
Tempo fa, attraversando la Borgogna, nella Francia centro-orientale, notai qua e là, ai lati delle strade, degli invasi d’acqua a cielo aperto il cui scopo era di garantire l’irrigazione dei campi e delle colture in caso di siccità, o comunque al bisogno. Mi parve una scelta saggia e realizzata con poca spesa. Più tardi appresi che la raccolta dell’acqua piovana in quella nazione è regolata dalla legge, con l’intento di non sprecarla. Se mi sposto geograficamente alquanto in là, ricordo di essere rimasto a bocca aperta quando, in luoghi dal clima arido, potei visitare alcune enormi cisterne sotterranee romane che grazie alla loro capienza erano in grado di assicurare a città grandi o piccole una quantità d’acqua costante durante tutto l’anno. Mi colpì in particolare l’enorme cisterna del sito archeologico di Apollonia, città romana in Cirenaica, Libia, che attingeva l’acqua piovana dai rari, ma violenti temporali, tramite dei pozzetti collocati su un ampio piazzale.
Rimasi impressionato visitando altre cisterne romane, vere opere di ingegneria idraulica, come quella accanto alla basilica di Santa Sofia a Istanbul che le autorità locali, con pessimo gusto, hanno illuminato con luci rosse e musica privando il visitatore della luce naturale e del silenzio. Resti di acquedotti romani e altre cisterne potei visitare in luoghi desertici – tali ora come allora – in Giordania, Siria e in Tunisia. Ovunque rimasi colpito sia dalla dimensione delle cisterne, pensate per la collettività, sia dai rivestimenti in coccio-pesto atti a garantirne l’impermeabilità e anche dal fatto che diverse di esse continuino a conservare tuttora acqua al loro interno. Il sistema idraulico dei Romani era estremamente avanzato e grazie agli acquedotti e alle ampie riserve d’acqua era in grado di garantirne in abbondanza anche a città grandi come Roma, alimentando terme, anfiteatri, fontane pubbliche e abitazioni private. Anche Pola ebbe la sua cisterna pubblica e il toponimo Baia Cisterna di Rovigno si riferisce a una costruzione i cui resti sono tuttora visibili. Nella sola Istria sono state catalogate quasi una cinquantina di cisterne romane.
Oggi siamo afflitti da una forte siccità, ampiamente diffusa, che sembra non avere paragoni con altre degli anni e secoli passati, la cui causa gli studiosi attribuiscono ai mutamenti climatici. Questo fattore in più dovrebbe spingere le autorità a individuare modalità per non disperdere il patrimonio idrico, dato che il cambiamento marcato del clima pare si stia rivelando più veloce del previsto. Per contenere gli sprechi non basterà invitare i singoli a lavarsi i denti “alla marinara”, ma ci vorranno scelte oculate e di maggior respiro. L’acqua è un bene prezioso; non va solo distribuita bene, evitando dispersioni, ma conservata. Impariamolo dagli antichi Romani (e… dai Francesi?).
*psicologo – psicoterapeuta, già dirigente del Servizio Sanitario Nazionale e docente di Psicologia all’Università degli Studi di Udine
Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.
L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.