ECONOMIA E DINTORNI La partita politica si vince partendo dall’economia

Il quadro macroeconomico e il susseguirsi di eventi straordinari porta i cittadini e gli esperti a porsi sempre più spesso la domanda: il mondo è in recessione globale? Gli ultimi tre anni sono stati caratterizzati dall’imponderabile assoluto: pandemia e guerra

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ECONOMIA E DINTORNI La partita politica si vince partendo dall’economia

Non più tardi dello scorso mese di ottobre, da queste colonne paventavamo l’incipit del poco conosciuto ma molto pericoloso sintomo della stagflazione. Dopo soli sei mesi ci dobbiamo preoccupare dell’invasività del fenomeno. Peraltro dall’inizio del XXI secolo l’economia internazionale è sconvolta da eventi straordinari che si susseguono con ritmo frenetico; e gli ultimi tre anni sono stati caratterizzati dall’imponderabile assoluto: pandemia e guerra.
Ma mentre la pandemia ha in qualche modo stimolato una forma di semi-solidarietà globale per la sostanziale unicità del nemico, la guerra in Ucraina ha prospettive incerte e difformi e mette a dura prova le imprese e i consumatori europei, che la interpretano da posizioni spesso contrastanti. Del resto è la prima volta dal 1945 che l’evento bellico si concretizza tra Paesi del mondo filosoficamente definibile “cristiano”: finora le bombe sono esplose in Asia e Africa, in aree di contrasto sino/occidentale, ebraico/musulmano, musulmano/animista, eccetera, ma mai tra popolazioni antropologicamente così affini.

Il quadro geopolitico

Nel quadro geopolitico, attualmente la Cina ha la necessità di affrontare la recrudescenza del coronavirus, mantenendo un profilo sfumato nel “commento” alla questione Ucraina, mentre le condizioni finanziarie degli Stati Uniti si appesantiscono, come vedremo più avanti, condividendo quanto indicato dai più autorevoli osservatori di finanza internazionale. Le Banche centrali di tutto il mondo continuano ad aumentare i tassi di interesse per contrastare la crescita dell’inflazione, apparentemente inarrestabile. Ad esempio, nei soliti USA il monitoraggio dell’indice dei prezzi al consumo mostra che negli ultimi 90 giorni l’inflazione ha raggiunto livelli inusuali da oltre dieci anni. La pressione sui bilanci delle famiglie è già pesante, anche se non ancora ai livelli europei.

Un rallentamento brusco

L’esercizio 2022 vedrà l’economia mondiale in sostanziale complessivo recesso, con particolare riguardo all’Europa; la Cina sta subendo un rallentamento che gli osservatori definiscono “brusco” e le condizioni finanziarie degli Stati Uniti subiranno una significativa contrazione, come paventato dal presidente della Fed, Jerome Powell, che finora aveva mantenuto un atteggiamento cauto, ma non negativo. Attualmente si prevede per l’anno in corso una crescita del Pil globale minore del 2 p.c., nettamente inferiore alla stima pur prudenziale che il Fondo Monetario Internazionale aveva espresso a fine marzo scorso, indicata al 3,6 p.c. È bastato il solo il mercato degli idrocarburi per inficiare il controllo dei numeri, cui poi si sono unite tutte le commodities, a cominciare da acciaio, rame e alluminio fino ai cereali. Gli acquirenti statunitensi stanno già assorbendo più forniture dall’Europa proprio mentre inizia la stagione estiva, che fisiologicamente aumenta la domanda.
La perdita delle cosiddette materie prime secondarie dalla Russia ha ovviamente contribuito in maniera determinante alla situazione, sconvolgendo gli equilibri su cui si basava da decenni il commercio internazionale, soprattutto da e verso gli USA: i prezzi dei beni di prima necessità e categorie di spesa discrezionale continuano a salire con rapidità preoccupante.

L’Europa è in difficoltà

In Europa solamente il governo francese, tradizionalmente orientato all’interesse sociale, si è concentrato su interventi specifici per i cittadini, emettendo buoni alimentari alle famiglie meno abbienti; il risvolto è anche elettorale: il Presidente Emmanuel Macron, appena rieletto, cerca di limitare quanto più possibile la crisi del costo della vita prima delle elezioni legislative del mese prossimo. L’economia inglese si è fortemente contratta a marzo; in un’atmosfera notoriamente più individualista, i parsimoniosi consumatori british hanno ridotto la spesa quotidiana e di medio periodo, mettendo sostanzialmente in mora la Banca d’Inghilterra privandola di ogni pretesto per continuare ad aumentare i tassi di interesse. La pressione sul governo Johnson affinché chiarisca il proprio atteggiamento nei confronti della politica monetaria della Banca centrale si è fatta costante, talché anche il paludatissimo Times ha fatto proprie le istanze dei cittadini quanto il più radicale Daily Mirror. La sintesi è che oggi l’inflazione inglese è al 9,1 p.c., la più alta degli ultimi 40 anni.
Nelle analisi macro economiche spesso si trascurano le realtà scandinave; nel caso della Svezia, Paese ricco e sempre al di fuori delle “risse” mitteleuropee, l’indebitamento dei consumatori è mediamente più elevato di quanto non lo sia in altri Paesi UE, per cui il repentino aumento dei tassi di interesse della Riksbank alla fine di aprile ha provocato una vera e propria costernazione nei cittadini, pronti a scendere in piazza se non ci saranno interventi a sostegno della popolazione più esposta all’incremento del debito.

La situazione in Asia

A conferma di quanto sia ormai imprescindibile il firmamento Cina per capire gli scenari internazionali, è sufficiente che l’economia cinese rallenti per vedere trascinata in pejus un’importante fetta di mondo. Le esportazioni e le importazioni cinesi hanno subito ad aprile una consistente frenata, determinata anche dal peggioramento dei focolai Covid; la produzione è diminuita, la logistica si è contratta pesantemente e tutta la rete commerciale globale risente della situazione per le catene di approvvigionamento. La previsione a breve è di prezzi ancora più alti a livello globale. Per quanto riguarda le dinamiche interne, assistiamo a una riduzione della domanda, forse per la prima volta dall’esplosione del mercato cinese, talché il 19 maggio scorso la Banca centrale ha ridotto i tassi ipotecari di un ottavo di punto, per attenuare il peso dei mutui sui cittadini.
Comunque in Asia non c’è solo la Cina. Ad esempio, la banca centrale della Malesia ha alzato inaspettatamente il tasso di interesse di riferimento nel tentativo di mitigare le pressioni sui prezzi e si assisterà allo stesso scenario a giorni in Corea del Sud.
Le dinamiche in Sud America
Non sorprende che le autorità argentine abbiano alzato i costi finanziari per la quinta volta quest’anno. L’Argentina è un caso particolarissimo: uno dei Paesi potenzialmente più ricchi del pianeta costantemente devastato da inflazioni a tre cifre e cicliche dittature, più o meno populiste. La situazione internazionale attuale può solo aggravare ciò che è già complesso di suo. Ugualmente Brasile, Cile e Venezuela estenderanno con ogni probabilità le loro strategie di inasprimento monetario oltre il previsto dopo l’aumento dell’inflazione nelle previsioni di aprile, con forti incrementi dei costi di cibo e carburante.

Sudafrica. Interruzioni di elettricità

Un caso su tutti: il Sudafrica sta vivendo un anno record di interruzioni di elettricità. Ciò è dovuto a un elevato numero di guasti, che si verificano per i continui salti di tensione. Con buona pace degli ambientalisti, le centrali a carbone riprenderanno a funzionare con più forza, non avendo il Paese valide alternative. Consideriamo che stiamo parlando della nazione più industrializzata dell’Africa, che era già sulla buona strada per limitare le dispersioni di energia attraverso blackout controllati; tale pratica, nota come loadshedding, viene utilizzata per prevenire il collasso totale della rete, ma l’emergenza quotidiana costringe le autorità a rivedere ogni razionalizzazione di lungo periodo per evitare il caos.

USA. I timori dei cittadini

E gli USA? L’economia resta il fattore dominante nel primo PIL mondiale. Nei primi 18 mesi di presidenza Biden non mancano rilevanti preoccupazioni dell’opinione pubblica: la maldestra risposta all’invasione in Ucraina, la crisi sociale generata dall’immigrazione clandestina al confine con il Messico, totalmente fuori controllo, le supply chain in affanno per la ben nota congiuntura logistico-produttiva in Estremo Oriente; il cittadino americano in generale, e i centri di potere finanziario in particolare, sono irritati per una gestione che viene considerata insufficiente, quanto meno rispetto alla tradizionale autorevolezza di Washington.
In ogni angolo di mondo, ma soprattutto negli USA, la gestione governativa dell’economia crea immediate ripercussioni sulla vita delle famiglie; se la gestione viene considerata sbagliata o comunque inidonea produce il declino di leadership del Presidente e del partito che lo esprime. Avremo la più inconfutabile verifica con il voto di medio termine del prossimo autunno per il rinnovo del Congresso, che secondo gli analisti più accreditati vedrà i Democratici perdere il controllo della Camera, con qualche riserva sul Senato.

L’andamento del PIL…

Secondo l’analisi del USA Department of Commerce Observatory (Osservatorio economico del Ministero del Commercio e dello Sviluppo) il Prodotto interno lordo nel primo trimestre 2022 ha registrato una contrazione del -1,4 p.c., dato preoccupante rispetto al +6,9 p.c. del trimestre precedente. La scuola del pensiero economico americano definisce recessione per il Paese quando il Pil è in calo per due trimestri consecutivi, pertanto possiamo immaginare un inizio di panico.

…e dei prezzi

Panico ulteriormente acuito quando gli indicatori dei prezzi al consumo (consumer price index) hanno evidenziato con assoluta precisione che l’inflazione è schizzata al 7,9 p.c. su base annua: dal lontano 1982 non si registrava una crescita così rapida. Secondo il Wall Street Journal, il costo della vita negli ultimi due mesi è al massimo storico da 40 anni, + 8,5 p.c. in marzo e +8,3 p.c. in aprile su base annua, dati realmente sorprendenti, folli da pensare solo quattro/cinque mesi fa. Nel comunicato del Dipartimento del Lavoro emesso due settimane fa in merito ai dati di aprile, emerge che nel paniere di riferimento i core prices (i prezzi dei beni fondamentali a esclusione del cibo e dell’energia, considerati troppo volatili) sono saliti del 6,2 p.c. rispetto a 12 mesi fa. L’incremento dal mese di marzo è stato dello 0,6 p.c., il doppio dell’incremento mensile registrato in marzo su febbraio. È fin troppo evidente che l’inflazione rischia di essere fuori controllo: in sintesi non è colpa di nessuno e nessuno sa come affrontarla in termini programmatici di breve, medio e lungo periodo. Basti pensare al caos dei prezzi alla pompa di benzina: nel 2021 la media dei prezzi nel Paese era di 2,75 dollari al gallone (3,8 litri), oggi sfiora i 5 dollari.

Le misure di Biden

L’Amministrazione Biden non ha emesso un vero e proprio documento di finanza straordinaria, ma di fronte alla progressiva decrescita contestuale all’espansione del costo della vita, sta di fatto percorrendo le seguenti strade: aumento dei sostegni pubblici per l’energia verde e le auto elettriche; assistenza ai bambini; incremento della pressione fiscale sui ceti più abbienti con l’introduzione della tassa sulla ricchezza (già definita incostituzionale dalla Corte Suprema); appesantimento delle regole per le aziende petrolifere e per le estrazioni idrauliche di gas naturale; controllo centrale sui prezzi di tutti i farmaci. In modo francamente singolare, il Presidente Biden ha indicato come cause uniche dell’inflazione Putin e la pandemia, dimenticando che l’incremento dei prezzi è provocato dall’eccesso di liquidità. Forse nessuno ricorda che nel marzo 2021 Joe Biden ha voluto allagare il mercato interno di una disponibilità di ulteriori 1,9 trilioni di dollari per stimolare la ripresa che era già in atto con successo (troppo spesso certe manovre politiche inutili diventano dannose); in più, al momento dell’ingresso in Ucraina delle truppe russe l’inflazione americana era già di per sé prossima all’8 p.c.

Disoccupazione e fiducia

Fortunatamente per gli USA la disoccupazione è intorno al 3,5 p.c., ma l’evidente stato di stagflazione impone misure di emissione di denaro non a pioggia, ma mirate alle attività e ai progetti di più alto profilo, e politiche di riduzione del peso fiscale e della burocrazia. Secondo i più recenti sondaggi dell’autorevole istituto di statistica americano “Gallup”, la fiducia dei cittadini nella capacità di leadership di Biden negli ultimi due mesi è crollata di 10 punti, dato mai visto nella lunga analisi dei rapporti fra elettori e eletti negli USA, mentre resta alta la reputazione del presidente della Fed, Jerome Powell, a conferma che il cittadino medio si fida di più di un “servitore dello stato” tecnico, che non di un anziano giurista piuttosto logoro. La partita politica si vince partendo dall’economia. Citando, come sempre, il Maestro Keynes: a buona economia, buona società.

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