I giorni recenti hanno visto una breve polemica nella parte a sinistra dello spettro politico in Croazia. Niente di che, un tentativo di scaramuccia, peraltro senza un gran seguito visibile. Ma se ne parla, anche se la persona che è stata oggetto delle critiche per ora non ha aderito alla sfida.
In breve, la leader del partito chiamato Fronte Operaio, Katarina Peović, ha criticato la candidata presidenziale di Možemo!, Ivana Kekin, accusandola di essere una falsa esponente della sinistra. Oppure un’esponente autentica di una falsa sinistra. Boh. In che cosa consiste la critica? La candidata Kekin è stata rimproverata per l’elitismo sociale che distinguerebbe la sua campagna elettorale, in primo luogo con l’esibizione della cucina di casa che sarebbe molto più costosa rispetto a quanto accessibile a chi, in Croazia, nella media, vive del proprio salario. Poi, le si rimprovera uno spot elettorale dove sarebbe impegnata nel cucinare portate tradizionali della cucina giapponese. L’ex parlamentare Peović parla anche dell’inscrizione di uno/a o più figli/e in una scuola privata, ma si tratta di un’affermazione per la quale non ho trovato alcun riscontro nella realtà. Trascuro altri commenti che non sono sicuro di ricordare bene e che aggiungono poco a quanto detto. Ci sono, poi, critiche sostanziali. La candidata Kekin è stata accusata per sostenere il diritto dei medici impiegati nel settore pubblico di esercitare anche attività in forma privata. Non ne parlerò.
Ritorno alla presunta obiezione morale basata su una cucina economicamente inaccessibile alla famiglia media e la gastronomia giapponese. Trovo la critica dell’ex parlamentare Peović poco convincente. La cucina non è un palazzo, una villa o un castello. Se la cucina fosse l’unico criterio, non vedrei quest’enorme distanza sociale con la classe media. Rimarremmo sempre nella classe media, seppure, in questo caso, classe medio alta. Non credo siano qui i nemici e le nemiche sociali che un partito serio di sinistra dovrebbe identificare (se i soldi sono guadagnati legalmente e si pagano le tasse). Così ci si riduce a un progetto politico di appiattimento egalitario che non ha prodotto buoni risultati da nessuna parte. Certo, rimane il fatto che stiamo parlando di una rappresentante politica che si concede alcune cose che rendono la vita piacevole, inaccessibili per la maggioranza delle persone che vivono del salario. Ma, ripeto, queste stratificazioni minime sono inevitabili se non vogliamo una società egalitaria appiattita al ribasso.
In quanto alla gastronomia giapponese, se ne potrebbe fare una questione culturale e dire che i gusti e le scelte di una rappresentante della sinistra dichiarata sono in disaccordo con quelli, diciamo, popolari. Ma quanto bene può produrre volere un appiattimento culturale? Qualcuno ne potrebbe fare una questione economica, pensando ai ristoranti giapponesi cari. Ma come per altri ristoranti, esistono quelli cari e quelli meno cari. Per quanto riguarda un ristorante che si dichiara giapponese nella nostra città, verificando i siti dai quali si ordinano consegne, mi sembra che non ci si discosti dalla media dei costi (peraltro, la media è esageratamente alta, per le disponibilità medie in Croazia). Per realizzare un pasto di cucina giapponese a casa propria, fondamentalmente, bastano cose accessibili: verdura, pesce fresco (non necessariamente caro), riso… Ci aggiungiamo il teriyaki? Non mi sembra più caro dell’olio d’oliva.
In breve, mi sembra che si tratti di un tentativo di scaramuccia con elementi populisti. Una strategia dove, peraltro, si destreggiano meglio le destre rispetto alle sinistre. Forse perché le destre usano altre risorse populiste, ad esempio, legate ai cambiamenti demografici e a politiche dure per fronteggiare i cambiamenti climatici. Rimane il fatto che a sinistra non si offrono molte idee, o idee molto chiare su politiche strutturali di uguaglianza sociale. Sarebbe buffo formularle attaccando chi può acquistare una cucina più cara rispetto alla media. Il problema sono le differenze sociali che consentono ad alcune persone di controllare le risorse economiche di una società, con un connubio con le istituzioni politiche. E di vivere una vita parallela rispetto al resto della società. Ad esempio, avendo i mezzi per curarsi all’estero infischiandosene della qualità del sistema sanitario pubblico.
*Professore ordinario di Filosofia politica
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