante volte, negli ultimi decenni, in seno alla Comunità Nazionale Italiana si è parlato delle spinte campaniliste, con le cariche politiche che sono state suddivise tenendo conto in maniera accurata di un manuale Cencelli in chiave tutta territoriale. Ma se guardiamo al mondo della diaspora notiamo lo stesso fenomeno: tante comunità e associazioni spesso in ordine sparso unite dal richiamo al campanile d’origine. Ed è un bene che sia così. In realtà questa frammentazione identitaria non riguarda soltanto il nostro composito mondo dell’Adriatico orientale, con tutte le sue contraddizioni storiche, ma anche gran parte dello Stivale. Gli italiani hanno spesso avuto una diversificazione dei centri di interesse. Basti pensare allo sviluppo della penisola dopo la caduta dell’Impero Romano, caratterizzato da una molteplicità di soggetti autonomi. L’Italia ha tardato a conseguire la sua unità rispetto ad altre grandi e importanti nazioni europee. Ma questo ha fatto sì che abbia avuto nei secoli decine di capitali, spesso in concorrenza tra loro, che hanno sviluppato ciascuna un’invidiabile cultura, con opere d’arte che hanno fatto scuola nel mondo.
Sull’Adriatico orientale di città importanti in cui la lingua e la cultura d’impronta italiana hanno lasciato un segno profondo nel tessuto urbano ce ne sono tantissime. In Istria, nel Quarnero, ma se guardiano indietro nei secoli forse soprattutto in Dalmazia. Ancora nella prima metà dell’Ottocento Zara e Spalato gareggiavano tra loro con podestà che s’identificavano nella cultura italiana. E ancor oggi la minoranza s’identifica praticamente dappertutto con gli antichi campanili, va fiera dei suoi retaggi locali: identità nazionale e locale sono legate a doppio filo e guai a volerle recidere d’un colpo. C’è il rischio di un indebolimento dell’una e dell’altra. Ma è altrettanto chiaro che in un mondo sempre più globalizzato, complesso e competitivo come quello attuale, ciò non può più funzionare come nel passato. Bisogna adeguarsi ai tempi, pensare alle sinergie, avere uno sguardo d’insieme, pensare alle realtà più deboli. Se nel passato i mille campanili in competizione tra loro erano una forza che portava al progresso, oggi non necessariamente è così. Fare sistema oggi è la parola chiave nel mondo, lo dovrà essere anche nel caso del microcosmo nostrano, a prescindere se parliamo di rimasti o esuli. Pena l’indebolimento per tutti.

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