Lingua e cultura, non cifre

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Lingua e cultura, non cifre

Il sasso nello stagno è stato ufficialmente lanciato. Lo ha fatto il vicepresidente del Sabor e deputato della Comunità Nazionale Italiana Furio Radin che alla riunione del Consiglio nazionale delle minoranze ha esortato ad archiviare i Censimenti su base etnica e a evitare la conta quale presupposto per definire i diritti delle etnie. Di fronte a dati sconsolanti, come quelli del rilevamento della popolazione 2021, per tutte le principali minoranze del Paese, la maggior parte delle quali radicate da secoli in ben determinati territori, quella di una revisione dello strumento della conta è l’unica strada che appare percorribile. Il binomio cittadinanza nazionalità quale retaggio dell’ex Jugoslavia, unito ai dati del Censimento, poteva avere un senso trent’anni fa: ma nel frattempo molta acqua è passata sotto i ponti, il quadro etnico si è sensibilmente modificato, da un lato per l’erosione demografica complessiva e dall’altro magari per fenomeni che gli esperti inquadrano quali assimilazione e mimetizzazione etnica, in un contesto caratterizzato un po’ dappertutto, al di là della globalizzazione, al consolidamento e alla forza pervasiva degli Stati nazione. Una situazione, come quella dell’Europa sudorientale dove spesso i Censimenti contano più delle elezioni e le iniziative promozionali per invogliare i cittadini a scegliere una determinata nazionalità tendono alla fin fine ad assomigliare a campagne elettorali, non contribuisce di certo a un armonico sviluppo di tutte le componenti culturali, linguistiche o religiose delle varie aree. La storica presenza culturale, linguistica, religiosa di una componente su un determinato territorio non è un qualcosa che può dipendere dal balletto delle cifre, tanto più che le commistioni, gli intrecci tra le varie culture ed etnie non nascono oggi, sono il frutto di una storia che nel passato non conosceva gli steccati nazionali. Modificare l’approccio fin qui tenuto non è certo facile, ma ci sono, volendo, modelli a cui richiamarsi, senza dover per forza di cose copiare le esperienze altrui. Più volte nel passato è stata sottolineata quest’esigenza: stavolta proprio la debacle numerica delle principali etnie dovrebbe spingere tutti a muoversi davvero in questa direzione.

Certo, nel caso della CNI, i dati sconfortanti del rilevamento non incideranno sul livello dei diritti sul territorio definito da fior di Statuti, normative e accordi internazionali. Siamo di fronte a diritti acquisiti che non dovrebbero essere messi in forse dai numeri. Non per niente, di fronte alle sollecitazioni dell’On. Furio Radin, il direttore generale dell’HRT Robert Šveb ha promesso il ripristino delle redazioni italiane a Fiume e Pola. ma al di là dei concetti e dei principi giuridici con la realtà dei fatti: le lingue e le culture minoritarie esistono, c’è chi le parla e le coltiva nonostante tutto, a prescindere da cifre ed elenchi spesso contraddittori.

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