INSEGNANDO S’IMPARA Quali sono i nostri tabù?

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INSEGNANDO S’IMPARA Quali sono i nostri tabù?

Alla fine di un corso, se il tempo me lo permette, esprimo agli studenti la mia disponibilità a soddisfare le loro curiosità, perciò li invito a fare domande, a chiedere qualsiasi cosa vogliano riguardo alla lingua e cultura italiana. Il quesito più interessante e stimolante che mi è arrivato finora è stato posto tempo fa da una studentessa cinese: “Quali sono i tabù in Italia?”. Se ci fosse stato il tempo, l’inconsueta domanda avrebbe aperto la strada a un ricchissimo scambio di vedute, soprattutto considerando la nazionalità dell’interlocutrice. Purtroppo non siamo riusciti ad esplorare l’argomento in profondità e da allora mi porto dentro questa domanda a cui non ho ancora dato una risposta soddisfacente, ma che paradossalmente ha generato altre domande. Che cosa sono esattamente i tabù? Esistono ancora nella nostra società dove i social media sembrano aver spazzato via ogni traccia di inibizione e di pudore?

La parola, di origine polinesiana, ha due significati in apparente contrasto tra di loro. Da una parte vuol dire sacro, consacrato e dall’altra proibito, impuro. Come dire che esistono delle cose che sono sacre e intoccabili e che violarle è pericoloso e perturbante e comporta gravi conseguenze per tutti. Perciò i tabù comportano numerosi divieti e restrizioni e spesso anche complicati cerimoniali in caso di trasgressione. Freud, che al tema aveva dedicato il suo lavoro “Totem e tabù”, aveva ipotizzato che nei tabù fossero contenuti i problemi ancora non risolti della psicologia dei popoli e che i meccanismi di proibizione servissero a regolare tutto ciò che nella comunità umana è inquietante e suscita orrore. Non a caso, anche nelle popolazioni primitive, uno dei ruoli del tabù è quello di imporre strette misure di controllo a possibili rapporti incestuosi all’interno della tribù.

Siccome nelle nostre civiltà avanzate queste istanze sono già disciplinate dalla religione e dalla giurisprudenza, a quale ruolo vengono relegati i tabù? Da quello che mi sembra di capire le restrizioni dei tabù riguardano tutte quelle cose di cui “non si parla”, “non si dice”, “non si fa” “non si può né dire né fare” e spesso non si sa neanche il perché. Dietro ci possono essere motivazioni storiche, usanze, costumi o semplicemente, come dicono certi antropologi, l’origine è ignota. Gira e rigira i temi tabù sono sempre quelli: la sessualità, la malattia, la morte, i soldi, la religione. La mia opinione personale è che la società italiana abbia sfatato molti di questi tabù: la sessualità viene esibita in piazza, delle malattie si parla in TV, nei telegiornali vediamo persone morire in diretta, gli status symbol permettono di ostentare le proprie ricchezze e la religione non sembra avere più la presa di un tempo. Allora che cosa è rimasto? Quali sono gli argomenti che provocano una scossa negli italiani e fa dire loro “Come si permette?” oppure “Questo è troppo!”? A me sembra che una cosa simile riesca ancora a farla la politica. Ho l’impressione che domandare di punto in bianco “Per chi ha votato?” sia una grande impertinenza. Non sarà inquietante o raccapricciante, ma certamente genera un fastidio di pelle. Altra domanda diretta che può far agitare, ma per altri motivi, può essere “Quanto guadagni?”. A parte questo, non mi viene in mente altro (ed è esattamente quello che ho risposto alla studentessa).

Però, vivendo in Irlanda del Nord da tanti anni sono consapevole di uno dei grandi tabù di questa gente, che è anche il primo che gli italiani che fanno visita a queste lande vanno a toccare e cioè l’appartenenza a una determinata religione. I turisti italiani di una certa età in fondo li capisco: sono cresciuti seguendo ai telegiornali i sanguinosi eventi di questa regione, dove il ritornello ogni sera era “Scontri tra cattolici e protestanti nelle strade di Belfast”, per cui quando arrivano qui la prima cosa che chiedono è “Ma tu sei cattolico o protestante?” Cari connazionali. Non fatelo. Mai. In nessuna circostanza. Non avete idea di quanto offensiva e oltraggiosa sia questa domanda, che rivela l’insolenza, la sfrontatezza e la totale mancanza di rispetto di chi la fa. “Ma io volevo solo sapere”, “È solo una curiosità” sono le obiezioni che vengono poste quando si fa presente la mancanza di tatto. La questione è delicatissima. Non è solo un fatto di credere in un modo o in un altro, frequentare questa o quella chiesa. È una questione molto più profonda di identità, di cultura e di radici storiche e sociali. Come spiegare che c’erano circostanze in cui il fatto stesso di appartenere a una determinata comunità metteva in serio pericolo una persona, soprattutto se questa si trovava nel luogo e nel momento sbagliato (e c’erano molti luoghi e momenti sbagliati in cui trovarsi). Per cui la domanda è off limits. Così come altre domande che a noi sembrano innocenti tipo “Quale scuole hai fatto?”, in quanto quasi tutte le scuole fanno riferimento a una confessione religiosa. Perciò dalla scuola frequentata si può facilmente risalire alla comunità di origine della persona. I nord-irlandesi sono un tantino più riservati degli altri abitanti dell’isola, ma sono comunque molto amichevoli e cortesi con i visitatori stranieri e ci sarà sempre l’opportunità di incontrare qualcuno con cui fare quattro chiacchiere davanti a una pinta di birra. Il mio consiglio è di lasciare a loro l’iniziativa sugli argomenti di cui parlare e di non fare troppe domande personali. Per il resto godetevi la compagnia di questa gente squisita (tanto quanto la loro birra).

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