IL RICORDO Benedetto XVI, il Papa teologo

Un vaticanista che ha seguito i 25 anni del suo ministero di prefetto della Dottrina della Fede e poi gli otto del suo Pontificato, rievoca per La Voce i ricordi personali che riguardano aspetti anche privati, emozioni che si sono stratificate nel cuore del cronista e che sul taccuino occupano alla fine poche righe

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IL RICORDO Benedetto XVI, il Papa teologo

Con Joseph Ratzinger scompare forse il più grande teologo del XX secolo, dagli anni ‘70 “maestro buono”, per usare le parole del Vangelo, di intere generazioni di studenti di teologia con il suo libro “Introduzione al cristianesimo” che metteva in luce la sorprendente modernità del pensiero cristiano per l’umanità di oggi, in risposta alle grandi domande poste dalla scienza ma anche dal progresso civile, quello della Dichiarazione dei diritti umani che la Chiesa in effetti ha faticato a riconoscere, a partire dalla libertà di pensiero e di espressione e dalla pari dignità di ogni essere umano, qualunque ne sia il sesso, l’etnia e la religione.
Ma a un giornalista che ha seguito i venticinque anni del suo ministero di prefetto della Dottrina della Fede e poi gli otto del suo Pontificato, come è accaduto a me, vengono alla mente oggi tanti ricordi personali che riguardano aspetti anche privati, emozioni che si sono stratificate nel cuore del cronista e che sul mio taccuino occupano alla fine poche righe. La prima riguarda la sua capacità di perdonare, sperimentata dal sottoscritto dopo un articolo che in effetti lo aveva offeso.

La capacità di perdonare

In un viaggio in Terra Santa, infatti, nelle settimane in cui stava conducendo l’inchiesta sulla Teologia della liberazione e il suo massimo esponente, il francescano Leonardo Boff, il cardinal Ratzinger aveva visitato un istituto di suore francescane dove aveva trovato ricovero con anziani poveri palestinesi anche un gatto nero che le religiose, solidali con il loro confratello brasiliano, avevano ribattezzato “Ratzinger” e che subiva un trattamento non proprio dignitoso da parte di quei vecchietti, che gli lanciavano le pantofole se il micio si azzardava a entrare miagolando nelle loro camerate.
Mi era parso un dettaglio interessante riguardo all’insofferenza che in varie latitudini suscitava la severità dell’inchiesta su Boff – conclusa con un’ingiusta sospensione del teologo dall’insegnamento – e da cronista dell’AGI pubblicai quella storia. Solo che l’allora porporato tedesco amava assai i gatti, come tutti abbiamo saputo molti anni dopo, e per questo il mio pezzo, tra l’altro ripreso in prima pagina dall’Unità, provocò una risentita telefonata allo storico portavoce vaticano Joaquin Navarro Valls che ovviamente mi chiamò nel suo ufficio per avvertirmi. “Il cardinale è offeso, come ti è saltato in mente?”, mi disse. Per farla breve dovette intervenire un prelato della Segreteria di Stato e alla fine fui ricevuto da Ratzinger in persona per un chiarimento.

Un legame nato da uno sgarbo

”Eminenza sono spiacente, intendevo riportare opinioni discordanti, ma non offenderla”. E il futuro Papa mi sorrise e disse: “Ho già dimenticato, non preoccuparti”. Da quel giorno spesso mi riconosceva incrociandomi per strada dalle parti di San Pietro e mi salutava e si fermava per scambiare qualche parola, trattandomi in effetti come un amico, e una volta eletto Papa, mentre ero nel cortile della Villa Pontificia di Castelgandolfo, addirittura, volle salutarmi dal balcone indicandomi con un dito, tanto che prelati e gendarmi presenti si accorsero di quel gesto, nessuno pensando che fosse un’amicizia nata da un incidente diplomatico.
Poi in molte altre occasioni ho potuto in cuor mio ringraziare quella imperdonabile gaffe tuttavia da lui perdonata, che pur avendolo offeso mi aveva fatto conoscere personalmente e tutto sommato apprezzare dal Papa-teologo. Sì, perché Joseph Ratzinger evidentemente non serbava rancori, anche se in linea con il suo motto episcopale “Cooperatores Veritatis”, “collaboratore della verità”, sul nostro lavoro di cronisti aveva spesso qualche riserva, soprattutto se noi delle agenzie per confezionare un “prodotto più vendibile” semplificavamo un poco i suoi distinguo.

Risposte, ma anche dubbi e domande

Ricordo un pomeriggio in una chiesetta della Valle d’Aosta, dove un gruppetto di vaticanisti l’aveva seguito mentre era in vacanza a Les Combes di Introd, quando ci spiegò il problema della “comunione ai divorziati”, anticipando quella linea che è stata poi ratificata da Papa Francesco riguardo alle procedure di annullamento di “matrimoni celebrati senza fede”. Uscirono su quel colloquio con il Papa pezzi assolutamente contrastanti perché ciascuno aveva puntato sull’aspetto a lui più congeniale, io ad esempio aspettavo l’annullamento… Ma anche lì Papa Benedetto non se la prese più di tanto e trovò il modo di chiarirsi meglio qualche giorno dopo. Il fatto era esattamente, almeno in quel caso, che spesso parlava come un teologo e soprattutto un generoso professore universitario, che per sua scelta, e coerentemente a tale ruolo, non offriva sempre e solo risposte ma anche – e certe volte soprattutto – domande e dubbi. Che è il modo di procedere della scienza moderna, quella per intenderci che con Galileo ha contestato il dogma del geocentrismo.
Con le sue risposte, poi, si poteva dissentire senza problemi, come lo stesso Ratzinger ha scritto nelle prime pagine del “Gesù di Nazareth”, la grande opera pubblicata quando era Papa. Per questo, ad esempio, gli è toccato purtroppo assistere negli ultimi anni a una sorta di duello tra quanti volevano utilizzare il suo saggio sulla pedofilia del 2019 per arruolarlo nella loro lotta alla Riforma di Papa Francesco, curiali ma anche semplici chierici che osteggiavano e osteggiano Bergoglio perché ha tolto loro potere e prebende, e invece di ascoltare i suoi appelli a convertirsi se ne stavano e stanno abbarbicati ai loro privilegi, spalleggiati da blogger schieratissimi, quelli, per capirci, che hanno rilanciato i deliri dell’ex Nunzio negli Usa, Carlo Maria Viganò, con la folle richiesta di dimissioni papali incorporata.
Così pure si è trovato coinvolto in una diatriba sul celibato dei preti in cui lo si voleva far apparire contrario a Bergoglio e alle sue aperture (che in effetti poi non ci sono state). In quest’ultimo caso a “tradirlo”, certo in buona fede, è stato un cardinale da lui molto stimato, l’africano Robert Sarah, che ha interpretato, con la sua mentalità poco incline alle mezze misure, un elogio di Benedetto alla sua difesa del celibato.

La visione dell’amicizia

Certo l’amicizia in effetti è stato uno dei valori forti di Joseph Ratzinger che Giovanni Paolo II volle ricordare nel suo testamento come “amico fedele”, privilegio che Ratzinger ha condiviso con un non cristiano, il rabbino capo di Roma Elio Toaff, accostato a lui in quelle righe. La sua visione dell’amicizia, in effetti, si fondava sull’amicizia che ci lega a Dio e che a lui dava una forza apparentemente sproporzionata con il suo fisico minuto, infatti era un uomo mite ma di ferro quanto a volontà e capacità di lavoro: “Ha scritto più libri di quanti ne avessimo letti noi cardinali messi insieme”, mi disse un porporato dopo il Conclave del 2005 che lo aveva eletto, spiegandomi che di fatto non c’era partita possibile nella Sistina.
Il cardinale Ratzinger prima e Benedetto XVI poi sono stati in effetti un punto di riferimento intellettuale, ma soprattutto spirituale per intere generazioni di credenti e di teologi. E il suo servizio di “umile lavoratore della Vigna del Signore” ha trovato una straordinaria opportunità di servire i più piccoli nella lotta ingaggiata contro il male degli abusi negli otto anni del suo Pontificato, così come il suo magistero di successore di Pietro e ancor prima il suo lavoro di teologo al Concilio, e poi il ministero di vescovo e stretto collaboratore di San Giovanni Paolo II, meritano gratitudine.

Dimissioni, un gesto generoso

Così come resta grandissima l’ammirazione per il gesto generoso e controcorrente delle sue dimissioni dell’11 febbraio 2013, che hanno aperto una nuova era nella storia della Chiesa permettendo l’elezione del primo Papa latinoamericano, il primo nella storia che ha adottato il nome di Francesco per indicare la necessità di attuare la riforma voluta dal Santo di Assisi: “una chiesa povera e per i poveri”.
E gratitudine sento di dovergli anche per il ruolo di “nonno saggio” esercitato nel più assoluto nascondimento in quasi dieci anni da Papa emerito. Qualcuno aveva ipotizzato un conflitto tra i due Papi che in realtà non c’è mai stato. Vale la pena ricordare che sul piano della Dottrina Sociale Benedetto XVI ha spianato la strada alle aperture di Francesco, soprattutto con la prima enciclica sul Dio amore e l’importante enciclica sociale “Caritas in veritate”, che ha segnato un grande passo avanti. Per esempio Ratzinger ha teorizzato il “diritto all’emigrazione” che è una novità molto dirompente, se consideriamo le resistenze agli sbarchi e all’allargamento della possibilità di diventare cittadini italiani.

Fides quaerens intellectum

Il Papa emerito su questi temi è stato molto avanti, come si dice. E in linea con Giovanni Paolo II che di sé stesso diceva “sono extracomunitario” essendo la Polonia ai tempi fuori dall’Ue. Si richiamava esattamente alla rivoluzionaria enciclica “Popolorum Progressio” di Paolo VI, il Papa che il 24 marzo 1977 lo aveva voluto nominare arcivescovo di Monaco e pochi mesi dopo, il 27 giugno, lo aveva creato cardinale spiegando: “Diamo attestato di questa fedeltà anche a Lei, cardinale Ratzinger, il cui alto magistero teologico in prestigiose cattedre universitarie della sua Germania e in numerose e valide pubblicazioni, ha fatto vedere come la ricerca teologica – nella via maestra della fides quaerens intellectum – non possa e non debba andare mai disgiunta dalla profonda, libera, creatrice adesione al Magistero che autenticamente interpreta e proclama la Parola di Dio”. E non ci sono forse parole migliori per ricordare oggi il magistero del Papa teologo Benedetto XVI-Joseph Ratzinger, come amava firmare i suoi libri teologici negli otto anni del Pontificato.

*vaticanista

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