INSEGNANDO S’IMPARA L’eredità di Dante

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INSEGNANDO S’IMPARA L’eredità di Dante

È noto che nel 1302 Dante fu esiliato dalla sua città natale. Mentre era in delegazione a Roma con i Guelfi Bianchi, dove Papa Bonifacio VIII li tratteneva con vari pretesti, a Firenze i Guelfi Neri con un colpo di mano prendevano il potere e il 10 marzo il nuovo Podestà proclamava Dante colpevole di “baratteria, frode, falsità, dolo, malizia” condannandolo prima a una multa, poi anche all’esilio perpetuo e, nel caso fosse stato catturato, “al rogo, così che muoia”. Tornare a Firenze divenne quindi improponibile, così da quel momento iniziò il vagabondare di corte in corte del poeta che trovò una certa stabilità solo negli ultimi dieci anni della sua vita, passati prima a Verona, ospite di Cangrande della Scala, e poi a Ravenna presso Guido Novello da Polenta, dove morì nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321. Che cosa ne fu della sua famiglia rimasta a Firenze? Poco si sa delle vicende della moglie, Gemma Donati, alla quale Dante non dedicò mai un verso e della quale non si hanno notizie negli anni dell’esilio, per cui si presume che non abbia seguito il marito. Quel che è certo è che, con il raggiungimento della maggiore età, i figli maschi Jacopo e Pietro si ricongiunsero con il padre e forse lo avrebbe fatto anche la figlia Antonia di cui si sa anche molto poco eccetto che si fece monaca col nome di Suor Beatrice e morì intorno al 1371 nel Convento di Santo Stefano degli Ulivi a Ravenna. Risulta anche che nel 1350 probabilmente incontrò Boccaccio che era stato incaricato di consegnarle una somma di denaro.

I due maschi rimasero a stretto contatto con il padre. Jacopo è ricordato per esser stato uno dei primi commentatori della “Commedia” ed è l’unico che riuscì a tornare a Firenze e a recuperare alcuni dei beni che erano stati confiscati al padre. Come la sorella, pure lui si fece ecclesiastico prendendo gli ordini minori, ma ciò non gli impedì di avere una tormentata relazione con un fiorentina che gli diede due figli, a cui, non potendo dare il cognome, si accontentò di chiamarli Alighiero e Alighiera. Perciò quello su cui cadde l’onere di continuare la stirpe degli Alighieri fu Pietro. Dopo la morte del padre, Pietro studiò giurisprudenza a Bologna dove conobbe ed entrò in rapporti d’amicizia con Francesco Petrarca. Nel 1331, non essendo riuscito ad usufruire di un’amnistia per coloro che erano stati condannati per reati politici e quindi avere la possibilità di rientrare a Firenze, decise di stabilirsi definitivamente a Verona, dove divenne dapprima delegato del Podestà della città e poi giudice. Nella città scaligera prese moglie ed ebbe tre figlie femmine e un maschio, chiamato ovviamente Dante. (Alcune fonti parlano di otto figli di cui uno illegittimo). In ogni caso, anche se Pietro morì a Treviso nel 1364, la stirpe rimase radicata a Verona dove continuò a propagarsi senza interruzioni fino alla metà del Cinquecento, quando però rischiò di estinguersi. In quegli anni era rimasto un solo esponente maschio che divenne canonico, perciò per non perdere il cognome, l’ultima femmina, Ginevra Alighieri, nel 1549 andando in sposa al nobile veronese Marcantonio Serego, gli portò in dote anche il prestigioso cognome e da quel momento la dinastia riprese e continua tutt’ora con il nome di Serego Alighieri.

Però nel 1353, Pietro fece un’altra cosa che avrebbe influenzato le sorti della discendenza: acquistò una tenuta, detta allora di “Casal dei Ronchi” a Gargagnago nella zona del Valpolicella. La tenuta è riuscita a rimanere proprietà della famiglia da allora fino ai nostri giorni e nel corso del tempo è stata trasformata in azienda vinicola. Dal 1986, alla guida dell’azienda c’è il ventunesimo discendente del poeta, il conte Pieralvise Serego Alighieri, che è un vignaiolo di classe e da anni produce vini di fama mondiale, tra cui ovviamente il Valpolicella, poi un rinomatissimo Vaio Amarone e anche un Recioto. La passione che Dante aveva messo nei suoi scritti, i suoi discendenti oggi la riversano nella viticultura. Bisogna ammettere che il richiamo dell’autorevole cognome è ancora molto potente e fornirebbe un importante valore aggiunto a qualsiasi impresa, ma i Serego Alighieri si sono impegnati molto per trasformare il casale di Pietro nella straordinaria tenuta attuale che è molto di più che una cantina. La villa e gli altri edifici della proprietà sono stati trasformati in un agriturismo di qualità che attira visitatori da tutto il mondo. Il tutto nella meravigliosa cornice naturale della campagna veronese. Il conte però è acutamente consapevole che al privilegio del nome è vincolata anche la responsabilità del lascito culturale della famiglia e perciò, con la sua affiliazione a varie società dantesche, continua a mantenere vivo il culto del suo avo.

Nel 1997, il settimanale “Oggi” pubblicò un’intervista con il conte Pieralvise dove si parlò soprattutto del suo mestiere di vignaiolo e delle tecniche di produzione che contribuivano ad accrescere la qualità dei suoi vini. Trovando l’articolo interessante lo proposi alla classe del livello avanzato. Gli studenti non solo si mostrarono entusiasti dell’argomento, ma il tema li stimolò ad affinare le loro abilità di scrittura. Uno di loro, il signor Victor B. dimostrò di saper così ben manipolare la lingua, da creare un bellissimo gioco di parole in chiusura del suo compito scritto: “Dante ha scritto versi divini e il suo discendente produce vini diversi”. Studenti così sono il sogno di ogni insegnante.

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