Il dopo verrà

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Il dopo verrà

Ormai è virale, alle 18 arriva in casa uno strano brusio. Nel quadrilatero tra le case qualcosa sta succedendo. Una breve occhiata all’orologio: ma certo è l’Italia che canta, dalle finestre, dalle terrazze, l’hanno fatto vedere in TV, eppure… Mentre si espandono le note dell’inno di Mameli, è inevitabile pensare che in una sorta di distorsione dello spazio e del tempo, il virtuale si fonde con il reale. Ciò che vediamo sullo schermo è la vita che stiamo vivendo, qui, ora, stiamo toccando con mano l’emergenza, ci chiudiamo nell’intimo delle quattro mura sperando di poter superare indenni il pericolo incombente. Come al tempo della peste…
Peggio. Allora i morti si contavano dopo che l’epidemia era finita, ora seguiamo i bollettini universali in tempo reale, ne subiamo il cambiamento quotidiano, stiliamo le classifiche degli ammalati, i contagiati, i ricoverati e i deceduti. In Italia la regione maggiormente colpita è la Lombardia, ma anche le altre non scherzano. Nel Friuli Venezia Giulia stavamo arrivando ai quattrocento colpiti, a questo punto forse sono di più, basta distogliere lo sguardo e la tabella muta gli equilibri.
Una sola cosa rimane fissa, l’angoscia per ciò che stiamo vivendo. E non basta spegnere la televisione perché tutto torni alla normalità, la crisi è entrata nelle case, nei pensieri, addirittura nei sogni che si trasformano in incubi. Ma che regista hollywodiano avrebbe potuto immaginare uno scenario come questo. Pandemia, la parola riempie la bocca di sgomento. Tutto il mondo, non c’è un luogo in cui fuggire. State a casa, ripetono, state a casa, tuonano, stiamo a casa rispondiamo mentre assistiamo a prese di posizione così diverse tra i diversi Paesi. Possibile che di fronte a un’emergenza mondiale non si riesca a trovare un comune modus vivendi. Sembra proprio di no e questa consapevolezza, forse più del pericolo in sé stesso, ci rende tristi. Gli egoismi delle nazioni si fanno avanti come soldati stolti che invece di cercare riparo finiscono per farsi del male vicendevolmente. Siamo tutti sulla stessa barca, ma certo non su quella di Noè che cercava di salvare le specie dall’estinzione, per ricominciare dopo il diluvio. Perché il dopo verrà e si conteranno non solo i morti ma anche le manchevolezze, le decisioni sbagliate, verranno indicati gli egoismi dei colossi farmaceutici, le debolezze del sistema sanitario, le scelte errate del mondo universitario, il maltrattamento finanziario dei tirocinanti, l’arroganza di quella politica che non riesce ad accettare le giuste decisioni del governo.
È questo che cercano di comunicare le persone che applaudono l’inno al tramonto, si affacciano per un momento alle finestre per testimoniare che ci sono ancora, intenzionate a resistere, a oltranza.
In Cina ce l’hanno fatta, questa la comune consolazione.
E mentre le note scemano ci rendiamo conto che un altro giorno volge al termine e si aggiunge alle perle di un rosario dell’anima, una preghiera laica sale attraverso il canto, di chi è testardamente intenzionato a credere che tutto questo non sia la fine.

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