PERCORSI EUROPEI L’allargamento dell’UE torna alla ribalta?

0
PERCORSI EUROPEI L’allargamento dell’UE torna alla ribalta?

Potrebbe essere una data storica il 15 dicembre prossimo, quando il Consiglio europeo si riunirà a Bruxelles. Le sfide sono veramente storiche: i capi di Stato e di governo, riuniti per l’abituale summit di fine anno, dovranno raggiungere due accordi importanti. Il primo è sull’approfondimento dell’Unione, proposto dal Parlamento europeo, per il cambiamento dei trattati, con il lancio di una convenzione costituzionalista europea; il secondo è sull’allargamento dell’Unione, con la possibile decisione storica di avviare i negoziati d’adesione con l’Ucraina, la Moldova e la Bosnia e Erzegovina.

Così dovrebbe concludersi lo stallo dell’allargamento, ma anche quello delle riforme istituzionali, per dare nuovo vigore all’unificazione europea. Non proprio in un contesto favorevole vista la situazione in Europa, con la guerra in Ucraina e con la guerra in corso in Israele e Palestina. Ma se l’Unione europea è riuscita a suscitare grandi aspettative dopo l’allargamento ai dieci Paesi dell’Europa orientale, del Mediterraneo e in più alla Croazia, è anche riuscita a riscattarsi, almeno in parte, con il piano Next Generation EU e i piani di resistenza e resilienza nazionali, che hanno aperto nuove speranze e fornito un importante sostegno ai Paesi membri.

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato, a questo proposito, che l’allargamento è una politica di importanza vitale per l’UE: “Il completamento dell’Unione risponde all’appello della storia, è l’orizzonte naturale dell’Unione stessa e rientra anche in una forte logica economica e geopolitica”. Ma è anche un contributo ad affermare la democrazia in Europa, nonostante i risvolti autoritari in alcuni Paesi dell’Est europeo, ma anche nei Paesi dell’Europa occidentale come ad esempio in Olanda, dove hanno vinto alle elezioni parlamentari i sovranisti e i nazionalisti che forse inizieranno un processo di allontanamento dall’UE.

L’avvio del negoziato con l’Ucraina, la Moldova e la Bosnia ed Erzegovina potrebbe subire uno smacco se qualcuno dei Paesi membri decidesse di ostacolare questa decisione con il veto, adducendo come ragione principale il pericolo di violazione del proprio “interesse nazionale”, come si potrebbe evincere dall’allusione del primo ministro ungherese Victor Orbán. E la diplomazia europea è adesso all’opera per indurre l’Ungheria a non opporsi all’apertura delle trattative e alla decisione di procedere in base al metodo di voto della maggioranza qualificata. Sarebbe un “salva faccia” per Orbán. D’altronde, alla fine del negoziato, che certamente durerà almeno un paio d’anni, ci sarà sempre la possibilità di intervenire con il veto al momento della firma del trattato di adesione.

Che importanza ha, per l’Europa e in questo momento, l’apertura del negoziato con questi tre Paesi? Innanzitutto, con ciò si potrebbe rimediare a una politica non coerente dell’Unione stessa, che in primo luogo non ha insistito sull’applicazione degli Accordi di Minsk del 2014 e del 2015, che avrebbero, forse, evitato la guerra iniziata dalla Russia con il pretesto della difesa dei russi del Donbass. Ma gli Accordi di Minsk non sono l’unico esempio dove l’Unione europea ha fallito nella realizzazione delle proprie promesse: infatti, negli accordi di Bruxelles del 2013 con la Serbia e il Kosovo, era stato preso l’obbligo di riformare l’assetto costituzionale del Kosovo con la fondazione della Comunità delle municipalità serbe nel Kosovo, una mossa che avrebbe certamente smussato i conflitti tra Belgrado e Priština.

Dunque, per riscattarsi da una politica estera non coerente, l’Unione europea potrebbe ora compiere questo passo significativo in avanti in attuazione degli obiettivi principali dell’Unione – la pace, il benessere dei cittadini, la solidarietà. In questo campo pesa molto sull’Unione europea la mancata iniziativa di pace in Ucraina, che avrebbe dovuto scattare dopo l’invasione russa, ad ogni modo prima di questo stallo sui fronti che avvantaggia la Russia e produce altre assurde perdite umane. E qui è proprio il terreno di prova della politica estera e di sicurezza dell’Unione, come anche in Medio Oriente.

Non sarà un percorso facile, per niente. Ma in questa atmosfera e nel clima arroventato delle relazioni internazionali e di conflitti attuali e di altri in prospettiva, ci vogliono dei segni di incoraggiamento e di speranza. I Balcani occidentali sono rimasti troppo a lungo il “buco nero” dell’Europa. Per sviare i venti di guerra che soffiano in Bosnia ed Erzegovina con la retorica guerrafondaia del presidente della Repubblica Srpska, Milorad Dodik, e dei nazionalismi rinvigoriti di nuovo nel contesto del clima internazionale di guerre e di autoritarismi rampanti, l’Unione europea si trova davanti a una seria chance di riprendere una iniziativa politica che potrebbe incidere sostanzialmente nella vita politica sia dell’Ucraina che della Bosnia ed Erzegovina, con il processo di “condizionalità” che si apre con il negoziato di accesso. E per questo si tratta di una sfida da non perdere, per riportare l’UE alla ribalta e per non tradire il sogno di molte generazioni di europei e dei padri fondatori, a partire da Altiero Spinelli.

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.

L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.

No posts to display