ROBE DE MATTEONI Il calcio perso per strada

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ROBE DE MATTEONI Il calcio perso per strada
Foto Carl Sandin/Bildbyran/PIXSELL

Ai tempi della Serie A stile NBA, a cavallo tra gli anni 80 e 90 del ventesimo secolo, varie volte c’era l’uso del paragrafo X. Se un allenatore veniva esonerato stava fermo, in seguito nella stessa stagione molti ritornavano sulla stessa panchina. Nei primi anni non capivo la questione, poi quando c’erano anche due esoneri della stessa persona, e il terzo ritorno in stagione, mi informai bene. In Italia era in vigore la regola che un allenatore poteva dirigere solamente un club della stessa categoria durante la stagione. L’Associazione allenatori era molto decisa sulla regola e Renzo Ulivieri, che ne è presidente dal 2006, lo spiegò in una trasmissione della RAI. “Se diamo ragione ai club allora per gli allenatori italiani ci sarà solo il buio. I presidenti li cambierebbero dopo ogni periodo di crisi. Se non c’è il debito tempo per lavorare nessun allenatore può fare un buon lavoro”.
Il “tempo debito” nel calcio moderno è una categoria che sta scomparendo. I risultati sono l’inizio e la fine della storia, da qui la posizione degli allenatori è a dir poco debole. Ne sa qualcosa Željko Sopić, che in settimana è stato esonerato dal Rijeka. Dopo nemmeno un anno, con risultati buoni e dopo due turni del nuovo campionato, la proprietà ha deciso di farlo fuori. Perché? Da troppo tempo si parlava dietro le quinte che il presidente Mišković non lo sopporta. Mi dicono i cosiddetti ben informati che tutto è cominciato con la storia dell’americano Steven Juncaj, giocatore di 27 anni. Arrivato al Rijeka nel agosto 2023, quest’ala che non si è fatta valere in Slovenia è presto diventata un problema per Sopić. L’allenatore infatti non gli dava spazio perché non aveva le qualità necessarie. Mišković sarà stato di un’idea diversa in quanto il padre del giocatore, l’imprenditore George (origini montenegrine), figurava come un partner forte per il progetto del Rijeka. Facile capire la vicenda. Un papà che ha tantissimi soldi e vuole sodisfare i desideri sportivi del figlio. Un presidente-proprietario che è in continua ricerca di partner, sponsor e anche acquirenti del club. Infine un allenatore che è abbastanza rude nei comportamenti e persistente nelle sue idee.
Un mix di desideri e vedute differenti, che pian piano ha portato al gelo fra il patron e l’allenatore. Steven Juncaj è ritornato nel club americano del padre, il Michigan, mentre George tiene duro sul fatto che suo figlio giochi in Europa. Così ha virato verso Murska Sobota, ritornando il Slovenia dopo la parentesi con il Gorica. Sempre con la stessa idea, aprire spazio per il figlio Steven…
Željko Sopić è stato praticamente messo alla porta dopo due turni in campionato e tre partite in Europa, senza sconfitte. Il Rijeka è per adesso nelle mani di Rade Đalović, che mi pare più un traghettatore che una scelta a lungo termine. Se il Rijeka ha disputato una buonissima stagione, vicecampione e anche finalista di Coppa, affermando vari giocatori, si può dire che il tecnico abbia fatto un buon lavoro. Ovviamente ognuno la pensa a modo suo del personaggio e del lavoro tecnico svolto, ma è lecito dire che Sopić non ha deluso. Anzi. Che cosa allora non va bene se un club cambia l’allenatore anche con simili risultati?
Difficile capirlo, però un dato parla abbastanza delle abitudini di Mišković. Dopo l’era dorata con Matjaž Kek, durata 5 anni e 8 mesi con un titolo di campione, due Coppe e una Supercoppa, il Rijeka ha cambiato in 5 anni e 9 mesi ben nove tecnici sulla panchina. Da Bišćan, Rožman, Tomić a Tadić-Budicin, Cosmi, Jakirović, Raić Sudar, Sopić e adesso Đalović. Agli interim (Budicin, Raić Sudar) aggiungo la volontà di Jakirović di andarsene alla Dinamo. Il dato che si commenta da solo è che dopo i 2.047 giorni di Kek, tutti gli altri messi insieme sono arrivati a 1.613! Difficile allora parlare della base del calcio, ovvero un progetto della durata di 2-3 anni. Il Rijeka ha le sue abitudini, ma sta il fatto che è un’abitudine, quella di cambiare gli allenatori costantemente, di tutto il calcio croato. L’Istra 1961 dal 2018, con l’arrivo dei baschi, ha sostituito ben 11 tecnici! La Dinamo, che domina da 20 anni, dal 2018 ha cambiato 9 allenatori. L’Hajduk, nello stesso periodo, è arrivato con Gattuso a quota 14 tecnici. L’Osijek è al suo nono allenatore dal 2018.
Come si può capire, parliamo dei club più ricchi, di società che dominano il campionato o di club che combattono per la salvezza.
In tutti i casi si sostituiscono allenatori con un ritmo impressionante. Tutto ciò è seguito da massici cambiamenti delle rose, un via vai di giocatori che dura praticamente tutta la stagione.
Ma che calcio, o quale spessore di giocatori, si può sviluppare in questo continuo caos? Per dirla tutta, si sviluppa quel calcio che è già in stress acuto appena saputo che Marcelo Brozović lascia la nazionale! In Croazia, infatti, anche dopo 10 anni di Epic Brozo non hanno saputo sviluppare un “sei” di mestiere…
Ritornando alla Serie A, perché la Federazione calcistica croata non introduce la regola con la quale un allenatore non può lavorare in due o più club diversi durante una stagione? Perché non si pone un limite a questa giostra di cambi costanti e non si invitano i club a scegliere la strada del progetto almeno di medio termine? Non interessa a nessuno?
Beh, fra qualche anno ci sarà il panico. La Croazia non sta sfornando più giocatori di livello europeo e non sta sviluppando allenatori che diventino non soltanto internazionali, ma che sappiano anche gestire i giovani di casa e farli crescere. Si perdono per strada talenti di campo e panchina, come se tutto ciò fosse facile compensare. Non lo è, anzi, il calcio croato ha perso la logica ed è diventato anormale…

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