ROBE DE MATTEONI Sole d’Oriente

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ROBE DE MATTEONI Sole d’Oriente

Maggio 2002. Dopo un viaggio di quasi 14 ore atterriamo all’aeroporto Narita di Tokyo. Zvonimir Boban, per l’occasione opinionista del “mio” giornale Sportske novosti, ed io, cronista per le partite della nazionale croata ai Mondiali in Giappone e Corea del Sud. Un’esperienza unica al fianco di Zvone, a cui mi lega un rapporto d’amicizia di lunga data. L’avevo conosciuto quando giocava a Medolino le partite di preparazione con le giovanili della Croazia sul finire degli anni ‘80. In qualità di giornalista trascorrevo tanto tempo con quella generazione di piccoli fenomeni, campioni del mondo 1987 in Cile.
Con lui in terra nipponica imparavo a vedere il calcio con occhi diversi. Come opinionista era preparatissimo. Durante le partite poneva l’accento su tanti dettagli e si divertiva a pronosticare il risultato finale. E azzeccava sempre, anche quando disse che la Croazia avrebbe battuto l’Italia. Girando per le vie di Tokyo, mi bastò poco per capire che in Giappone sapevano tutto del Milan e di Boban. L’aspetto che più mi colpì fu che per quanto lo amassero, nessuno si avvicinava per chiedergli una foto oppure un autografo. Ma è possibile!? Sì, è possibile perché sono giapponesi. Aspettavano in silenzio e quando Zvone faceva un cenno col capo si avvicinavano, aspettando rigorosamente in fila. Che cultura questo popolo. Ne parlavo con Zvone a bordo dello Shinkansen, uno dei loro treni superveloci con il quale ci spostavamo per raggiungere le sedi delle partite. Gli dissi che quattro anni prima, in occasione dell’incontro col Giappone al Mondiale in Francia, non poteva vedere ciò che stava succedendo prima e dopo la partita. I tifosi giapponesi sprovvisti di biglietto erano disposti a pagare cifre esorbitanti per entrate allo stadio di Nantes. Faceva un caldo torrido, ma loro con le scritte “Tickets please” in mano erano lì e aspettavano. Mi dispiaceva per loro quando entravo in tribuna stampa. Dopo mezz’ora guardo la curva sud, destinata ai tifosi croati. In mezzo c’e una grande macchia blu. Un migliaio di nostri tifosi aveva appena venduto i biglietti ai giapponesi a prezzi gonfiatissimi. Dopo mi dissero che grazie a ciò poterono prolungare il soggiorno in Francia di una settimana… Per un attimo pensai: e se in tribuna i tifosi così mescolati dovessero scannarsi tra di loro? Gli steward e gli addetti alla sicurezza erano giustamente preoccupati, ma non successe nulla. E dopo la partita un’altra sorpresa. Davanti allo stadio vedo una fila di giapponesi che non finisce più. La temperatura è vicina ai 40 gradi, ma loro se ne stanno diligentemente l’uno dietro all’altro. Aspettavano con le borse nylon il loro turno per buttare le bottigliette di plastica e altre cartacce nei bidoni dell’immondizia. Da non credere!
La cultura giapponese è unica. Così quando vedo Taichi Hara, il nuovo beniamino dei tifosi dell’Istra 1961, inchinarsi ogni qualvolta esce dal terreno di gioco, mi torna in mente l’atmosfera delle tre settimane vissute in Giappone. Finite male per l’eliminazione della nazionale già ai gironi, ma un’esperienza straordinaria in un Paese straordinario.
Il Giappone è il Paese del Sol levante. E Hara è diventato il giocatore che fa sorgere il sole ai tifosi polesi. Nipponico atipico con i suoi 190 centimetri, ma con la cultura del lavoro e del rispetto che viene prima di tutto. In quattro partite di campionato e due di Coppa ha segnato 4 gol e fornito 5 assist! Fino all’arrivo di Hara (e di Bandé) l’Istra pareva spacciato, ma con lui è improvvisamente cambiata la musica e i gialloverdi sono usciti dalla zona rossa spingendosi fino alle semifinali di Coppa. A Pola contro il Rijeka. Come sette anni fa, quando i fiumani alzarono poi al cielo il Sole di Rabuzin dopo aver sconfitto la Dinamo.
Hara è un talento purissimo e dopo sole sei partite sta già facendo gola a tanti. Che ci crediate o no, dopo la sconfitta col Gorica, al suo esordio, aveva inviato ai compagni un messaggio di scuse su WhatsApp. Si diceva dispiaciuto per la sua prestazione e prometteva che avrebbe dato l’anima. Grazie a lui, dopo tante nubi, a Pola stanno finalmente spuntando i primi raggi di sole. Non solo con gol e assist, ma anche e soprattutto con la cultura e il rispetto per il lavoro e le persone.

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