PERCORSI EUROPEI L’ora dell’Europa

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PERCORSI EUROPEI L’ora dell’Europa

Trent’anni fa, alla fine di giugno del 1991, la “troika” della Comunità europea approdò a Belgrado. A guidarla era il ministro degli Esteri italiano, Gianni De Michelis, e uno dei componenti della delegazione era il ministro degli Esteri del Lussemburgo, Jacques Poos. Prima di lasciare Bruxelles Poos aveva rilasciato una dichiarazione alla stampa: “Questa è l’ora dell’Europa!”. Voleva dire, adesso interviene la Comunità europea, e la crisi jugoslava verrà risolta. Infatti, la “troika” europea portava con sé un’offerta eccezionale: l’invito alla Jugoslavia di aderire alla Comunità europea sede stante, cioè subito. Allo stesso tempo sarebbe stato cancellato il debito jugoslavo alla CE che allora ammontava, all’incirca, a sei miliardi di dollari. Era una possibile soluzione, come la vedevano gli europei allora, in extremis per prevenire la guerra che stava per scoppiare nel Paese. Il presidente del governo jugoslavo, Ante Marković, rispose che ormai lui non aveva più la legittimità per accettare o rifiutare questa proposta: ormai due unità federali avevano proclamato la loro indipendenza – la Slovenia e la Croazia – e dovevano essere i leader di queste, e delle altre Repubbliche che non avevano ancora proclamato la propria indipendenza, ma si apprestavano a farlo – la Macedonia e la Bosnia e Erzegovina –, a dichiararsi in proposito. La “troika” avrebbe dovuto negoziare direttamente con i leader di tutte le Repubbliche jugoslave. E cosi, paradossalmente, tutti i leader “repubblicani” accettarono la proposta, tranne i leader delle due Repubbliche già avviate all’indipendenza, la Slovenia e la Croazia. Loro rifiutarono, e cosi “l’ora dell’Europa” finì clamorosamente in una debacle per la Comunità europea. Questa proposta non viene pertanto nemmeno menzionata nella storia, diciamo, ufficiale dell’unificazione europea. Ma ci sono dei testimoni, che hanno partecipato a questi negoziati: uno è l’ultimo ministro degli Esteri jugoslavo, Budimir Lončar, che lo ha raccontato al suo biografo, lo storico croato Tvrtko Jakovina. Il secondo è l’allora viceministro degli Esteri Srgjan Kerim, successivamente diventato ministro degli Esteri della Macedonia e presidente dell’Assemblea generale della Nazioni Unite, che ora vive ad Abbazia. Il terzo testimone è l’autore di questo pezzo, al tempo capo di gabinetto del ministro degli Esteri, incaricato di stendere i verbali.
Perché questa digressione, dopo tanto tempo? Perché, come dice Machiavelli, la storia ritorna ciclicamente e si ripete. Però, si ripete spesso come farsa, o peggio, come tragedia. Lo vediamo nel caso dell’Ucraina, oggi. L’Ucraina ha iniziato nel 2014 il suo percorso verso l’Unione europea, ma questa volta l’UE ha rimandato l’agenda del suo allargamento al 2030, come deciso dagli Stati più ricchi della UE. E questo è stato uno sbaglio madornale, come lo è stato il disinteresse per la realizzazione degli accordi di Minsk 2, che dovevano avviare una riforma costituzionale dell’Ucraina, definendo l’autonomia delle autoproclamate repubbliche del Donbass. Questo avrebbe dovuto permettere all’esercito ucraino di controllare i confini esterni di tutto il Paese. Ma qui, l’Europa è stata assente e questo è proprio quello che Putin voleva. Ha sferrato l’attacco, una minaccia per la pace mondiale e foriera di indicibili patimenti per la popolazione civile dell’Ucraina. L’autocrata di Mosca, il tiranno che vuole far rivivere l’impero zarista, ha fatto male i calcoli. Contava su un’Europa disunita, che non riesce a agire con una sola determinazione, ma a quanto sembra ha fatto i conti senza l’oste. Come nel caso del New Generation Recovery Plan, quando l’UE si è compattata davanti alla minaccia del Covid e ha varato il più ambizioso piano di sostegno ai sui membri, così sembra che l’Europa si sia finalmente svegliata e abbia fatto i primi passi di una politica estera e di sicurezza comune. In primo luogo, ha deciso di accogliere i profughi ucraini e poi di inviare aiuti umanitari alla popolazione. Ma ciò non basta. Per la difesa dell’Ucraina, ci vogliono anche armi e munizioni, che non devono essere inviate dai singoli Paesi membri; l’invio dovrebbe essere coordinato dall’UE.
E poi, resta ancora una cosa da fare, subito e senza rinvii: va concesso all’Ucraina lo status di membro associato dell’UE, motivando questa decisione come un aiuto concreto al Paese sotto attacco. E già che ci siamo, questo status dovrebbe essere offerto anche alla Moldova, che potrebbe facilmente diventare preda dell’aggressione russa. Per concludere, per evitare una nuova guerra nei Balcani, questo status dovrebbe essere offerto immediatamente anche ai Paesi dei Balcani occidentali. Solo cosi l’UE potrà redimersi dalla propria responsabilità di aver lasciato l’Ucraina in preda alla politica aggressiva di Putin, che ha i suoi riflessi anche nei Balcani. Forse è proprio questa “l’ora dell’Europa”. Basta che i leader europei lo capiscano.

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