INSEGNANDO S’IMPARA Poveri traduttori e traduttori poveri

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INSEGNANDO S’IMPARA Poveri traduttori e traduttori poveri

In una “Bustina di Minerva”, la rubrica che Umberto Eco ha tenuto sull’ultima pagina dell’Espresso dal 1985 al 1998 prima settimanalmente e in seguito fino al 2016 ogni due numeri, lo scrittore aveva lamentato la scomparsa dalle case editrici dell’editor, cioè quella figura che si preoccupa che un testo non contenga “errori di contenuto, di trascrizione grafica o di traduzione”, quello che, se trova la frase “Toronto è a nord di Trieste”, si preoccupa di controllare sull’atlante (per scoprire che non è vero, Trieste è a 45 gradi nord mentre Toronto a 43, stessa latitudine di Marsiglia e Sarajevo). Per quanto riguarda la traduzione, se anche con l’editor qualche errore di traduzione riusciva a passare, figuriamoci adesso che il personale delle case editrici è ridotto al lumicino a causa della crisi e che si fa a meno di tutta una serie di persone (redattori, correttori, ecc.) che in passato potevano intercettare gli strafalcioni. Inoltre molto spesso i traduttori sono free lance e non lavorano né a contatto con gli editori né tantomeno hanno accesso agli autori dei testi. Fanno il lavoro a cartella che, come si è detto viene pubblicato senza ulteriori correzioni. Con il risultato che in giro c’è di tutto. Sia chiaro che tradurre è una professione che dà molte soddisfazioni, ma è anche un lavoro che è per natura solitario dove non c’è il confronto con altre teste. Inoltre con la scusa che tanto c’è Google che ti fa le traduzioni in automatico la professione è stata progressivamente svilita e pagata sempre meno. In inglese si dice “if you pay peanuts, you get monkeys”- se paghi in noccioline attirerai scimmie – cioè se vuoi risparmiare a tutti i costi avrai cose di bassa qualità e nel campo dell’editoria questo è abbastanza evidente. D’altronde, un traduttore sottopagato e pressato dalle scadenze, può prendere la via più facile e fare una bella traduzione letterale invece che andare a ricercare la giusta espressione per rendere la frase idiomatica dell’originale. Ma finisce che a farne le spese siamo noi lettori, ricercatori, insegnanti, ecc.

Quando i miei studenti raggiungono un livello intermedio e vogliono muoversi con più autonomia, ma non hanno ancora le conoscenze per affrontare un testo sostanzioso in italiano, io li invito a leggere la traduzione di un romanzo che hanno precedentemente letto nell’originale, così la trama la conoscono già e possono concentrarsi sulla lingua. Mi sembrava un buon consiglio fino a che uno studente, tra l’altro ex insegnante di spagnolo, mi ha portato un bestseller di un autore americano molto conosciuto in cui c’era la frase “le bevande sono su di me” facendo allo stesso tempo il gesto di versarsi addosso un bicchiere di liquido. Per chi sa l’inglese è ovvio che la frase in inglese era “the drinks are on me” che significa “offro io”, ma anche se il traduttore non lo sapeva, qualcuno, prima di mandare il libro in stampa avrebbe dovuto captare la stramberia. Invece…

In un libro che trattava di etnologia, un antropologo decantava la potenza dei muscoli delle mascelle delle donne di una certa tribù, che masticano a lungo delle foglie per ridurle in poltiglia e farne medicamenti concludendo “e io con una di queste ci ho dormito insieme” che nel contesto non significava né spiegava niente.

Se in italiano dico “stanotte ho dormito con Gino” si presume abbiamo preso sonno condividendo lo stesso letto. La stessa frase in inglese si usa eufemisticamente e significa ben altro. E qui ogni volta faccio lo stesso appunto agli studenti “com’è che voi usate la parola dormire, per riferirvi ad attività che non vi fanno chiudere occhio?” Almeno in italiano siamo più sinceri e diciamo “andare a letto con qualcuno” il che apre opzioni che annullano quella del “dormire”. Io capisco che uno tsunami dell’inglese si stia rovesciando sulla lingua italiana stravolgendone le strutture e cambiando i significati delle parole, per cui oggigiorno anche in italiano il termine dormire sembra aver acquisito il significato di non dormire affatto. Ma il testo che ho citato è degli anni Ottanta, molto prima della grande contaminazione linguistica e, tornando alla frase, l’implicazione dell’antropologo fa riferimento ad una pratica erotica che del letto non ha neanche bisogno. In pratica la traduzione letterale ha saltato due gradini di significato.

Sempre nello stesso periodo in un libro che aveva avuto molto successo c’era la scena in cui due personaggi si trovavano braccati da un giaguaro e cercavano di sfuggirlo. L’atmosfera era molto tesa e il terrore che provava uno dei protagonisti era palpabile. Peccato che l’effetto fosse rovinato dalla frase “a voce molto bassa affermò che i gatti non amano andare in salita”. Gatti? Ma non era un giaguaro? In inglese “big cats” sono i felini, le belve feroci e quando il contesto è chiaro basta dire cats, ma tradurlo semplicemente in “gatti” è fuorviante e rovina l’effetto creato dall’autore. C’è una grossa differenza tra un Ggrrr e un Miao!

Infine vorrei menzionare il modo arbitrario in cui a volte vengono tradotti i titoli dei romanzi stranieri. Ai tempi dei miei studi di letteratura inglese e americana a Trieste, conoscevo ovviamente la scrittrice inglese Virginia Woolf e dalla sua biografia sapevo che aveva avuto una tenera amicizia con l’aristocratica Vita Sackville-West. Un giorno in libreria trovo il romanzo della Sackville-West “La signora scostumata”. Lo compro subito immaginandomi chissà quali salaci e piccanti rivelazioni e lo leggo d’un fiato. Il romanzo è bello, interessante, ma non c’è nessun riferimento alla Woolf (neanche sotto mentite spoglie), manca del tutto la signora scostumata e per di più il protagonista è un uomo. Confusa, guardo il titolo originale “The Edwardians” – gli edoardiani – cioè il ritratto della società inglese all’inizio del Novecento sotto il regno di Edoardo VII. Capisco che è un titolo difficile da rendere in italiano, ma da lì alla signora scostumata, ce ne corre!

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