PERCORSI EUROPEI L’Europa e la tragedia migratoria

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PERCORSI EUROPEI L’Europa e la tragedia migratoria

Si è consumata, di nuovo, una grande, immane, tragedia nel Mediterraneo, Mare nostrum non solo italiano, ma europeo. Sessantasette è il numero dei morti nel naufragio del barcone al largo delle coste di Crotone, in Calabria, sabato scorso. E ora divampa la polemica in Italia: il barcone è stato avvistato esattamente ventiquattr’ore prima del naufragio: il mare mosso, con un’autentica bufera in corso. La Guardia di finanza non ha potuto fare niente perché non dispone di natanti capaci di navigare in acque burrascose, la Guardia costiera invece non si è mossa e si trincera dietro le “regole d’ingaggio” che portano, seguendo la linea di comando, al Viminale – e al ministro dell’Interno Piantedosi. La grande tragedia umana, che si aggiunge ormai alle migliaia di persone annegate nel Mediterraneo in questo nuovo millennio – che doveva essere un millennio di pace, solidarietà umana e progresso – è sintomo di un malessere di tutta l’Europa, e specialmente dell’Europa che vuole essere unita, ma è fallita miseramente proprio sul piano della solidarietà e pietà umana.
Non c’è dubbio, infatti, che la gestione dei flussi migratori sia stato uno dei più grandi fallimenti dell’Unione europea, il rovescio della medaglia del successo e della forza dimostrate di fronte alle sfide maggiori che hanno colpito l’Europa in quest’ultimo decennio: la pandemia e la ritrovata solidarietà dell’Europa che ha saputo trovare le risorse e la forza di varare un piano di rinascita paneuropeo, il PNRR – il piano di ripresa e resilienza –, approvato subito dopo la più grande crisi sanitaria che ha fatto emergere proprio la solidarietà europea nella lotta alla pandemia.
Ma resta il fatto che nel campo delle migrazioni l’Europa non ha trovato ancora la sua unità: è rimasta un mosaico di Stati, di interessi nazionali, egoistici, contrapposti uno all’altro, fino al paradosso che tentando di respingere le migrazioni illegali alcuni Paesi membri dell’Unione europea hanno deciso di erigere dei muri, delle barriere di filo spinato, oppure delle repliche del Muro di Berlino.
Invece, quando è dovuta scattare un’altra prova di solidarietà, con la guerra in Ucraina provocata dall’aggressione russa, i sei milioni di profughi ucraini sono stati accolti ed aiutati, non solo nell’Europa dell’Est, ma anche nei Paesi che non confinano con l’Ucraina. Invece, di fronte ai profughi che vengono dal Terzo mondo, l’Europa ostenta non soltanto un’”indifferenza globale”, come l’ha definita Papa Francesco di fronte alla tragedia di Lampedusa nel 2013, ma anche un’ostilità che si riflette, come nel caso di Crotone in Calabria, nel rimpallo di responsabilità sull’aiuto da dare ai migranti in pericolo. Con l’Italia che è il Paese più esposto ai flussi migratori via mare.
Non si tratta di trovare gli strumenti per impedire le migrazioni verso l’Europa e neanche soltanto di stroncare la tratta illegale di esseri umani, ma di offrire l’humana pietas verso quanti mettono in pericolo la propria vita e la vita dei loro cari per sfuggire alle guerre, alla fame, alle dittature, a una vita indegna degli esseri umani. E qui, allora, bisogna che subentri un’azione coordinata, organizzata e gestita non solo da singoli Paesi, che da soli non possono affrontare questa tragedia: deve mettersi al lavoro l’Europa unita. E questo è un test decisivo dell’unità e della solidarietà europea. Proprio “qui si fa l’Europa”, verrebbe da dire. E perciò bisogna al più presto mettere in moto i meccanismi europei. Che ci sono, ma sono rimasti bloccati dall’egoismo e dagli “interessi nazionali”, una formula che ha legalizzato il veto nel processo decisionale dell’UE. Nonostante l’approvazione da parte del Parlamento europeo della III versione del Regolamento di Dublino (Regolamento n. 604) del 2013, l’insieme è rimasto bloccato, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto di una più equa distribuzione dei migranti. Il percorso decisionale non è arrivato al termine poiché gli Stati si guardano bene, nel Consiglio europeo, dal ratificare talI modifiche, per il timore di scontentare le proprie opinioni pubbliche. Anche la riforma e il blocco totale del finanziamento a Frontex sono rimaste questioni sospese e tra le più spinose da affrontare.
È proprio qui che ci vuole “più Europa”: bisogna scavalcare gli ostacoli del sovranismo nazionale e trasferire i poteri di gestione degli affari interni per quel che riguarda le migrazioni all’Unione europea, creando così una politica migratoria comune, dietro la quale ci sia l’Unione europea “senza se, e senza ma”, ma soprattutto senza i veti incrociati dei Paesi che non subiscono le ondate migratorie. Come dice il presidente della CEI, la Conferenza episcopale italiana, il cardinale Matteo Zuppi, “occorrono scelte politiche nazionali ed europee, con la determinazione e la consapevolezza di non dover permettere il ripetersi di situazioni analoghe. Che vi sia una nuova operazione Mare nostrum o Sophia o Irini, ciò che conta è che ci sia una risposta strutturale, condivisa e solidale tra le istituzioni e i Paesi. Perché nessuno sia lasciato solo e l’Europa sia all’altezza delle tradizioni di difesa della persona e dell’accoglienza”.

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