Resta comunque l’amaro in bocca

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Resta comunque l’amaro in bocca

Non ci sarà in Croazia il referendum sulla modifica del sistema elettorale, lesivo dei diritti delle minoranze. Non ci sarà nemmeno la consultazione sull’abolizione della legge di ratifica della Convenzione di Istanbul sulla lotta alla violenza contro le donne. Il Sabor ha confermato a larghissima maggioranza che non vi sono i presupposti per indire i due referendum, in quanto i promotori non sono riusciti a raccogliere il numero necessario di firme di sostegno. Forse sarebbe stato meglio che a bocciare i referendum fosse stata la Corte costituzionale, visto che i quesiti erano chiaramente in contrasto con i principi dei diritti dell’uomo. In ogni caso la bocciatura dei referendum è una buona notizia per le minoranze. Non sufficiente però in questo momento per rasserenare gli animi dalle nostre parti. A lasciare l’amaro in bocca è chiaramente la vicenda legata alle polemiche innescate dalle dichiarazioni alla foiba di Basovizza del presidente del Parlamento europeo. Continuano a essere molti coloro che stanno facendo il processo alle intenzioni, nonostante Tajani abbia spiegato i motivi che lo hanno spinto a pronunciare quelle parole e abbia chiesto scusa a chi si è sentito offeso. Una bufera del genere in Croazia, ma anche in Slovenia non la vedevamo da tempo. Certo c’erano state le polemiche anni addietro tra i Presidenti Napolitano e Mesić, c’era stato il caso Daila, con gli italiani a finire in un modo o nell’altro, da queste parti, sul banco degli imputati. Ma una campagna simile a quella attuale, che piaccia o no finisce con il riflettersi sulla comunità nazionale italiana, non si vedeva ancora dai tempi che avevano preceduto la firma del Trattato di Osimo. Forse siamo messi anche peggio. La sinistra fa quadrato, agita e cavalca gli antichi spettri nazionali, la destra si ritrova a rincorrerla, pur senza scordare a volte di menzionare anche il clima buio del dopoguerra, non certo favorevole alla componente italiana. La campagna elettorale per le Europee fa il resto: la frase buttata là a Basovizza, è la grande occasione per serrare le file ideologiche, per chiamare a raccolta i militanti dispersi dalla crisi delle ideologie. Se c’è un insegnamento da trarre da questa vicenda è che la retorica della tolleranza non basta a evitare fiammate, bisogna sempre e comunque soppesare le parole, da tutte le parti, capire che basta poco per attizzare il fuoco delle polemiche, tanto più che la terminologia politica alla quale si è avvezzi nell’Europa sudorientale non è la stessa di quella in voga in Occidente. E nemmeno gli schieramenti ideologici sono gli stessi, a prescindere dalle somiglianze. La storia fa la sua parte in questi casi e la prudenza non è mai troppa. L’idea di arrivare a letture condivise della storia è suggestiva, ma sarebbe forse il caso di limitarsi a prendere atto che le memorie rimarranno ancora per lungo tempo diverse, parallele. Incoraggia l’atteggiamento dei vertici statali, dalla lettera di Mattarella a Pahor, agli inviti al perdono di Kolinda Grabar-Kitarović. E poi per fortuna c’è la cornice europea ad attutire il tutto.

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