INSEGNANDO S’IMPARA Urbanistica 2. Vie, strade e piazze

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INSEGNANDO S’IMPARA Urbanistica 2. Vie, strade e piazze
Foto: Emica Elvedji/PIXSELL

Già in precedenza abbiamo accennato a come le città in Irlanda e Regno Unito siano diverse dalle nostre. Continuiamo il discorso e approfondendo anche alcune questioni linguistiche. In classe, quando inauguro questo tema, osservo che le città anglo-irlandesi sono come la pizza quattro stagioni dai settori ben definiti, mentre quelle italiane sono come la pizza capricciosa, più o meno gli stessi ingredienti solo distribuiti diversamente. In Italia le mescolanze sono all’ordine del giorno: una qualsiasi palazzina può avere un esercizio commerciale al piano terra, uno studio legale ad un piano, un ambulatorio medico ad un altro, intercalati da appartamenti residenziali. La mescolanza si allarga anche a livello cittadino dove uffici, negozi, scuole, ecc. sono sparpagliati sul territorio urbano. Tutti noi, cittadini vessati dalla burocrazia, sappiamo cosa significhi correre da un estremo all’altro della città per “far carte”. Quassù è diverso, a cominciare dalla burocrazia che è considerevolmente più snella, alle diverse funzioni a cui sono adibite le varie zone della città. In generale la vita qui è più segmentata. Si vive in un quartiere, si lavora generalmente in centro, si fa shopping nei centri commerciali e si socializza in zone determinate. La boutique particolare o il negozietto di erboristeria indipendente non esistono, come non esiste neanche la ferramenta rionale. Paradossalmente più un quartiere è elegante e meno negozi ha. Nella via più esclusiva di Belfast non ci sono negozi ad eccetto di un distributore con annesso supermercato. Ciò significa che anche per andare a prendere un litro di latte bisogna spostarsi in macchina, mentre noi siamo abituati ad avere la farmacia sotto casa, la parrucchiera dietro l’angolo e così via. Perciò ci sono intere zone della città poco conosciute ai belfastesi stessi, perché non hanno motivo di frequentarle, mentre noi la città la viviamo in tutta la sua interezza. A grosse linee, molte città britanniche, fortemente marcate dallo sviluppo della rivoluzione industriale, presentano ancora uno schema che vede il centro, circondato da una “inner city”, a sua volta attorniata dai “suburbs”. Per i traduttori è proprio la “inner city”, la zona che fa da cuscinetto tra il centro non residenziale e la zona suburbana più o meno borghese, il concetto più ostico da tradurre. La traduzione, geograficamente accurata, in “centro città” può essere fuorviante in quanto ci dà una sensazione di benessere e agiatezza, mentre in realtà corrisponde di più alla nostra idea di periferia metropolitana, zona ad alto tasso di disoccupazione, immigrazione, con probabile disagio sociale e annessi problemi di abuso di varie sostanze. Allora cosa fa un bravo traduttore? Traduce il termine o il concetto? È chiaro che le parole, sia in italiano che in inglese sono diventate scorciatoie per identificare il quadro economico sociale che le riguarda. Se diciamo “inner city problems” o “problemi della periferia urbana” sappiamo subito di cosa stiamo parlando per cui si dovrà sempre valutare la traduzione nel suo contesto. Allora, se quassù la periferia “sta” in città, com’è allora la periferia vera e propria? Bellissima! Uscendo da Belfast in qualsiasi direzione si apre un paesaggio di bucolica meraviglia: villette residenziali che lasciano il posto a greggi bianchi come riso sparso su un tavolo da biliardo, placide mucche che pascolano, colline verdi che in primavera si adornano prima dell’oro dei narcisi, poi del rosa e bianco degli alberi in fiore e infine del fucsia e viola dei rododendri.
Però, per quanto riguarda la nomenclatura delle vie, improvvisamente qui si diventa vaghi mentre noi siamo molto precisi. Accanto ai toponimi e dai nomi di altri luoghi o regioni come da noi, ci sono le Queen Street, Kings Road, altre vie dedicate al Duke of York, Prince of Wales ecc, ma che non riguardano una regina, un re, duca o principe in particolare, ma si riferiscono solo al ruolo. Ci sono le obbligatorie Church e School Road, Main o High Street e questo è grossomodo quanto. I problemi sorgono dal fatto che per noi termini come vicolo, via, viale, strada e piazza sono associati ad una forma definita. Qui lane, street, avenue, road e square non sempre si attengono ai parametri che vigono da noi. Il primo indirizzo a cui dovevo arrivare a Belfast era University Square. Quando il tassista fermò l’auto in una via laterale dell’università pensavo mi stesse prendendo in giro, ma il posto era proprio quello. Square in questo caso non era la piazza che mi aspettavo, ma una stradina, peraltro stretta. In Italia, se mandiamo una missiva a Coroneo 9 di Trieste, sono sicura che raggiungerà il destinatario, perché di via del Coroneo a Trieste ce n’è una sola. Provate ad essere altrettanto vaghi con, ad esempio University di Belfast e vedrete che non andrete tanto lontano. L’arteria principale è la University Road, accanto alla quale ci sono la menzionata Square, poi la Street, l’Avenue, e la University Square Mews (ancora più stretta dell’altra). Inoltre, siccome qui si ricicla il nome della via, ci si sbizzarrisce in una miriade di termini per dire appunto “via”. Oltre a quelli menzionati possiamo avere Park, Gardens, View, Heights, Meadows, Hill ecc, dove i termini che riconosciamo non riflettono affatto il significato originale. Ne sa qualcosa l’imprenditore veneto per il quale anni fa ho fatto da interprete per una causa giudiziaria. Prevedendo una settimana intensamente stressante in aula, aveva scelto di prenotare l’albergo al Wellingon Park di Belfast, immaginando così almeno di potersi rilassare con passeggiate nel “parco” dopo una giornata di udienza. Rimase fortemente deluso nel costare che l’agognato “Park” era una normale via non distante dalla zona universitaria. Vi informiamo sin d’ora che gli altisonanti Prince Edward Park e Gardens, sono solo tranquille vie medio-borghesi e gli unici “gardens” sono i giardinetti davanti alle villette.

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