La volontà di non decidere

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La volontà di non decidere

Non poteva andare diversamente vista la tempistica. Con le Europee alle porte, l’agonia della cantieristica dell’Alto Adriatico era chiaramente destinata a diventare un argomento da campagna elettorale. Il copione è stato puntualmente rispettato. Il Parlamento di Zagabria si è dimostrato ancora una volta il palcoscenico ideale per un confronto politico sterile fra centrosinistra e centrodestra sulle responsabilità per la crisi che rischia di travolgere il Gruppo Uljanik. In primo piano si è venuto a trovare lo scontro dialettico tra l’HDZ e la DDI, ovvero tra i partiti che più di tutti gli altri hanno contato negli ultimi decenni rispettivamente sulla scena nazionale e su quella regionale. Il deputato albonese Tulio Demetlika non ha perso l’occasione per accusare l’Accadizeta che l’inerzia dimostrata dal governo nel caso dell’Uljanik rientra nell’ambito della resa dei conti con l’Istria, una Regione in cui il centrodestra non è mai stato al potere.
Molto chiaro il ragionamento di Demetlika: a livello nazionale si parla in continuazione di quanto il salvataggio dell’Uljanik verrebbe a costare ai contribuenti, mentre si dimentica volutamente quanti soldi l’Istria manda annualmente a Zagabria. A queste accuse l’HDZ risponde ricordando la marea di denaro che lo Stato ha già investito nel pozzo senza fondo dello Scoglio Olivi e rammentando tutta la serie di progetti a favore dell’Istria che il governo ha già varato, tra cui il raddoppio dell’Ipsilon da Pisino al traforo del Monte Maggiore.
A chi giova questa battaglia dialettica? Gli analisti dubitano che la Dieta, forte del suo radicamento sul territorio, possa scivolare sulla buccia di banana dello Scoglio Olivi. Se anche ciò dovesse in parte avvenire, magari a Pola, la convinzione dei più è che ad avvantaggiarsi di questo possibile passo falso dei regionalisti non sarebbe comunque il centrodestra tradizionale, sempre piuttosto debole da queste parti. In altre parole tra i due contendenti a godere sarebbero quelli che si profilano sempre di più come il terzo incomodo, ossia i populisti. I rimpalli di responsabilità tra le forze politiche “classiche” non farebbero che portare acqua al mulino del “nuovo che avanza”. Nel frattempo l’unica cosa certa è che la produzione è ferma. E i lavoratori? A quanto sembra se ne vanno alla spicciolata verso lidi dove la loro professionalità riesce a emergere; anzi in buona parte se ne sarebbero già andati. Mentre in loco si continua a piangere sulle sorti dell’industria in via di dissoluzione, a favoleggiare sul radioso passato in cui la cantieristica era il fiore all’occhiello di una società in divenire. Molti si chiedono se dietro a quest’insistenza a guardare indietro, a questo apparente caos, in cui l’unica decisione che viene presa è quella di non decidere, vi sia già un piano prestabilito. Magari verremo a saperlo dopo le elezioni…

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