Parte dei movimenti che si considerano di emancipazione, quando non sono semplicemente frivoli, favoriscono chiusure e restrizioni. Penso ad alcune opposizioni all’appropriazione culturale, ovvero ad alcune varianti del concetto che spero siano solo sue degenerazioni. In queste si critica chi, per apprezzamento di una comunità non originariamente sua, pratica alcuni suoi elementi culturali o si definisce quale suo membro. Contro questa libertà, tra gli altri, si sono scomodati due professori universitari, Braden Hill e Stevie Land. Nel loro articolo che ho letto, i due difendono scelte transgender e criticano scelte transrazziali. Mi turba l’argomentazione.
Dicono che, nel primo caso, una persona, di norma, vuole completare la propria identità autentica, mentre, nel secondo caso, si appropria di una cultura che non corrisponde alla sua identità vera. Da questa estrapola alcuni elementi e ne tralascia altri e non condivide la sua condizione sociale generale (in particolare, le discriminazioni sofferte). Questo sarebbe razzista. In un contesto più ampio, le critiche per appropriazione culturale sono state espresse con veemenza, ad esempio, nei confronti di Adele per una pettinatura giamaicana, Gwen Stefani per elementi culturali giapponesi nelle sue esibizioni ed essersi dichiarata giapponese, varie persone nell’arte musicale, per ispirazioni etniche.
Ciò che mi turba è la spinta illiberale di questi ragionamenti. Ritengo pericolosa l’idea per cui una persona avrebbe il diritto di realizzare alcune decisioni solo se indirizzate all’affermazione della sua presunta identità autentica, stabilita anticipatamente rispetto alle scelte. E pericolosa l’idea per cui le comunità sarebbero costituite da culture monolitiche – se ne prendi un elemento, li devi prendere tutti.
Sono idee orribili e opposte ai fondamenti di ogni società libera. Queste sono basate soprattutto sulla libertà di scelta, minacciata da almeno quattro tesi sostenute in alcuni presunti movimenti di emancipazione. La prima è che l’appartenenza culturale è predeterminata. Al contrario, in una società libera una persona deve avere il diritto di valutare le culture e orientarsi di conseguenza. La seconda è che le scelte di una persona sono legittime solo se rivolte all’affermazione della sua identità vera. Invece, la persona deve avere il diritto di esercitare scelte e determinare la propria identità culturale. La terza è che le culture vanno prese in blocco. È un’idea repressiva che nega il pluralismo all’interno delle culture. Una persona deve poter decidere di essere coreana o giamaicana o italiana a modo proprio, non adeguandosi a uno schema che determina la sua vita nell’interezza. Una persona deve avere anche il diritto di aderire a una cultura originariamente non sua in modo parziale, seguendo i propri valori. Inoltre, la tesi che rifiuto vuole impedire le intersezioni tra culture diverse, ad esempio, fusioni tra tradizioni gastronomiche o musicali. A volte queste intersezioni provocano danni e ce ne ricordiamo ogni volta che mangiamo la pasta scotta o con la crema ottenuta con la panna invece che con l’acqua di cottura. Ma si tratta di peccati culinari e non violazioni dell’uguaglianza. Spesso, invece, dalle intersezioni risultano dei valori, come in molte espressioni artistiche. Ed è un bene che le culture o loro parti siano condivise e che le persone comunichino. La quarta tesi che contesto è che, nell’adesione culturale, una persona deve condividere l’intera sorte di una comunità, ad esempio, le discriminazioni tipiche che questa soffre. La richiesta è assurda e, ad esempio, escluderebbe persone come Meghan Markle dal far parte della comunità americana di origine africana. O si vuole dire che la duchessa condivide la discriminazione con la sua abitazione che vale alcuni milioni e gli abiti alcune migliaia di dollari?
Seguendo il pensiero del grande Rawls, dico che impegnarsi per una società giusta vuol dire impegnarsi affinché a tutti e tutte siano garantite le libertà fondamentali e un livello sociale ed economico che consenta una ragionevole uguaglianza politica e delle opportunità. Prendersela con le pettinature delle star o con gli elementi etnici nell’arte o nella cucina giova a poco. Giova solo a chi di professione promuove un falso progressismo.
*Professore ordinario di Filosofia Politica
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