Alcune tesi sulla meritocrazia sono state pubblicate da un importante professore, Daniel Markowits, di una prestigiosa Università, Yale. È possibile leggerle su https://www.theatlantic.com/magazine/archive/2019/09/meritocracys-miserable-winners/594760/. Lo scopo della meritocrazia dovrebbe essere quello di premiare chi si impegna di più, possiede migliori talenti e, con queste risorse (impegno + talento) dà importanti contributi alla società. Di contro all’idea di meritocrazia ci sono fenomeni devianti, come la corruzione, il nepotismo e conflitti d’interesse, oppure pratiche o tradizioni, quali i privilegi che derivano dalla nascita. Questi sono fenomeni che, giustamente, provocano l’indignazione di ogni persona ragionevole. Eppure, dice Markowits, la meritocrazia, nella società attuale, è una risposta insoddisfacente a queste deviazioni, pratiche e tradizioni.
Iniziamo con un esempio di pratica meritocratica, quella dell’ammissione alle Università. In generale, si ritiene che il merito sia premiato se e solo se sono ammessi agli studi universitari i candidati che hanno dato le risposte migliori agli esami d’ammissione. In effetti, il criterio meritocratico si contrappone al nepotismo, o alla corruzione: scegliamo in base ai meriti e non a criteri devianti.
Eppure, come dicevo, ci sono dei problemi. La meritocrazia ha un significato di giustizia e valore sociale se e solo se a tutti è offerta un’uguale opportunità di sviluppare i meriti. Ad esempio, la meritocrazia è un criterio giusto se e solo se a tutti i candidati è stata offerta un’uguale possibilità di sviluppare le conoscenze e le abilità che rappresentano i criteri di selezione per iscriversi a un’Università valida. Ma, nella vita reale, non è così. L’origine sociale delle persone favorisce enormemente le loro possibilità di sviluppare le competenze necessarie per un accesso a un buon studio universitario. Quindi, come dice Markowits, anche quando l’iscrizione all’Università corrisponde ai criteri di merito, non possiamo essere soddisfatti, dal punto di vista della giustizia.
Uno studio al quale Markowits fa riferimento, indica che soltanto l’1 p.c. tra chi proviene dalle famiglie più povere potrà iscriversi nelle migliori Università. Questo vale anche per meno di una persona su 50 provenienti da una famiglia di livello sociale medio. È chiara la disproporzione nei confronti di chi ha la propria origine in famiglie più abbienti. Questa è presente anche in assenza di deviazioni quali il nepotismo o la corruzione. L’origine sociale delle persone determina fortemente la loro capacità di competere in base a criteri meritocratici.
Ma non soltanto chi non ottiene risultati soddisfacenti nella corsa meritocratica soffre a causa delle pressioni che questa impone. La competizione è pesante anche per i vincitori, già dall’infanzia. Studi scientifici, ad esempio, evidenziano deficit di sonno, tra allievi, causati dagli impegni scolastici. Uno studio recente indica significativi sintomi di depressione e ansia presso gli allievi di una scuola importante.
Questi dati spiegano alcuni fenomeni sociali che forse rivelano l’insoddisfazione diffusa nei confronti della meritocrazia e delle istituzioni che la simboleggiano. I tre quinti dei repubblicani credono che le Università siano un male per gli USA.
Riportando il monito di Markowits, non voglio negare il valore del merito, né è questa l’intenzione dell’autore. L’intenzione è quella di mostrare l’importanza di una società più uguale e ispirata dai principi di solidarietà. La vita sociale non deve essere una competizione. Deve essere una collaborazione tra i cittadini. Questi dovrebbero condividere la convinzione che tutti hanno il diritto a una vita dignitosa e agevole, ad esempio, senza deprivazioni provocate dal reddito o dal prestigio sociale ridotto di determinati posti di lavoro. Il problema non è valorizzare i meriti (che, invece, è lodevole). Il problema sono le disuguaglianze sociali. È necessario opporsi, con politiche adeguate, a una condizione nella quale anche chi svolge un lavoro socialmente utile fa fatica a vivere in modo dignitoso. Questo non implica un’uguaglianza assoluta, ma una condizione nella quale sono protetti i beni primari di tutti, ad esempio, l’assistenza medica, l’istruzione e le risorse per impiegare in modo gratificante il tempo libero.
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