PERCORSI EUROPEI Un’Europa troppo diffidente

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PERCORSI EUROPEI Un’Europa troppo diffidente

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, interpellata dai giornalisti, ha dichiarato prima del voto italiano del 25 settembre che l’Unione europea “ha a disposizione degli strumenti” in caso di vittoria dell’estrema destra. Ovviamente, una dichiarazione che non compete a un così alto funzionario dell’UE, pur sempre un “funzionario esecutivo”, il cui ruolo è presiedere la Commissione europea e mettere in atto le politiche comunitarie.

E ovvio che Bruxelles, sia dall’ottica burocratica che decisionale, a livello di Consiglio europeo, avverte il sentore di complicazioni imminenti con l’arrivo di un nuovo governo guidato dalla leader dei Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. Ma non bisogna dimenticare che la coalizione vincente in Italia non si riduce solo al partito di Giorgia Meloni o alla Lega di Matteo Salvini. Il terzo alleato è Silvio Berlusconi, il cui schieramento fa parte del Partito popolare europeo, quello che, seppure con qualche indugio, ha deciso di bacchettare Viktor Orbán e la sua deviazione dai valori europei. Infatti, il premier ungherese è stato ammonito e minacciato di sospensione dell’erogazione dei fondi europei, sia quelli strutturali che quelli del PNRR – Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Se questi sono gli “strumenti” dei quali parla Ursula von der Leyen, allora bisognava prima aspettare l’insediamento del nuovo governo, il suo piano d’azione e poi reagire, anche con durezza, se si fosse rilevata una politica non in linea con i valori fondamentali dell’UE.

È ben noto tra i politologi che la propaganda elettorale tende a mobilitare le emozioni e le reazioni forti degli elettori, convincendoli a scegliere questa o quella opzione politica. Ma quando si arriva al governo, immancabilmente, i toni si placano. Naturalmente, ciò non accadde in altri tempi, come ad esempio quando il fascismo salì al potere, anzi, continuò il terrore verbale e fisico. Da allora è passato un secolo; oggi nonostante tutto ogni Paese dell’Europa unita è interconnesso e integrato con gli altri al punto da rischiare una seria crisi economica e politica nel caso in cui volesse sfilacciarsi dal processo di unificazione. E vero, lo ha fatto il Regno Unito, ma a che prezzo? Già ora si manifestano degli sbilanciamenti economici che andranno ad aumentare nel futuro, ma il Regno Unito è collegato con il Commonwealth e può sempre contare sui “cugini” americani.

L’Italia non si trova in una situazione simile, e perciò anche l’”Accordo quadro di programma per un governo di centrodestra”, la piattaforma per le elezioni, sottolinea una “piena adesione al processo d’integrazione europea, con la prospettiva di un’Unione europea più politica e meno burocratica”; del resto un risultato che è emerso anche dalla consultazione popolare della Conferenza sul futuro dell’Europa.

E un altro proponimento della coalizione di centrodestra, ossia la revisione delle regole del Patto di stabilità e della governance economica al fine di attuare politiche in grado di assicurare una crescita stabile e duratura e la piena occupazione, è un luogo comune, perfettamente condivisibile anche dall’opposizione.

E poi, anche l’Italia ha ancora da ricevere la seconda e la terza tranche del PNRR, che ammonta in totale a 191,5 miliardi di euro, di cui 70 miliardi di sovvenzioni a fondo perduto e 121 miliardi di prestiti. Da non scordare che la BCE, la Banca centrale europea, sta acquistando i titoli del debito italiani e ha effettuato tra il 2020 e il 2022 acquisti netti per 363 miliardi, di cui 279 per il tramite del PEPP, il Pandemic Emergency Purchase Programme. A seguito di questi acquisti, alla fine del 2022 la BCE, assieme alle altre istituzioni europee, deterrà circa il 30 per cento del debito pubblico italiano. Di conseguenza, il debito pubblico complessivo dell’Italia dovrebbe assestarsi al 147 per cento del PIL nazionale. Se questi calcoli sono veritieri, allora cosa vuol dire la dichiarazione di Giorgia Meloni, che, esultando per la vittoria, ha esclamato trionfalmente: “La pacchia è finita!”. Nient’altro che demagogia senza copertura. Ed è proprio questo che è contrario al primo punto dell’Accordo quadro summenzionato tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia: “Italia, a pieno titolo parte dell’Europa, dell’Alleanza Atlantica e dell’Occidente. Più Italia in Europa, più Europa nel Mondo”, e poi, derivante da questa enunciazione: “Politica estera incentrata sulla tutela dell’interesse nazionale e la difesa della Patria”.

Ora, proprio questo sostegno dell’Unione europea alla ripresa anche italiana e alla resilienza della nazione di fronte alle sfide globali e regionali, è nel pieno interesse dell’Italia – della Patria. E qui allora si scoprono le contraddizioni tra una politica generica nazionalista, sovranista e populista, e la “realtà effettuale delle cose”, come ammonisce Machiavelli, nel Principe, esortando a non lasciarsi trascinare dalle apparenze e dalle false illusioni. E questo percorso attende anche la Meloni, che presto dovrà confrontarsi con una realtà ben più complessa della sua retorica semplicistica e riduzionista. La pacchia è finita anche per lei, dunque.

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