INSEGNANDO S’IMPARA Non tutto il male…(2)

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INSEGNANDO S’IMPARA Non tutto il male…(2)
Vista panoramica di Chicago. Foto Shutterstock

Dopo aver parlato di un disastro d’acqua oggi ci concentriamo su una sciagura di fuoco. Dall’inizio della civiltà umana, le città hanno subito incendi, spesso con conseguenze devastanti. Escludendo gli atti di guerra, quando le città vengono messe a fuoco per rappresaglia, il filo conduttore dei grossi incendi della storia sembra essere che la scintilla iniziale è insignificante e avviene per cause banali. Solo che il mancato controllo ed estinzione del primo nucleo di fiamme, in breve tempo fa divampare un rogo indomabile. Questo vale per il Dies Nefastus del 18 luglio del 64 d.C., che mise in ginocchio Roma, ma vale anche per molte città europee, che dall’epoca medievale in poi, sono bruciate. Si ricorda il grande incendio di Londra del 1666, ma la città era arsa almeno altre tre volte in precedenza (798, 1135 e 1212). Nel corso del tempo sono andate a fuoco molte città tedesche, scozzesi, olandesi, spagnole come anche Mosca e Istanbul.

Dal 1700 in poi comincia a bruciare anche l’America. Nel XIX secolo, per le neonate colonie americane cominciò la fase di espansione e assoggettazione del nuovo continente. Lungo la via vennero fondate città, che spesso erano insediamenti di costruzioni di legno, come si può intuire, facilmente combustibili. Se a questo si aggiungono fattori climatici che favoriscono la propagazione delle fiamme, il quadro è completo.

Una di queste situazioni si verificò nell’estate-autunno del 1871 nella zona dei grandi laghi, quando dall’8 al 10 ottobre, divampò il “Grande incendio di Chicago”. Dopo un periodo di prolungata siccità, con forti venti che soffiavano da sud-ovest, bastò che una lanterna cadesse in una stalla per mettere in moto una catena di eventi fatali. L’incendio si propagò in un battibaleno favorito dal vento, mentre la lentezza e gli errori con cui l’amministrazione cittadina rispose all’emergenza non fecero che peggiorare la situazione. Le fiamme montarono incontrollate divorando tutto sul loro passaggio e nemmeno l’acqua le fermò. Per ben due volte, spirali di fuoco e detriti in combustione riuscirono a saltare da una sponda all’altra, prima da un braccio secondario e poi da quello principale del fiume Chicago. Solo all’alba del terzo giorno le piogge provvidenziali e i venti in diminuzione facilitarono lo spegnimento del rogo. I danni ammontarono a circa 300 vittime, con un terzo della città distrutto (17.500 edifici, 190 km di marciapiedi, 2mila lampioni) e 90mila senzatetto. Considerando che contemporaneamente almeno altri tre grossi incendi divamparono nella zona del lago Michigan causando molte più vittime (l’incendio di Peshtigo consumò la città insieme a circa 2.500 persone), la popolazione di Chicago non ne soffrì troppo, ma la città sì.

Però gli abitanti di Chicago non si abbattevano facilmente tanto che l’ex vicegovernatore dell’Illinois e magnate dell’editoria William Bross, dal suo giornale “Tribune” profetizzò che la città sarebbe stata ricostruita in cinque anni ed avrebbe raggiunto il milione di abitanti prima della fine del secolo. Sbagliò per difetto perché, come la fenice, Chicago non solo risorse, ma raggiunse il milione di abitanti con 10 anni di anticipo. Quest’indomita, dinamica e orgogliosa città decise di trattare il luogo di devastazione come una tabula rasa per diventare la città che voleva essere. La ricostruzione fu intensa, risoluta e rapida. Facendo tesoro delle lezioni del tragico evento, venne bandito il legno e si scelse il mattone come materiale di costruzione (acciaio, vetro e cemento in seguito). Poi vennero introdotte severe misure antincendio e fu instaurato un efficiente sistema di pronto intervento dei vigili del fuoco. Ma c’era di più. La città capì che poteva darsi una nuova impronta estetica e volle diventare il punto di riferimento del nuovo ideale di modernità americana, perciò fece spazio ad un’architettura innovativa e soprattutto audace. Si sviluppò subito la Scuola di Chicago, che faceva capo agli architetti William Le Baron Jenney e Daniel Burnham, che mise la firma alla prima ondata di importanti costruzioni commerciali della città. Inoltre, reagendo ad un’istintiva rivalità con New York, la Scuola vinse la corsa al primo grattacielo, l’Home Insurance Building di 42 piani, completato nel 1885, progettato proprio da Le Baron Jenney che poi avrebbe realizzato il Manhattan Building (sempre a Chicago) il più “antico” grattacielo tuttora esistente.

Lo sviluppo del nuovo profilo della città, soprattutto nel salotto buono del lungofiume e del Magnificent Mile, fu realizzato da fior fiore di architetti di fama mondiale e oggi si possono ammirare gli stili che si sono succeduti dall’inizio del XX secolo in poi. Dall’eleganza classica che ricorda le cattedrali europee del Wrigley Building e del Tribune, ai grattacieli in stile Liberty, allo stile scarno e intramontabile di Mies van der Rohe che in città ha lavorato a lungo e vi è anche sepolto, ai vari edifici degli anni Sessanta che sono stati per 15 minuti “il grattacielo più alto del mondo”, ai palazzi gemelli di Marina City che ricordano le pannocchie, mentre l’edificio Aqua con i suoi balconi ondulati sembra una cascata liquida. Infine vale la pena di menzionare l’innovazione tecnologica finalizzata alle contingenze specifiche del 150 North Riverside, che vede un grattacielo di un certo spessore allargarsi da un piedistallo molto più esiguo. Ma siccome Chicago è conosciuta come la Windy City (la città ventosa), per sviare alle inevitabili oscillazioni, sono stati ideati degli “ammortizzatori di liquido sintonizzato” ovvero delle vasche piene d’acqua (più di 6mila ettolitri) poste vicino alla sommità dell’edificio. Così quando i forti venti colpiscono l’edificio, il liquido crea forze contrastanti che annullano gli spostamenti causati dalle raffiche.

Il fuoco distruttore ha lasciato spazio al genio, innovazione e bellezza.

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