
Un tema emerso nella prima fase della campagna elettorale presidenziale è: quanto benessere economico è morale che sia posseduto da una persona? La risposta mainstream è: ogni ricchezza è legittima, se ottenuta nella legalità e pagando regolarmente le tasse. Ma nella campagna presidenziale non sembrava che fosse così. Da varie direzioni si è rivolto biasimo alla candidata Ivana Kekin, motivato dalle sue condizioni socioeconomiche. Per valutare questo biasimo, è utile fare delle distinzioni.
Si potrebbe dire che la risposta alla domanda che ho posto dipende dalla concezione della giustizia affermata dalla persona alla quale è rivolta la disapprovazione. A una persona che si presenta con un’agenda politica, chiamiamola così, di sinistra si potrebbero porre dei limiti di benessere economico personale più rigorosi rispetto, ad esempio, a una candidata politica che sostiene le libertà di mercato incondizionate. La spiegazione di questa tendenza riguarda la coerenza. Una persona che si definisce di sinistra dovrebbe sostenere ideali egalitari. Quindi, manifesterebbe incoerenza se si concedesse dei beni o un benessere economico generale inarrivabili per alcune parti della società. Non ci sarebbe incoerenza, invece, da parte di chi si dichiara favorevole, ad esempio, a un’incontrollata economia di mercato dove ogni di livello di ricchezza è legittimo e nessun livello di povertà è scandaloso, o imbarazzante.
Ma si tratta di luoghi comuni privi di fondamento. A parte le versioni di egalitarismo più bigotte, non esistono concezioni della giustizia egalitarie che si impegnano per un’uguaglianza assoluta. Una tra queste, tra le più famose, dice che le disuguaglianze sociali sono permesse nella misura in cui sono necessarie per stimolare l’impegno delle persone che hanno le potenzialità maggiori per contribuire alla ricchezza generale. Ma la distribuzione della ricchezza deve avere un occhio attento per chi si trova nelle parti meno avvantaggiate della società. È necessario assicurare a questi le migliori condizioni possibili. L’equilibrio richiesto è sottile. Una distribuzione meno egalitaria peggiorerebbe le condizioni di chi si trova nella parte meno avvantaggiata della società. Una distribuzione sociale economica più egalitaria provocherebbe un calo della ricchezza generale, con un danno anche per le parti meno avvantaggiate della società.
La spiegazione è stata forse un po’ complessa (credetemi, nella letteratura specializzata è molto più complicata). Ma spero che l’idea centrale sia chiara. Quasi nessuno sostiene l’uguaglianza in quanto tale. Lo scopo è elevare le condizioni della parte meno avvantaggiata della società, se necessario concedendo alcune disuguaglianze sociali.
Per ritornare allo spunto di questo articolo: non sono le disuguaglianze socioeconomiche sottolineate in relazione a Ivana Kekin che dovrebbero preoccupare le persone impegnate a favore delle politiche egalitarie e delle parti meno avvantaggiate della società. I problemi veri sono altri. Il primo, i divari socioeconomici dove molte persone sono escluse dai livelli di sicurezza e tutela socioeconomica che dovrebbero essere presenti in una società giusta, mentre altre persone possiedono un potere economico tale da compromettere l’uguaglianza politica nelle democrazie. Con tali voragini socioeconomiche, il rischio è che le democrazie si trasformino in oligarchie. Il secondo problema è rappresentato dall’esclusione dalla politica attiva delle classi svantaggiate economicamente.
Non ritengo sia un problema che una persona che rappresenta un partito impegnato per l’uguaglianza sociale provenga dalla classe medio-alta. Il problema è la diffusa assenza di persone provenienti dalle classi meno avvantaggiate in questi partiti, almeno in ruoli di primo piano. In un processo lodevole, sta crescendo la coscienza del fatto che le varie minoranze e i gruppi svantaggiati (come le minoranze etniche, razziali e sessuali, le donne, le persone con disabilità) devono essere rappresentati da persone che provengono da questi gruppi. Non si comprende, invece, perché i partiti che dichiarano l’impegno per l’uguaglianza sociale non si premurino di esporre in ruoli di primo piano anche le persone che provengono (non nelle loro origini, ma nella realtà attuale) dalle classi meno avvantaggiate.
*Professore ordinario di Filosofia Politica
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