«What do you see, or not»: un inno alla bellezza dell’arte

Ha debuttato al TNC «Ivan de Zajc» di Fiume la prima produzione della compagnia Yellowbizz Art Collective (YAC). La narrazione coreografica e musicale ha accompagnato il pubblico attraverso le storie di tre personaggi

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«What do you see, or not»: un inno alla bellezza dell’arte
I tre ballerini sul palco e... la valigia. Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

L’eccellente spettacolo “What do you see, or not”, la prima produzione artistica della neoformata compagnia di danza Yellowbizz Art Collective (YAC), costituita da Michele Pastorini, Maria Matarranz de las Heras e Valentin Chou, è stata portata in scena a battesimo l’altra sera presso il Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume. Il delicato e intenso eloquio danzante, al contempo affascinante e complesso sia nella fragilità delle tematiche affrontate che nella preziosità del linguaggio artistico, che porta la firma coreografica e drammaturgica del versatile e poliedrico ballerino siciliano, ha visto la partecipazione del ReVibrant trio, formato dai tre pregevoli e sensibili musicisti dell’Orchestra sinfonica fiumana, Golnar Mohajeri (violoncello), Pedro Rosenthal Campuzano (percussioni) e Osman Eyublu (violino).

Un racconto delicato e attento
Come riportato da Pastorini, la narrazione coreografica e musicale ha accompagnato il pubblico attraverso le storie di tre personaggi, segnate da incontri e scontri, momenti di emozionante complicità, amore, passione e serenità, affiancati da altri di dolorose incomprensioni, fraintendimenti, tormenti, di silenzi gridati e vuoti incolmati, tesi alla ricerca di risposte, di chiarimenti, di aiuto, di arrivare; al mondo, all’altro, ma soprattutto a sé stessi. Un invito a uscire e cercare di liberarci, per quanto possibile, dalle nostre gabbie mentali, educative, emotive, di non coltivare e farci ingannare dal pregiudizio, una sorta di pericoloso disimpegno cognitivo che impedisce di conoscere le cose così come stanno, a osservare con maggiore attenzione e andare oltre alla superficialità delle prime impressioni, monche di conoscenza, coscienza e profondità. Per tradurre la sofferenza di esperienze e passati dolorosi, segnati dalla rabbia dell’impotenza e dalla disperazione di una miriade di solitudini, i ballerini si sono rifugiati dietro alla fittizia minaccia dei guanti da box, indossando vestiti colorati, a tratti scombinati, esagerati e assurdi, stilose scarpe con il tacco e rossetto (nel caso di Michele), oppure perfettamente abbinati, eleganti e “a modo” (nel caso di Valentin) o larghi e mascolini (nel caso di Maria). Nell’immaginario collettivo, tutti oggetti atti a nascondere, proteggere, abbellire, coprire, mascherare, confondere … Per parlare invece del prezioso linguaggio dei sentimenti e delle azioni buone, gentili, umili e sincere hanno utilizzato il simbolismo, la purezza e il delicato lirismo di un fiore bianco, intesi come stati dell’anima e della mente, ma anche di equilibrio spirituale. Un’armonia che, a detta degli artisti, si raggiunge soltanto spogliandosi di tutte le vesti e di tutti i giudizi, mettendosi completamente a nudo, cogliendo, accogliendo e abbracciando, o perlomeno rispettosamente accarezzando, fino ad accettarle, le proprie e le altrui fragilità, magari accompagnandole con un commovente e struggente bacio sulla fronte.

La valigia
E poi c’è la valigia, il quarto personaggio, fedele amica/nemica dei tre caratteri, al contempo casa e mondo, speranza e sconforto, amore e odio, chiusura e apertura, ordine e disordine, concentrato di illusioni, fantasie, progetti, ma anche di delusioni e amarezze, di smarrimento, sospensione e abbandono, di ricordi, di passati e di futuri. Un bagaglio per esplorare il tempo e i sentimenti, che appartiene a tutti, simbolo della nostra transitorietà, in cui riporre quello che non vogliamo perdere, quello che è importante da sempre e che fa il nostro vissuto, da cui per strada ci troveremo a perdere dei pezzi, ma ne aggiungeremo altri, fino ad arrivare a destinazione.

Connessioni e scambi creativi speciali
Ad accompagnare passo per passo, emozione dopo emozione, le scelte, i tempi, i colori, le malinconie e le euforie dei personaggi è stato l’eccezionale ReVibrant trio, i cui musicisti si sono dichiarati felici e appagati della bellissima esperienza, in primis della connessione artistica creatasi con i ballerini. In tale contesto, il violinista Osman Eyublu ci ha rivelato che “nel creare e condividere un progetto per noi artisti è fondamentale un’ottima comunicazione, sia a livello linguistico che emotivo e professionale, la quale, insieme al processo creativo, sempre libero e stimolante, ha fatto sì che giungessimo a compromessi e soluzioni tesi alla realizzazione di uno spettacolo di qualità. Con Maria, Valentin e Michele ci conosciamo da circa cinque anni e abbiamo in comune l’essere venuti a Fiume, una città che ti dà la possibilità di esprimerti con libertà, sia dentro che fuori il teatro, come pure la fondazione di un’associazione. Per ciò che concerne la musica, ci siamo suddivisi la composizione della stessa sulla base dei tre capitoli/storie, fino ad arrivare a farlo insieme nei momenti in cui ciò lo richiedeva. Personalmente ho lavorato sull’ultimo, quello relativo al carattere di Michele e, in tale senso, sia per noi musicisti che per i danzatori, è stato importante focalizzarci sul discorso narrativo, molto attuale e intimo, ma al contempo universale”.
Sulla scia delle sue parole, la violoncellista Golnar Mohajeri ha raccontato di essersi dedicata alla composizione della musica inerente al percorso di Maria, con la quale si sono incontrate spesso. “In quelle occasioni – ha riferito – mi ha spiegato le sue idee e riflessioni riguardo al suo personaggio e abbiamo condiviso tantissime emozioni. In eguale modo è stato con Michele e Val, con i quali per svariati mesi siamo stati in continuo e intenso contatto, componendo, proponendo, cambiando completamente, ripensandoci in merito agli ambienti, ai colori e a tutto il resto. Cercavamo i modi più giusti per esprimerci al meglio, il che, nonostante le difficoltà iniziali, è stato molto stimolante e speciale. Dalle reazioni positive del pubblico ho capito che la connessione tra Maria e me, come pure il messaggio che volevamo trasmettere, sono arrivati, per cui mi sento gratificata e immagino di aver fatto un buon lavoro”. Soddisfatto pure il percussionista Pedro Rosenthal Campuzano, il quale, specificando di avere composto le melodie relative al carattere di Valentin, ha rimarcato di avere utilizzato svariati strumenti, tra i quali la batteria, la grancassa, il vibrafono, una sorta di gong e altri. “Abbiamo effettuato un percorso di ricerca a vari livelli ed è stato molto bello lavorare con persone che condividono la stessa visione artistica, con le quali abbiamo trovato una connessione mentale e professionale, il che non è per nulla scontato, anzi è molto strano e difficile – ha ancora riportato, ribadendo che – abbiamo lavorato tanto, con grande disciplina e, cosa importantissima, ci siamo ‘sentiti’ a vicenda sul palco, cosicché quello che è arrivato al pubblico è un misto di tutto ciò, come pure dell’apporto delle luci, della parte tecnica, del suono”.

Osman Eyublu, Vivien Balint, Maria Matarranz de las Heras, Michele Pastorini, Valentin Chou, Pedro Rosenthal Campuzano e Golnar Mohajeri.
Foto: ORNELLA SCIUCCA

La potenza e la pulizia della danza
Per potere presentare coreografie così singolari e di qualità come quelle di “What do you see, or not” bisogna disporre di un materiale umano notevole e, in tale senso i tre ballerini, tesi a rendere protagonista il narrativo e la bellezza della danza in sé quale espressione di corpi in movimento, sono straordinari. Spinti dalle vite frastagliate, dai viaggi, dai sogni e bisogni dei loro personaggi, di concerto con le coinvolgenti e riuscitissime composizioni musicali e con l’uso studiato, vibrante e attento delle luci (curate da Kristijan Baljarevski) sempre al servizio della storia e dell’espressione artistica, Maria (ideatrice anche dei costumi), Michele e Valentin (autore dei contenuti visuali), danzando con una meticolosità incredibile e una coordinazione invidiabile, hanno dato vita a figure di danza dalle linee pure e semplici, naturali, libere e passionali, nonché a gesti e movimenti spogliati da ogni artificio, veraci, puliti e connessi tra loro, in concomitanza con il fluire dell’ampio ventaglio di emozioni. Invitando, come sopra accennato, a una riflessione sul detto/non detto, sul visto/non visto, sul sentito/non sentito, sul pericolo dei fraintendimenti, sulle apparenze, sul complesso rapporto bipolare maschile/femminile e su quelli umani in generale, sulla virilità e la femminilità intese anche come categorie di compatibilità di genere, la scelta del racconto coreografico-drammaturgico di Pastorini sembra auspicare, attraverso la danza contemporanea intrisa di preparazione e conoscenze classiche, un ritorno al vero senso poetico ed estetico del linguaggio artistico-narrativo. Sentito e caloroso l’entusiasmo e il lunghissimo applauso del pubblico.

Michele Pastorini e Valentin Chou.
Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

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