
Il recente incontro tra il presidente americano Donald Trump, il vicepresidente James David (o com’è chiamato, JD) Vance e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky segna una nuova epoca nella comunicazione e nei rapporti politici e, forse, l’inizio di un mondo molto diverso rispetto alla struttura assunta nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale. Parto dalla frase di Trump rivolta al collega: “Giochi con delle carte che non hai”, che sono sicuro verrà iterata da molte persone negli scontri politici. Il monito di Trump è stato un richiamo a un principio del realismo politico: non puoi insistere con richieste irreali nei rapporti di forza – appunto, senza carte efficaci da giocare. In politica è così, spesso.
Ma sorprende l’affermazione pubblica di quest’idea in un contesto che, fino ad ora, era distinto da una retorica che proclamava con energia i valori morali. Ora il realismo e i rapporti di forza diventano centrali in modo esplicito. Ma l’analisi va completata. L’altra affermazione forte di Trump durante l’incontro è stata: “Stai giocando d’azzardo con la Terza Guerra Mondiale”. Quest’affermazione appare riferirsi a un principio di responsabilità morale, con l’indicazione di una possibile catastrofe talmente grave da dover richiedere un livello di responsabilità eccezionalmente elevato. Tuttavia, credo che nella coscienza pubblica rimarrà impressa soprattutto la frase sulle carte da giocare, che rivela un’era dove il realismo politico è enunciato senza veli e i principi morali si riducono a fastidi. Come dicevo, un fatto non del tutto nuovo nella prassi politica. Ma mai esposto in modo così esplicito dal presidente dello Stato che affermava con energia il proprio ruolo di leader del mondo libero, un ruolo con connotati fortemente morali.
Nell’insieme, sarebbe sciocco auspicare prassi politiche che non considerano anche i rapporti di forza. Ma sarebbe sbagliato ridurre la politica unicamente a queste relazioni. Questa riduzione, peraltro, potrebbe essere interiorizzata da molte persone a seguito dell’incontro di Washington. Invece, non scordiamo di essere persone che trovano nelle capacità morali una componente importante della loro umanità. Se non lo si fosse fatto nel corso della storia, molte gravi forme di dominio, sfruttamento e discriminazione ora superate o in via di superamento sarebbero ancora presenti. Altre sono ancora presenti. Altre possono (ri)sorgere. Per questo motivo è importante mantenere viva la sensibilità morale anche nelle condizioni dove pure il pragmatismo è importante.
Una novità più sostanziale che potrebbe essere stata inaugurata nel recente incontro riguarda la creazione di un mondo distinto da equilibri molto diversi rispetto a quelli che conosciamo. La Seconda Guerra Mondiale si è conclusa con alleanze e sfere d’influenza chiare, dove la linea di demarcazione passava attraverso l’Europa. La sua parte occidentale faceva parte di un blocco con gli USA. Ora si sta delineando, forse, una risistemazione dove all’Europa nell’insieme si nega un ruolo di alleato privilegiato. Anzi, non si vede in modo limpido se l’attuale amministrazione USA la consideri un alleato o una rivale. Può sembrare che la priorità USA sia quella di riprendere il dialogo con la Russia, questa volta non vista come antagonista principale.
Comunque sia, gli Stati ed i popoli europei esibirebbero saggezza se finalmente si impegnassero a maturare nell’unitarietà, per non avere un ruolo supino nei rapporti internazionali. È fondamentale per l’Europa, nel momento topico che stiamo vivendo in un mondo che muta, portare energia nelle istituzioni. Le posizioni guida devono essere attribuite a persone con forte autorità morale e intellettuale, leadership credibile, oltre che competenze riconosciute. Non a chi ha maggiori abilità a destreggiarsi dove si creano le lobby. Inoltre, i narcisismi nazionali dovrebbero rendersi conto che nessuno Stato europeo isolato può avere un ruolo importante da solo. Può averlo come parte di un’UE forte, anche se ciò richiede compromessi. Dall’altro lato, è improbabile che il continente possa trovare un’efficiente unitarietà politica senza rapporti equi e di mutuo sostegno tra i suoi Stati e popoli. E senza un’equità socioeconomica all’interno degli Stati, dove troppe persone vivono in condizioni disagiate o insicure.
*Professore ordinario di Filosofia Politica
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