
Ho potuto partecipare a un avvenimento importante organizzato dall’Università di Fiume in collaborazione con la Lürssen. Si tratta dell’Euroforum, dedicato all’uguaglianza nei contesti urbani. L’incontro è stato primariamente centrato sul recente libro riguardante questo tema, pubblicato da Jonathan Wolff e Avner de-Shalit.
L’idea centrale del loro libro è che le città siano dei contesti per l’attuazione dell’uguaglianza, ma in modo diverso rispetto agli Stati, poiché hanno possibilità limitate di correggere le disuguaglianze economiche. Quando parliamo degli Stati, infatti, uno dei primi problemi ai quali pensiamo concerne il divario nel possesso di beni economici. Gli Stati possono (anche se lo fanno sempre meno) correggere queste differenze con la tassazione, ad esempio, o favorendo l’autorità dei rappresentanti dei lavoratori. Non si tratta di strumenti a disposizione delle autorità municipali, se non in misura minore. E, allora, la proposta degli autori è che l’uguaglianza nei contesti urbani sia pensata con la domanda: quanto ogni persona si sente inclusa nella vita cittadina e percepisce che il suo status di cittadino uguale è garantito?
Accolgo questa visione e provo a sviluppare alcune considerazioni sulle potenzialità delle città. I contesti municipali possono offrire un contributo importante al buon funzionamento della democrazia. Penso a un concetto esigente del buon funzionamento della democrazia, ovvero alla democrazia deliberativa. Le teorie che corrispondono a questo concetto affermano che la legittimità delle decisioni democratiche non si basa solo su procedure che garantiscono l’uguaglianza a tutti e tutte, ma anche su ragioni valide per giustificare le decisioni.
Non solo un’impressione diffusa, ma anche alcuni studi mostrano come questa concezione di democrazia sia ostacolata dagli sviluppi digitali. Oltre ad offrire vantaggi, queste tecnologie mettono in pericolo la democrazia deliberativa con la diffusione di notizie false e tesi pseudoscientifiche. Il fenomeno è aggravato dalla sfiducia reciproca di gruppi ideologicamente contrapposti, la cui polarizzazione è accentuata dai sistemi algoritmici. Di che cosa si tratta?
L’dea è che le persone si schierano spesso, anche nei dibatti scientifici, non in virtù delle prove scientifiche, ma della loro lealtà nei confronti dei gruppi ideologi. Così, ad esempio, le concezioni conservatrici, nella storia recente, si sono schierate spesso con il negazionismo scientifico. Lo si vede, ad esempio, nel caso delle vaccinazioni, o dei cambiamenti climatici. Alcune ricercatrici e ricercatori che si occupano di ricerche sociali hanno cercato di rispondere al quesito: perché anche persone istruite rimangono negazioniste di fronte a prove scientifiche convincenti? La risposta data da Dan Kahan è che in questi casi prevale il desiderio di essere riconosciuto o riconosciuta nella lealtà all’orientamento ideologico, piuttosto che dare rilevanza alla verità scientifica. Per dire, anche di fronte a prove convincenti rispetto ai cambiamenti climatici, una fedele sostenitrice di Trump preferirebbe essere riconosciuta in quanto tale, piuttosto che aderire al responso della scienza. Poiché, almeno nel primo mandato, il presidente si schierava spesso in modo scettico nei confronti della comunità scientifica, si comportavano in modo simile anche le sue sostenitrici ed i suoi sostenitori, per ottenere il riconoscimento di partecipi leali del movimento ideologico o politico.
Vedo qui l’importanza delle città. I contesti urbani offrono opportunità di incontro diretto tra persone, contribuendo alla loro fiducia reciproca e al senso di inclusività, e la democrazia al loro interno può servire come correttivo alle difficoltà della democrazia nell’era digitale. Un aspetto prezioso può essere la costruzione di un’amicizia civica basata sulla convivenza in iniziative comuni per il benessere di tutti e tutte, con impegno pubblico ispirato alla solidarietà e al buon vicinato. Proviamo a pensare che abbiamo delle persone che vivono vicino a noi e con le quali possiamo costruire una città gradevole e un quartiere piacevole, piuttosto che dedicarsi alle guerre da tastiera. Cerchiamo queste persone e comunichiamo con loro, piuttosto che infiammarci di fronte a uno schermo. Recuperiamo il bene dello sguardo negli occhi, del sorriso, di un aiuto in situazioni quotidiane.
*Professore ordinario di Filosofia Politica
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