PERCORSI EUROPEI Un’Europa unita e la difesa dell’Ucraina

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PERCORSI EUROPEI Un’Europa unita e la difesa dell’Ucraina

È indubbio che la guerra in Ucraina abbia avvicinato le posizioni dei 27 Paesi membri dell’Unione europea, piuttosto disuniti nei confronti della Russia di Putin. Però, l’indubbia solidarietà all’Ucraina e alle vittime di questa guerra assurda, che risponde a tutti i criteri di un’invasione e di un’aggressione a uno Stato sovrano, non è sfociata in un’energica presa di posizione a favore di Kiev. Si potrebbe rispondere che l’UE, nonostante i buoni propositi, non ha ancora impostato una politica estera e di sicurezza comune. Nonostante le enunciazioni solenni dei governi dei Paesi membri, la politica estera comune ancora non c’è, e questo consente ad alcuni Paesi di defilarsi dagli obblighi non solo umanitari, ma anche concreti per porre fine alla tragedia che si sta consumando nell’est europeo, su territorio europeo, con una violenza e una spregiudicatezza inaudite nei confronti della popolazione civile, delle vittime innocenti – donne, bambini, vecchi.
È chiaro che gli aiuti umanitari non bastano e che ci vuole un aiuto anche in mezzi bellici per sostenere la resistenza ucraina. Ma, purtroppo, l’invio delle armi procede senza l’intervento decisivo e il coordinamento dell’UE. Sono 35 i Paesi che stanno inviando le armi all’Ucraina, ma lo fanno singolarmente. Molti sono i Paesi UE, con l’eccezione clamorosa dell’Ungheria che non vuole essere coinvolta in un conflitto con la Russia, suo potente vicino. Così, l’invio delle armi avviene in modo sporadico e senza ordine, senza una politica comune che decida quali armi inviare, come sostenere al meglio la resistenza ucraina, continuando a lavorare sul piano diplomatico per porre fine, al più presto, alla guerra e condurre i cobelligeranti – l’aggressore e la vittima – al tavolo delle trattative per ottenere prima il cessate il fuoco e poi una tregua più duratura, prendendo in considerazione il sempre presente pericolo di un’escalation nucleare. Ma per fare queste due cose simultaneamente ci vuole una politica comune, un centro decisionale che scavalchi gli interessi nazionali dei singoli Paesi membri e che, nello stesso tempo, crei una politica di sicurezza europea che la faccia sentire come un interlocutore che parla e agisce con una sola voce e volontà.
I Paesi membri della NATO hanno deciso di aumentare la parte del Pil nazionale destinata all’acquisto delle armi per poter fronteggiare la minaccia che viene dalla Russia e anche dalla Cina. Ma l’Unione europea non può assoggettarsi alla NATO, che in gran parte salvaguarda l’interesse nazionale degli USA. Infatti, ci sono membri dell’UE che non sono membri della NATO – Austria, Cipro, Finlandia, Malta, Svezia. È assurdo e controproducente spingerli a far parte della NATO, che persegue ora una politica non atlantista, ma pacifista, non derivante dalla parola “pace”, ma dall’Oceano Pacifico, dove c’è in corso un altro conflitto che potrebbe sfociare in una guerra, altrettanto catastrofica quanto quella in Ucraina.
Un’Europa unita potrebbe agire meglio in veste di “garante” di un eventuale Trattato di pace, che non potrà essere soltanto un Trattato bilaterale Russia-Ucraina. Di possibili garanti ha parlato la Russia, nel caso si arrivi a un accordo di pace, ma ha menzionato la Francia, la Germania e anche l’Italia, non l’Unione europea. In questo senso, senza una politica estera e di sicurezza comune, l’UE sta ritornando alla fase pre-Maastricht, quando funzionava il mercato comune, ma – per citare Henry Kissinger – l’Europa non aveva un suo “numero di telefono al quale chiamarla”. Questa guerra coinvolge già l’UE, perché le sanzioni economiche, pesanti e radicali, sono di per sé indicatori di una guerra economica che avrà delle implicazioni pesanti non solo per la Russia, ma anche per tutta l’Europa. La sospensione delle transazioni bancarie, l’eliminazione del codice Swift, ha avuto come conseguenza la mossa di Mosca di condizionare la vendita del gas russo solo a suono di rubli, inaccettabile per i Paesi dell’UE. Ancora, l’assenza di una politica energetica, comune e congiunta per tutta l’Unione europea, si sta ritorcendo contro la stessa Europa, l’UE e i suoi Paesi membri.
I summit europei, come quello di ieri con il Presidente cinese Xi Jin Ping sono utili e necessari, ma finché l’Unione europea non si doterà dei meccanismi di un’effettiva politica estera e di sicurezza, non riuscirà a dare un contributo concreto alla fine di questa guerra assurda, né potrà porre un freno all’impoverimento degli europei. Se il conflitto in Ucraina durerà nel tempo, considerato l’urgente bisogno della riconversione dell’approvvigionamento di gas e petrolio, l’Europa si troverà faccia a faccia con la peggiore crisi economica dalla Seconda guerra mondiale e con un futuro più incerto che mai. Siamo dunque agli sgoccioli: “Qui si fa (e ora) l’Europa, o si muore”, parafrasando le parole dette da Garibaldi in un momento critico per l’Italia.

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