
È una di quelle storie che sembrano venire da un film o da un racconto distopico, ma invece sono vere. Il fatto che sia successo in una struttura formalmente autorizzata, rende tutto ancora più inquietante. Fa pensare a quante situazioni simili possano restare sotto silenzio, soprattutto dove non c’è una rete familiare o comunitaria a vigilare. Ed è spaventoso immaginare che, se quel familiare non avesse dato l’allarme, forse nessuno si sarebbe accorto di nulla per giorni.
È un caso che colpisce profondamente, perché tocca uno dei nervi più sensibili di una società: il modo in cui trattiamo chi è fragile, anziano, non autosufficiente. L’abbandono degli ospiti del centro “Eddy” di Rupa non è soltanto una grave negligenza amministrativa o un illecito gestionale, è una vera e propria ferita morale.
Stiamo parlando di persone che non hanno nemmeno la possibilità di reagire o di chiedere aiuto. Il fatto che siano stati lasciati chiusi dentro, senza cibo, riscaldamento, acqua o medicinali, e che solo per puro caso non si siano verificate conseguenze tragiche, mette in luce quanto possa essere pericolosa l’assenza di controlli efficaci e continui su queste strutture. Da un punto di vista più ampio, è un richiamo a riflettere sulla gestione privata dell’assistenza agli anziani: quando il profitto entra in collisione con la cura, i più deboli rischiano di pagarne il prezzo.
Quello che colpisce, nel caso di Rupa, è la freddezza del gesto, un livello di disumanità che lascia davvero senza parole. Allo stesso tempo, la rapidità della risposta da parte di autorità locali, protezione civile, Croce rossa e Regione è stata esemplare. Non sempre è scontato. In poche ore si è attivata una rete di solidarietà e intervento che ha evitato il peggio. È un segnale che esistono ancora comunità capaci di reagire, anche quando chi avrebbe dovuto vigilare – in questo caso i gestori del centro – viene meno in maniera così brutale.
Dopo un caso del genere, la reazione del “sistema” dovrebbe essere quella di instaurare un sistema di controllo più rigoroso, e non soltanto sulla carta. Serve una vigilanza continua, fatta di ispezioni a sorpresa, verifiche periodiche sulle condizioni degli ospiti e sul personale e anche la possibilità per i familiari e per gli stessi operatori di segnalare anomalie senza timore di ripercussioni.
Inoltre, sarebbe importante distinguere meglio tra chi gestisce una casa di riposo con reale spirito di cura e chi la tratta come un semplice business. Quando il profitto diventa l’unica bussola, il rischio di disumanità è dietro l’angolo. E poi, non meno importante, ci vuole anche una cultura diffusa della responsabilità verso gli anziani, come parte vulnerabile ma preziosa della società.
Sia ben inteso, quello di Rupa non è certo un caso del tutto isolato. In diversi Paesi europei, anche in quelli con sistemi assistenziali avanzati, si sono verificati episodi simili, spesso legati a case di cura private poco controllate o mal gestite. Ci sono stati casi in Francia e in Germania dove anziani sono stati trovati abbandonati in strutture che, per mancanza di fondi o personale, non riuscivano più a garantire l’assistenza minima. In Italia, soprattutto durante la pandemia, sono emerse situazioni drammatiche in alcune residenze sanitarie assistenziali (RSA), come vengono chiamate, ma anche prima non mancavano segnalazioni su abusi o trascuratezza.
C’è sempre l’uomo, però, dietro ogni storia e noi vorremmo poter confidare nell’integrità morale di chi gestisce strutture di questo tipo. Alla fine, anche il miglior sistema normativo o di controllo si basa sulla qualità umana di chi lo vive e lo applica. Le regole servono, ma è la coscienza, l’empatia e il senso di responsabilità individuale che fanno davvero la differenza, soprattutto quando si ha a che fare con persone fragili. Affidare un proprio caro a una struttura è un atto di fiducia enorme. Chi gestisce queste realtà ha, o dovrebbe avere, piena consapevolezza di quanto quel ruolo sia delicato e carico di significato e non dovrebbe mai dimenticare che dietro ogni letto, ogni stanza, ogni richiesta c’è una persona con una storia, dei sentimenti, e dei legami.
Forse proprio per questo casi come quello di Rupa colpiscono tanto: non sono solo una “mancanza di professionalità”, ma un tradimento dell’etica più basilare. Vorremmo poter dire con certezza che sì, la responsabilità morale è ancora un valore saldo nella nostra società, ma a volte la realtà sembra scuoterci proprio per metterci alla prova su questo punto. Forse, però, anche il fatto che certe notizie ci indignino, ci turbino profondamente, è già un segno: vuol dire che non abbiamo smarrito del tutto quel senso etico, che c’è ancora una coscienza collettiva capace di riconoscere quando si è oltrepassato un limite.
Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.
L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.