INSEGNANDO S’IMPARA Dov’è finita la mia pallina?

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INSEGNANDO S’IMPARA Dov’è finita la mia pallina?
Foto: GORAN ŽIKOVIĆ

Voci di corridoio mi dicono che nel salvorino si stia progettando un altro campo da golf, non lontano da quello che già c’è. Fa piacere vedere come gli istriani si siano scrollati di dosso l’atavica diffidenza per le “robe foreste” e stiano abbracciando questo sport, per noi così nuovo. Tra poco, invece che di “pinne, fucile ed occhiali” saremo tutti equipaggiati con “mazza, pallina e cappellino”.

Oggigiorno si gioca a golf in tutto il mondo, dall’Australia all’India, da Dubai al Canada, oltre che nella maggior parte dell’Europa. Bisogna precisare che il campo golf prospera veramente bene nel clima piovoso della Gran Bretagna e Irlanda, perciò per riuscire bene dove fa molto caldo ha bisogno di molta acqua. Ovviamente, dove invece nevica, non si gioca per diversi mesi all’anno.

È difficile stabilire quali siano state le vere origini del golf. Esistono reperti sia di origine romana, che addirittura cinese, che ritraggono giocatori con mazze ricurve che cercano di mandare in buca una pallina. Nel Medioevo si praticavano sport simili sia in Inghilterra, il pall mall, che nei Paesi Bassi, il kolf (o kolven). Ma la vera storia dello sport inizia in un posto preciso: la Scozia e per essere ancora più precisi, la zona di St. Andrews a nord di Edimburgo. Non si sa l’esatto periodo in cui nacque, ma c’è un documento che ne attesta l’estrema diffusione già prima della metà del Quattrocento. Con il decreto del marzo 1457, il re scozzese Giacomo II metteva al bando due sport che avevano contagiato la popolazione al punto da distrarla dai propri doveri: il gowf o goff e il futeball, golf e calcio. Il re era stato costretto a decretarne il bando in quanto queste amene attività distoglievano i suoi uomini dalla pratica di tiro con l’arco che era di cruciale importanza per la difesa dello stato contro i continui attacchi inglesi. Meno male che nel 1501 ci fu un trattato di pace con l’Inghilterra che contribuì a riaccendere la passione per il golf, tanto che ci sono dei documenti che attestano l’acquisto di mazze e palline addirittura da parte del re. Quindi nel Cinquecento il golf torna ad essere uno sport democratico, che entusiasma tutti, dalle masse ai re. Si racconta che la regina Maria Stuarda, che nel 1587 sarebbe andata al patibolo per ordine di sua cugina, la regina Elisabetta I, avesse giocato a golf anche il giorno dopo l’assassinio del suo secondo marito Lord Darnley, nel febbraio del 1567. Questo la dice lunga sia sulla sua passione per lo sport che sulla riuscita del suo matrimonio. Ma si deve a suo figlio, Giacomo IV di Scozia, che alla morte di Elisabetta sarebbe diventato Giacomo I d’Inghilterra, il merito di aver portato il golf al di là del confine scozzese.

All’inizio i campi da golf venivano ricavati dal suolo pubblico, nella fascia tra la spiaggia e gli appezzamenti agrari ed erano chiamati hlinc. Ancora oggi in inglese si distingue tra golf “course”, che è il regolare campo da golf e il golf “link” che è quello situato su un tratto di costa. Noi oggi siamo abituati a vedere i campi perfetti, con l’erba che sembra rasata da un barbiere, ma passarono ben 400 anni prima che a qualcuno venisse in mente di tagliarla. All’inizio si lasciava fare alla natura. Siccome i campi erano spesso adiacenti a dune di sabbia, i “bunker” si formavano grazie all’azione erosiva degli elementi; a tenere l’erba ad un’altezza accettabile ci pensavano le pecore, mentre ai conigli sembra spetti il merito di aver ideato le buche. Infatti i maschi tendevano a scegliere sempre un area con l’erba migliore, scavarci una buca e marcarla con l’urina. Non ci volle molto prima che i golfisti trasformassero queste zone in “putting green” con la buca in mezzo. Intanto a St. Andrews il golf prosperava. Venne istituita la prima Università scozzese, nel 1764 nacque il primo club di golf che, non solo decreterà la lunghezza del campo a 18 buche, ma che riceverà anche il benestare del re, che nel 1834 ne diventerà il patrono. In quell’anno si contavano già ben 17 club di cui 15 in Scozia, uno in Inghilterra e uno in India, perché nel frattempo l’Impero britannico si stava espandendo e i signori inglesi dovevano pur svagarsi nei nuovi possedimenti. Però era anche successo un fatto rivoluzionario: il golf era diventato uno sport elitario e tutto a causa della pallina. Infatti, dalle palline di legno si era passati a quelle di cuoio imbottite di piume bollite chiamate “featheries”. Il problema era che erano molto costose, lente da farsi e duravano poco. Se da una parte i laboratori di produzione riuscivano a sfornarne 3 o 4 al giorno, un giocatore ne faceva fuori anche 2 o 3 a partita. Di nuovo, la soluzione al problema arrivò dalle colonie con l’adozione della guttaperca, materiale gommoso di origine vegetale, malleabile, facile da lavorare e soprattutto molto più economico. All’inizio la pallina non sembrava molto adatta in quanto rimbalzava in modo imprevedibile, ma dopo che esser stata segnata dalle mazze, la sua traiettoria diventava più controllabile. Perciò, anche se i materiali sono cambiati, ancora oggi la pallina è costellata da fossette circolari. Così il golf ritornò al popolo e, quando nel 1887 un mercante americano di lino lo portò oltreoceano, la sua diffusione fu rapidissima e inarrestabile.

Com’è visto il golf oggi? Qui in Irlanda è un passatempo alla portata di tutti. Le differenze di ceto si manifestano nei club più o meno costosi, ma non è difficile trovare il club per la propria fascia di reddito. In Irlanda del Nord, vasta quasi quattro volte l’Istria, si conta un centinaio di campi, di cui 40 solo nella zona di Belfast. Se da una parte Mark Twain pare abbia decretato che “il golf rovina una bella passeggiata”, dall’altra è indubbio che, con una lunghezza media tra i 5.500 m e i 6.500 m la camminata c’è. E che piova o ci sia un vento forza nove, i fissati del golf si presentano puntuali sul campo. Cosa non si fa per stare quattro ore lontani dalla moglie!

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