INSEGNANDO S’IMPARA La multiculturalità in classe

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INSEGNANDO S’IMPARA La multiculturalità in classe

Insegnando italiano all’estero, capita ogni tanto di ritrovarsi con delle classi più internazionali del solito. Mentre gli adulti che vengono ai corsi tendono ad essere di origine locale, non solo nord-irlandese, ma anche inglese, scozzese, ecc. però sostanzialmente anglofona, nelle classi dove l’età media è molto più bassa, la gamma di nazionalità è più ampia.

Storicamente i gruppi etnici di lunga data in Irlanda del Nord appartengono agli immigrati da Paesi dell’ex impero britannico: indiani, pakistani e cinesi di Hong Kong, che normalmente si impiegano nella ristorazione o in medicina (a grosse linee, ovviamente). Perciò ai corsi di lingua non li vediamo, anche se per qualche anno ho avuto in classe una diligentissima oncologa indiana. Ma è più l’eccezione che la regola.

Tra gli europei, all’inizio c’era ogni tanto qualche francese, dal quale mi arrivava solitamente la critica che usavo troppo inglese nelle mie spiegazioni, tanto per sottolineare ancora una volta il poco amore che c’è tra le due lingue e culture (intendo inglese e francese, l’italiano ne fa soltanto le spese). I tedeschi che studiano l’italiano sono rari, ma una presenza costante per un lungo periodo sono stati gli spagnoli. Con loro e con gli altri mediterranei (portoghesi, greci) c’è sempre molta intesa. Gli italiani amano lo spagnolo e gli spagnoli amano l’italiano e questo amore intenso e corrisposto tra le nostre due lingue genera studenti molto entusiasti.

Dopo il 2004 è avvenuto un grosso cambiamento a livello europeo, che ha portato i suoi effetti anche nei nostri corsi. Il primo maggio di quell’anno sono stati ben dieci i Paesi ad entrare nell’Unione europea, tra cui la Slovenia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, i Paesi Baltici e la Polonia, da cui c’è stato un esodo massiccio soprattutto di giovani altamente qualificati. L’Irlanda, la Svezia e la Gran Bretagna furono i primi Paesi ad aprire loro le porte e in breve tempo si contavano 500mila polacchi nel Regno Unito, di cui tra i 25mila e i 40mila in Irlanda del Nord. Ben presto i nomi polacchi (soprattutto femminili) sono apparsi anche nei nostri registri, rispuntando regolarmente anno dopo anno. Le ragazze polacche sono brave, precise e molto portate per le lingue. Ho notato anche che dietro al loro interesse per la lingua italiana c’è spesso anche un bell’italiano in carne e ossa, per cui imparano con raddoppiata motivazione.

Se in classe c’è un americano lo si avverte subito dal sorriso aperto, dal comportamento disinvolto e dal tono di voce elevato. Le persone del luogo tendono a essere più riservate e si “lanciano” di meno. Se poi l’americano ha anche avi italiani e viene ai corsi “per imparare lingua di nonna”, l’insegnante non avrà pace e verrà mitragliata da ogni sorta di domande e continue richieste di spiegazioni. Va precisato comunque che il numero degli americani sia in Irlanda del Nord che ai corsi è esiguo.

In questo momento in alcuni corsi stiamo assistendo all’ondata degli studenti cinesi e, in misura minore, dal sud est asiatico, soprattutto malesi. Per l’Università questi studenti sono particolarmente redditizi in quanto le loro rette vanno dal quadruplo in su rispetto delle rette degli studenti locali. Ad esempio per i corsi di laurea in materie umanistiche le rette sono di 4.500 sterline per i locali e di 17mila per gli studenti internazionali. La discrepanza aumenta per i corsi scientifici (4.630 contro 22mila sterline) e raggiunge il massimo per medicina (4.630-32.800 sterline). Le cifre sono annue e non includono il vitto e l’alloggio. Non sorprende quindi la notizia che ha fatto scalpore in piena pandemia, quando, nell’autunno 2020 l’Università organizzò dei voli charter specifici per portare a Belfast circa 800 studenti cinesi. Il loro numero supera abbondantemente il migliaio e costituisce circa un terzo dei 3.500 studenti internazionali iscritti all’Università. Non sorprende quindi che negli ultimi anni abbiano cominciato a iscriversi anche ai corsi di lingua facoltativi che vengono offerti a tutti gli universitari. Mentre gli studenti anglofoni ed europei hanno il vantaggio di conoscere le categorie grammaticali e di poter fare dei riferimenti con la propria lingua madre, per gli studenti asiatici è evidente che l’inglese fa da ponte e questo rallenta il processo di apprendimento. Quindi, gli insegnanti hanno capito subito che a questi ragazzi servono più tempo e attenzione, soprattutto per il lavoro orale. Posso confermare l’esattezza dello stereotipo della persona cinese che non riesce pronunciare la “erre”, per cui la frase “Buonasera signora Rossi” per loro è già un bell’ostacolo. Ma a parte questo, hanno la tendenza a impegnarsi molto e a sviluppare una vera devozione per l’insegnante (cosa che non si nota con gli altri allievi). Di solito come carattere sono piuttosto timidi, perciò si presentano in coppia, o a gruppetti di tre o quattro per darsi coraggio. Recentemente in una classe di 15 studenti, un terzo erano asiatici, tra cui due studentesse malesi timidissime che ci vedevano anche poco, ma piuttosto che sedersi in prima fila, si sottoponevano a un complicato iter di fotografare lo schermo con il telefonino e poi ingrandire l’immagine per capire l’esercizio che dovevano fare. A parte questo erano attente e scrupolose.

Parlando da insegnante devo dire che questi cambiamenti hanno portato una gradita novità generando una ventata di rinnovamento anche dei metodi didattici che altrimenti tendevano ad adagiarsi abitudini fin troppo consolidate.

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