IL CALAMO Museo croato del turismo 13 anni dopo, tra paralisi e soprusi

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IL CALAMO Museo croato del turismo 13 anni dopo, tra paralisi e soprusi

Il 14 novembre 2007 veniva inaugurato ad Abbazia il Museo croato del turismo, unico del genere in Croazia. All’apertura ufficiale della struttura hanno presenziato le massime autorità in carica, dal sindaco di Abbazia, Amir Muzur, al Presidente del Consiglio, Ivo Sanader, fin sino al presidente della Repubblica, Stjepan Mesić. Sua prima direttrice, in carica a titolo provvisorio fintanto che non le fosse subentrata un’altra a pianta stabile, cioè eletta tramite concorso, fu Mirjana Kos-Nalis, il cui compito, così fu detto, era quello di «preparare l’istituzione». Il Museo è nato su approvazione congiunta del Comune di Abbazia e del Ministero della cultura croato, tant’è vero che questi ne condividono in parti uguali le spese amministrative. Il Comune ha però conservato la proprietà sugli spazi in cui è stata allocata la struttura. Vale a dire la storica Villa Angiolina, prima villa della Riviera costruita nel 1844, adibita a ufficio centrale del Museo, archivio e punto informativo per i visitatori, e, per le mostre di più ampio respiro, il padiglione Juraj Sporer, già storico Café Glacier, famoso a cavallo tra il XIX°-XX° secolo per i suoi leggendari dolci, fatti arrivare puntualmente ogni giorno alle 12:00 col treno diretto da Vienna. Nonostante alcune ritrosie a livello locale, il museo è stato approvato non solo per dare una cornice storico-culturale ai fasti trascorsi di Abbazia, ma per approfondire in senso lato la storia dello sviluppo del turismo in Croazia, dacché il settore turistico era e resta, se non la maggiore, almeno una delle più forti colonne portanti dell’economia del Paese. Abbazia, del resto, non si sarebbe evoluta a tal punto se il proprietario di Villa Angiolina, il facoltoso patrizio fiumano Iginio Scarpa, veneziano per parte di padre (Paolo de Scarpa) e croato per parte di madre (Maria Elisabetha Carolina Tomassich-Skerbich), non avesse dedicato l’edificio all’amata moglie (la triestina Angiolina Sartorio) invitandovi conoscenti e celebrità da tutta Europa. Finché, sparsasi la voce ca. la bellezza dell’area e i suoi salutari benefici, ad Abbazia non furono costruite altre ville, stabilimenti balneari, ambulatori, cliniche, pensioni e grandi alberghi (tra cui il sontuoso Hotel Kvarner, costruito dalla Südbahngesellschaft austriaca, l’Imperial regia società delle ferrovie meridionali, per assicurare un «dignotoso alloggio ai suoi viaggiatori»). Nel 1889 Abbazia fu ufficialmente nominata «luogo di cura», ottenendo così per prima questo titolo sull’Adriatico. Non è poco, al netto della storia. Ma non tanto perché, con Abbazia, si narrano gli albori del turismo croato. Il dato più interessante, soprattutto nell’ottica di una storia presente, considerato che Abbazia, con la Croazia, fa parte dell’Unione europea, è che, quest’area che da sempre è stata di grande interesse geo-politico per il Continente, è stata e continua ad essere un crocevia di genti e culture, avendo sperimentato con largo anticipo quanto ha preso corpo solo di recente: la Comunità europea. Non basta dire che altre più illustri città europee sono già state crocevia di varie civiltà. Nessuna, come Abbazia e Fiume, ha assistito oltre che ad un’«immigrazione» di genti e culture, al ricambio di ben 7 giurisdizioni diverse con a capo governi diversi, in un lasso di tempo così breve. A casa si parlava croato, a scuola ci si formava col tedesco, al porto si lavorava in italiano e col medico o col panettiere, magari, si parlava in ceco o in ungherese, mentre ai ritrovi in società si primeggiava col francese. Ad immigrare, sul Quarnero, sono stati gli Stati, oltre ai loro cittadini. Caso più unico che raro, in Europa. A fronte di questa eclettica eredità, avere un Museo del turismo ad Abbazia è più che opportuno, anche se i governi pare non ne colgano il potenziale strategico. In 13 anni, per cause politiche mai risolte, al Museo si sono succedute direttrici sempre solo provvisorie, paralizzando il lancio di qualsiasi progetto a lungo termine, in grado di contribuire ad un rafforzamento decisivo della visibilità della Croazia su scala internazionale. Il caso più eclatante è quello della penultima, Gabrijela Krmpotić-Kos: approvata dal Ministero della cultura ma accusata di mobbing da dipendenti e collaboratori, poi citati in tribunale per diffamazione come quelli indignati che già a Zagabria, al centro informativo culturale KIC, hanno sottoscritto petizioni per evitare una sua riconferma, ha cancellato mostre ed accorciato esposizioni concordate prima della sua nomina, chiuso a chiave libri storico-promozionali per farne decadere la vendita, vietato la celebrazione di matrimoni civili organizzati dal Comune e dall’agenzia Noi due nel Salone della Villa e impedito concerti, rispedendo al Festival Opatijail pianoforte a coda dato in prestito. Persino la società Rijeka EPK ha rifiutato una collaborazione col Museo. In un’intervista rilasciata allo Jutarnji List, due giorni prima dell’inaguruazione, la direttrice Kos-Nalis disse che contava “sull’aiuto attivo di tutti i cittadini” per il lancio del Museo e l’arricchimento del suo fondo. Dopo 13 anni, in tempi cruciali di “contatti a distanza di sicurezza“ per rilanciare il Paese, torna a capo di un Museo in cui non è possibile prenotare visite guidate, dato che nessuno risponde al telefono negli orari d’ufficio, mentre ai turisti d’Europa presenta un sito web (www.hrmt.hr) graficamente disastrato, privo di qualsiasi traduzione in italiano, tedesco e inglese. E chi fa ricerca? La direttrice, dal cellulare, risponde “noi siamo piccoli, vada a cercare fonti da un’altra parte e ci lasci in pace“, dopodiché riattacca. Nessuno, là fuori nel mondo, a parte il Ministero della cultura e il Comune, che a fine mese devono pagare spese e stipendi, potrà sapere cosa sia l’HRMT, dov’è e cosa offre. Ma, soprattutto, a cosa e a chi serva.

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