INSEGNANDO S’IMPARA Quando così presto è già tardi

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INSEGNANDO S’IMPARA Quando così presto è già tardi
Foto Shutterstock. Il monumento preistorico di Newgrange

C’è una luce in fondo al lungo tunnel scuro che stiamo percorrendo, che si chiama solstizio d’inverno. Questo porterà gioia a quelli che da fine ottobre (con il ritorno all’ora solare) in qua, si sentono depressi. Non si può dar loro torto perché queste giornate non sono il massimo dell’allegria, ma d’altronde, chi l’ha detto che si debba stare sempre allegri. Magari le serie riflessioni incominciate nel tardo autunno cedono il passo a meditazioni più profonde, che possono diventare silenziosi bilanci morali sull’anno che si va concludendo.

Ma dubito che le convulse corse per “Natale” lascino molto spazio a pensieri intensi. Anzi possiamo proprio notare come la frenesia delle feste metta in secondo piano l’evento stesso del solstizio, che spesso avviene senza che noi ce ne accorgiamo.

Non occorre neanche dire che non fu sempre così. Ci furono tempi in cui, quando il sole dapprima rallentava, quindi si fermava, per poi riprenderle il suo moto verso l’alto (“sol sistere” in latino significa “sole che si ferma”), era un momento di grande importanza. Gli antichi romani avevano dato una bella denominazione a questo colpo di reni del sole che trionfava sulle tenebre, chiamandolo “Sol Invictus” (Sole Invitto), dedicandogli tempi e celebrazioni.

Sin dagli albori dell’umanità il computo del tempo è stata una questione impegnativa per i nostri progenitori che, nel corso dei secoli, hanno creato ingegnosi sistemi per suddividere l’anno, i mesi, le settimane e i giorni. In questa prospettiva, avere un modo che assicurasse la corretta identificazione dei solstizi, voleva dire già dare una prima coordinata di divisione dell’anno solare. Aggiungendoci gli equinozi, si ottenevano quattro quadranti che erano molto più comodi per l’ulteriore suddivisione dei mesi. Perciò un sito come Stonehenge, vicino a Salisbury, nel sud dell’Inghilterra, oltre che essere un luogo mistico, è anche un enorme calendario a cielo aperto dove si manifesta in tutto il suo splendore il solstizio d’estate, quando l’intera zona pullula di devoti del neopaganesimo che la riempiono di canti e rituali.

Meno noto ai più, è il sito di Newgrange, nella contea di Meath in Irlanda, che è stato pensato esclusivamente per il solstizio d’inverno. Sicuramente meno appariscente della piramide di Giza o di Stonehenge, è tuttavia più antico di entrambi, precedendo la prima di mille anni e il secondo di 500. Le ultime datazioni fanno risalire il monumento tra il 3200 e il 3400 a.C. ovvero al Neolitico. Sulle modeste alture di un’ansa del fiume Boyne, sono stati scoperti vari tumuli funerari circolari, di cui Newgrange, con i suoi 80m di diametro e 13 di altezza, è il più grande. Già questo ci dà un’idea della modestia delle dimensioni, rispetto a quelle degli altri monumenti citati, dimensioni che sembrano ancora più contenute in quanto la calotta del tumulo, ricoperta d’erba, lo mimetizza con il paesaggio circostante. Un’apertura in direzione sud-est, rivela un passaggio che porta a una camera funeraria centrale circondata da altre tre piccole camere. Lungo il basso e buio passaggio, incassato tra lastre di pietra, lungo 19 metri e largo uno, ci passa una persona per volta, mentre nello spazio delle camere ci stanno al massimo dieci persone ben pigiate.

Ma tutti questi particolari sono irrilevanti rispetto al fatto che il tumulo sia stato pensato, posizionato e costruito per ricevere la luce del solstizio d’inverno. Ogni anno all’alba, tra il 19 e il 23 dicembre, la luce del sole che sorge penetra attraverso una feritoia posta sulla calotta sopra l’entrata e per circa 17 minuti illumina la camera interna. È straordinario che più di 5mila anni fa, uomini di quella che viene definita “età della pietra nuova” abbiano avuto le capacità e le competenze per calcolare e realizzare questo con assoluta precisione, riuscendo così a catturare il sole nel momento culminante della parabola, quando nel corso di pochi giorni finisce di discendere, si ferma e poi risale.

Coloro che visitano il sito in qualsiasi momento dell’anno si devono accontentare della simulazione “elettrica” del fenomeno, mentre a provare l’emozione dell’esperienza dal vivo sono solo pochi fortunati che ogni anno vengono sorteggiati tramite una lotteria. A fronte di decine di migliaia di richieste, vengono estratti solamente i sessanta nominativi che saranno ammessi al sito. C’è solo da sperare che la volubilità del tempo irlandese non rovini l’evento. Comunque questo fa presumere che mezzo millennio fa le condizioni meteorologiche fossero diverse da quelle odierne.

Per capire l’importanza di stabilire con esattezza il punto di svolta del solstizio, dobbiamo immedesimarci con le popolazioni che risiedevano ancora più a nord, nell’Europa settentrionale e in Scandinavia. Coloro che vivono sommersi nelle tenebre di notti lunghissime e giorni brevi, per di più costretti ad affrontare un clima molto più rigido, hanno bisogno di avere ogni informazione disponibile per poter programmare l’anno a venire. Perciò al solstizio, in tempi precristiani, veniva dedicato un periodo chiamato yule, con tutti i riti e le usanze che lo accompagnavano. Tanto radicate erano queste tradizioni, che sopravvissute al cristianesimo al quale sono state incorporate, lo hanno influenzato con i loro potenti simboli. Basti pensare che tutta la nostra iconografia natalizia “nordica” (Babbo Natale, l’abete decorato, le renne) proviene da lì.

Quindi, ancora una volta il sole invitto trionfa sulle tenebre e anche noi, nel nostro piccolo cerchiamo di “aiutarlo” con celebrazioni che anelano alla luce, sia con le luminarie di Natale, ma anche con la nostra Santa Lucia, spesso ritratta con in testa una corona di candele accese. Gli ebrei lo fanno con le luci della menorah accese per la festa ebraica di Hanukkah, mentre gli indiani aprono già a novembre con il Diwali e i cinesi chiudono a febbraio con la festa delle lanterne.

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