PERCORSI EUROPEI I Balcani nell’UE al più presto

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PERCORSI EUROPEI I Balcani nell’UE al più presto

Il Presidente serbo Aleksandar Vučić si trova, in questo momento, sotto torchio da parte dell’UE e degli Stati Uniti. È in corso un dibattito movimentato nel Parlamento serbo perché il piano franco-tedesco, che ora è diventato un piano europeo, anzi europeo-statunitense, rischia di dividere profondamente l’opinione pubblica serba e perfino di mettere in gioco la leadership di Vučić, finora reduce da battaglie elettorali vinte con ampio margine.
Belgrado è stata visitata, recentemente, da cinque diplomatici – il francese Emmanuel Boone, il tedesco Jens Plettner, l’italiano Francesco Talo, l’americano Gabriel Escobar e l’Inviato speciale dell’UE Miroslav Lajčak, noto nei Balcani come un negoziatore duro e implacabile. Ebbene, questo piano per la normalizzazione delle relazioni serbo-kosovare, inizialmente proposto dal Presidente francese Macron e dal cancelliere tedesco Scholz, viene interpretato dal leader serbo Vučić come un nuovo ultimatum alla Serbia. I diplomatici europei non ne vogliono parlare in pubblico, ma questo piano è come il segreto di Pulcinella: sono trapelati i dieci punti e ognuno ormai li conosce. Il più contestato dal governo serbo è il secondo comma dell’articolo numero 4, quello che dice che la “Serbia non si opporrà all’appartenenza del Kosovo alle organizzazioni internazionali”. Molto chiara, fin qui, l’intenzione dell’UE di premere per la normalizzazione delle relazioni tra le due entità politiche, perché lo status quo impedisce di procedere sia con la candidatura serba per entrare nell’UE, sia con l’avvio della “prospettiva europea” per il Kosovo e il suo inserimento nell’Europa unita.
Quest’iniziativa indubbiamente è dettata non solo dall’intenzione di procedere con un doveroso allargamento dell’UE nel “ventre molle” dell’Europa, e cioè nei Balcani come usava dire Winston Churchill, ma anche dalla volontà di garantire la stabilità e la sicurezza della regione alla luce della guerra russo-ucraina e dei suoi eventuali risvolti, magari con un’escalation senza precedenti. Ma l’articolo numero 7, quello che parla della necessità di assicurare un livello appropriato di autogoverno per la comunità serba nel Kosovo, non è un passo coerente con l’evoluzione della politica stessa dell’Unione europea verso la Serbia e il Kosovo. Infatti, a suo tempo tra la Serbia e il Kosovo era stato firmato un accordo, il cosiddetto “Accordo di Bruxelles” del 19 aprile del 2013, che era stato festeggiato come un grande risultato della politica estera comune e di sicurezza europea e la sua mediatrice era stata elogiata per il “grande risultato” diplomatico conseguito. Infatti, la baronessa Catherine Ashton per questo motivo era stata lodata anche dall’allora segretario di Stato americano Hillary Clinton e le due, insieme, avevano fatto il giro delle capitali balcaniche per incoraggiare le parti interessate ad accettarlo e firmarlo. Ebbene, l’Accordo di Bruxelles contiene 15 paragrafi e i primi sei trattano dell’istituzione di una Comunità delle municipalità serbe con larga autonomia e garanzie, che dev’essere monitorata da un Comitato di attuazione con la supervisione dell’UE stessa. Naturalmente, come in molti casi, ormai storici, di accordi estorti con grande difficoltà, dopo aver concluso quest’intesa entrambe le parti si sono sottratte alla sua attuazione. Il 22 marzo del 2022 il premier Vučić ha dichiarato che l’Accordo di Bruxelles non è più valido, dopo la sospensione della presidente del Tribunale di Mitrovica Ljiljana Stevanović, da parte del Consiglio giudiziario del Kosovo e dopo la rimozione di alcuni poliziotti serbi dalle forze di Polizia del Kosovo.
L’UE allora non è intervenuta, come garante dell’Accordo. E qui sta il nocciolo della questione: molti accordi, come anche quello di Minsk tra l’Ucraina e la Russia,
non sono stati rispettati. Il problema è il “prosieguo”, cioè l’implementation, l’attuazione degli accordi stipulati e garantiti sulla parola, ma non nei fatti, dai mediatori europei e internazionali. E così si scredita il negoziato difficile con il quale questi accordi vengono
fatti, ma non attuati. E questo getta discredito non solo sui mediatori, ma sulla diplomazia in genere. Per il governo serbo è difficile accettare il bastone, ora, senza la carota. I mediatori europei e quello americano avrebbero dovuto mettere nel testo del piano franco-tedesco l’esplicita formulazione che introduce l’istituzione della Comunità delle municipalità serbe nel Kosovo, proprio per far accettare questo piano all’opinione pubblica serba.
In caso di una mancata revisione del piano europeo, si rischia di far cadere Vučić e di far prevalere un’ala nazionalista serba ancora più intransigente di Vučić. Questo è il problema con i nazionalisti, sia serbi, sia kosovari, sia croati, macedoni, montenegrini, eccetera…

Nei Balcani occidentali il virus del nazionalismo, dopo trent’anni, è ancora attivo e resistente. Ma non bisogna dimenticare che la vita quotidiana, a lungo termine, fa smorzare le passioni se esse non vengono aizzate periodicamente. Vučić sembra adesso rassegnato ad accettare il piano europeo, ma bisogna reintrodurre la carota, e dall’altra parte, reintrodurre il bastone. Sperando che la situazione non precipiti ancora una volta…

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