La paura dell’intelligence italiana

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La paura dell’intelligence italiana

Molto prima di essere inviato a Roma quale ambasciatore nel 2012, durante i cosiddetti “anni bui” della Croazia che vanno dal 1995 al 2000, mi ero imbattuto in comportamenti abbastanza equivoci verso l’Italia. A quel tempo facevo il ricercatore all’Istituto per le relazioni internazionali di Zagabria e avevo proposto al consiglio del mio Istituto di avviare un progetto di ricerca sulle relazioni tra Italia e Croazia, per offrire una piattaforma di rivalutazione storica, ma anche di valutazione strategica del potenziale economico, politico e sociale da sviluppare in sinergia tra i due Paesi.
Come d’abitudine, i processi di ricerca sono motivati da due fattori: o dalla curiosità del ricercatore e della sua istituzione, dettata dalla situazione attuale, oppure dalla missione assegnata dal finanziatore della ricerca.
Gli anni 1995-2000 non erano molto inclini alla ricerca che avrebbe potuto scaturire dal fattore della curiosità e cosi fu anche con questo progetto. Avevo proposto una collaborazione con delle istituzioni italiane di ricerca, in primo luogo con il Centro per l’Europa orientale e centro-orientale, del quale era a capo il professore Stefano Bianchini, profondo conoscitore dell’ex Jugoslavia, autore di molte pubblicazioni sulla storia e la politica per l’appunto dell’ex Jugoslavia, della Croazia e della Serbia.
Purtroppo, il clima non era favorevole a simili aperture. Le forze politiche al potere, cioè l’HDZ, il partito nazionalista croato guidato del presidente Tuđman, non guardavano di buon occhio alla ricerca, specialmente a quella che ai loro occhi risultava troppo “aperta” agli stranieri, Italiani compresi. Cosi il governo decise di “statalizzare” gli istituti di ricerca, tutti i 27 che a quel tempo esistevano in Croazia. Questo fu operazionalizzato con la legge sulla ricerca scientifica, che semplicemente proclamò tutti questi istituti quale proprietà statale, con tutte le inevitabili conseguenze istituzionali, ma anche internazionali.
Ad esempio, avevo proposto anche un progetto di ricerca sui conflitti etnici e come risolverli nella Croazia del dopoguerra (cioè, del periodo successivo alla guerra del 1991-1995). Avevamo, prima della statalizzazione degli istituti, presentato il nostro progetto ad un concorso internazionale. Ma dopo l’assunzione del controllo degli istituti croati da parte del governo, l’Istituto non aveva più le credenziali di una istituzione di ricerca indipendente – e cosi dovemmo ritirarci e perdere un cospicuo finanziamento internazionale.
Cosi fu anche per il progetto sulle relazioni bilaterali tra Croazia e Italia. Il Consiglio, quale organo supremo di gestione dell’Istituto, era composto da burocrati del Ministero della Ricerca scientifica e da funzionari del Ministero degli Esteri croato, che non approvarono il progetto. Invece, ci fu proposto di partecipare a un altro “progetto”, che in verità non era un progetto scientifico, ma un lavoro di tipo poliziesco: avremmo dovuto unirci a degli “esperti” del Ministero degli Esteri e di quello degli Interni, spalleggiati da “esperti” provenienti dai servizi segreti e partecipare a un’elaborazione del pericolo che proveniva dall’Italia nell’campo dell’intelligence e delle “pretese irredentiste” verso i territori croati.
Ovviamente si trattava di un tentativo di sottomettere l’Istituto ai comandi dell’apparato di sicurezza e farlo lavorare al servizio dell’intelligence croata, sopprimendo completamente la ricerca scientifica, che dev’essere sempre libera, indipendente e non influenzata da obiettivi di politica quotidiana.
Ci fu detto, in quell’occasione, che anche l’Ambasciata croata a Roma lavorava “in questo campo”, cioè nell’investigazione delle “attività irredentistiche” verso la Croazia.
Non può, dunque, meravigliarci se proprio in quel momento anche il Ministero della Pubblica amministrazione declinò la proposta di risuscitare la bandiera tradizionale dell’autonomia fiumana – la bandiera tricolore come simbolo della città quarnerina e del suo status speciale attraverso i secoli: la motivazione fu, nel 1998, che il tricolore “rosso-giallo blu” era usata dal Libero Comune di Fiume, dunque da “un’organizzazione irredentista italiana”.
Riuscimmo, dopo una polemica interna non affatto gradevole, a scrollarci di dosso il pericolo di essere strumentalizzati, come ricercatori e scienziati, dall’apparato dell’intelligence e da una distorta concezione di politica estera. Ma questa ricerca proseguì anche senza di noi, che avremmo voluto mantenere l’integrità della ricerca libera in una società libera, ma che, per la verità, per molti versi non lo era.
E cosi, l’unica valutazione sulla politica italiana che uscì in quegli anni dall’apparato statale croato fu una pubblicazione del Ministero degli Interni, con il titolo “Obavještajno sigurnosni sustav Italije” – Il sistema di scurezza e d’intelligence italiano – che riportava valutazioni assurde sulla presunta aggressività dei servizi segreti italiani verso la Croazia. Cose assurde, come addirittura il richiamo a un delatore dei servizi segreti italiani durante l’ex Jugoslavia, che perfino nel 1995, a 83 anni, forniva ai servizi segreti italiani con dati sulle postazioni radar di – Zara! Naturalmente, questa pubblicazione porta impressa la dicitura “Za internu uporabu” – per uso interno – ed è veramente grottesco che ai tempi in cui l’Italia sosteneva l’entrata della Croazia nella NATO e un suo ruolo attivo nei Balcani, questa pubblicazione – ormai sepolta negli archivi dei servizi segreti croati – fosse l’unico prodotto croato, ufficiale, nel quale venivano elaborate le relazioni con l’Italia!

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