
Le reazioni conservatrici antiliberali alla manifestazione d’apertura dei Giochi Olimpici e parte dell’attivismo dei movimenti di emancipazione condividono alcuni elementi programmatici nocivi, nonostante le divergenze.
Parto dalle reazioni alla presunta parodia del Cenacolo di Leonardo. Le smentite dichiarano che la performance inclusiva di comunità sessuali e di genere minoritarie riprende riti della civiltà greca e non l’arte cristiana. Ma immaginiamo che chi ha ideato l’apertura dei Giochi abbia voluto rileggere il capolavoro includendovi le comunità indicate. Lo troverei legittimo (non è un sinonimo di apprezzabile) e la negazione conservatrice di quest’affermazione presenta due analogie rilevanti con alcune manifestazioni dei movimenti antiliberali di presunta emancipazione che ho discusso due settimane fa.
La prima riguarda l’idea di appropriazione culturale. Secondo quest’idea, una comunità può dichiarare legittimamente che un’espressione culturale le appartiene in modo esclusivo ed è legittimo limitare le libertà di chi la vuole riprendere o reinterpretare. Da qui la rabbia di molte persone nei confronti di Adele per essersi fatta una pettinatura tipica giamaicana. Nella formulazione conservatrice riguardante l’apertura dei Giochi, si dice che non è legittimo riprendere o reinterpretare il Cenacolo.
Risposta. Se accettassimo questa regola gli intolleranti avrebbero molte più libertà rispetto ai tolleranti. Immaginiamo un sostenitore della religione A che ha una forte propensione a offendersi e una sostenitrice della religione B che è tollerante. A si offende spesso e, così, spesso pone limiti a B. B si offende raramente e, quindi, A ha una libertà di espressione molto più ampia rispetto a lei. L’uguaglianza delle libertà svanisce in modo iniquo favorendo l’intolleranza.
Obiezione, ora espressa nel campo della presunta emancipazione identitaria. Si dice che solo chi fa parte di una comunità che ha subito una tradizione di discriminazioni o svantaggi ingiusti ha il diritto di essere intollerante, non chi non condivide questo destino.
Risposta. L’identificazione di chi fa parte di una comunità tradizionalmente vittima di discriminazioni o svantaggi ingiusti è fluida. In base al criterio indicato, un cattolico in Italia non avrebbe il diritto di essere intollerante, ma lo avrebbe nell’Irlanda del Nord, o lo avrebbero un’immigrata italiana o irlandese negli USA (in quanto fanno parte di comunità che hanno subito discriminazioni nella storia delle loro immigrazioni).
Inoltre, anche se è innegabile che alcune comunità minoritarie, come quella di origine africana, nell’insieme hanno subito e subiscono discriminazioni orribili, la definizione di chi subisce discriminazioni e svantaggi ingiusti è multidimensionale. Cosa trascurata dai presunti progressisti. La conseguenza della loro tesi sul diritto all’intolleranza unita a questa distrazione sarebbe che Beyoncé e Michael Jordan avrebbero il diritto di essere intolleranti, ma non lo avrebbero il metallurgico e l’infermiera identificati in razze non tradizionalmente ingiustamente svantaggiate o discriminate, anche se vivono con redditi minimi e insicuri. È assurdo non definire la loro comunità quale svantaggiata in modo persistente, se le loro origini sono analoghe nella dimensione socioeconomica alla loro realtà attuale. La multidimensionalità degli svantaggi ingiusti rende impraticabile il diritto di essere intolleranti delle comunità tradizionalmente discriminate. Vista la multilateralità delle discriminazioni, lo avrebbero troppe persone.
I diritti sui quali insistere sono una buona istruzione e sanità pubblica, le possibilità sostanziali eque di impiego e di accedere a incarichi politici e il trattamento equo da parte della legge. Chi vuol essere progressista non deve scimmiottare i conservatori antiliberali, ma impegnarsi affinché si riconoscano a tutti/e le libertà e i diritti fondamentali, l’uguaglianza di opportunità e i mezzi per trarne benefici reali (come già detto da John Rawls) e una cultura pubblica opposta alla discriminazione (come aggiunto da Christie Hartley e Lori Watson).
Si limita legittimamente la libertà di espressione solo quando questa provoca pregiudizi o odio nei confronti di alcune comunità. Ma non quando soltanto si sentono offese alcune (o anche molte) persone che ne fanno parte.
*Professore ordinario di Filosofia politica
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