Voci, radici e visioni tra il Quarnero e Venezia

La valida iniziativa, promossa dall'ANVGD e dall'Unione Italiana si è articolata in due intense giornate di confronto, riflessione e scoperta

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Voci, radici e visioni tra il Quarnero e Venezia
Gianna Mazzieri Sanković. Foto: RONI BRMALJ

È stata una giornata densa di contenuti e ricca di stimoli quella vissuta ieri dai circa settanta docenti provenienti da cinquantasette istituti scolastici – cinquanta del Veneto e sette appartenenti alla rete delle scuole italiane operanti in Croazia e Slovenia – giunti a Fiume in occasione della quarta edizione del seminario di studio “Le due Rive: Venezia, Istria, Fiume e Dalmazia”. L’iniziativa, promossa congiuntamente dall’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e dall’Unione Italiana, con il sostegno del Ministero dell’Istruzione e delle istituzioni scolastiche regionali del Veneto, si è articolata in due intense giornate di confronto, riflessione e scoperta. Dopo la tappa abbaziana del giovedì e l’incontro presso la Scuola media superiore italiana di Fiume, entrambi coordinati dalla titolare del Settore Istituzioni prescolari, scolastiche e universitarie dell’Unione Italiana, Patrizia Pitacco, la giornata di ieri ha condotto i partecipanti all’interno della Comunità degli Italiani di Fiume, offrendo anche l’occasione per esplorare il cuore del capoluogo quarnerino.

Una comunità autoctona che resiste
Ad accogliere i partecipanti sono stati Enea Dessardo, presidente del sodalizio fiumano, e Marin Corva, presidente della Giunta esecutiva dell’Unione Italiana. I due hanno tratteggiato il cammino storico della CNI in Croazia e Slovenia, illustrando le molteplici attività che prendono vita all’interno di Palazzo Modello. In tale cornice, hanno offerto una stimolante riflessione sull’identità italiana nei territori dell’ex Jugoslavia, evidenziando il ruolo imprescindibile svolto dall’Unione Italiana nella salvaguardia e nella valorizzazione della lingua, della cultura e del senso d’appartenenza della comunità autoctona.
Hanno sottolineato con forza come questa identità non sia il frutto di una diaspora, ma l’espressione viva di una presenza storica radicata, che ha saputo conservare tradizioni linguistiche, culturali e scolastiche nonostante le vicissitudini storiche. Corva ha attribuito un rilievo particolare al sistema scolastico in lingua italiana, vero pilastro della sopravvivenza culturale, ringraziando generazioni di educatori per l’opera instancabile di tutela e trasmissione. Ha inoltre ribadito il forte legame con il Veneto quale luogo di memoria condivisa e identità culturale. Di fondamentale importanza anche il riconoscimento del dialetto istroveneto come patrimonio immateriale da parte di Croazia e Slovenia, che testimonia la vitalità di una lingua ancora viva nei contesti quotidiani, familiari e affettivi. Dalle loro parole è emersa una concezione moderna e aperta dell’italianità, intesa come terreno fertile per il dialogo intergenerazionale e intercomunitario, un ponte tra chi è rimasto e chi è stato costretto a partire. Il messaggio conclusivo è stato chiaro: sebbene la storia abbia diviso, la memoria, i valori condivisi e l’amore per la lingua italiana rappresentano la linfa per una comunità che continua a sentirsi unita e proiettata verso il futuro.

Oltre i confini
A impreziosire la giornata, la professoressa Gianna Mazzieri Sanković ha tenuto una magistrale lezione plenaria dal titolo “Da Fiume al mondo: ‘Qui come dappertutto’ – il messaggio universale di Osvaldo Ramous”, nella quale ha delineato un ritratto affascinante e coinvolgente dell’autore, figura di grande rilievo della letteratura italiana del Novecento, ancora oggi troppo poco riconosciuta.
Ramous, nato a Fiume l’11 ottobre 1905, crebbe in una città crocevia di lingue e culture, una “frontiera dell’anima” che segnò profondamente il suo percorso umano e intellettuale. Dotato fin da giovanissimo di uno spirito artistico sensibile e poliedrico, scriveva poesie, suonava il violino e il pianoforte e si nutriva della grande tradizione letteraria italiana. Sebbene impegnato in lavori amministrativi, fu nella scrittura, nella critica e nel teatro che espresse appieno la propria vocazione. Negli anni Venti collaborò con la rivista “Delta”, cavalcavia culturale tra le due sponde dell’Adriatico. Nel secondo dopoguerra si affermò come figura di riferimento nella scena culturale italiana nella Jugoslavia socialista. La professoressa Mazzieri ha evidenziato l’impegno etico e politico di Ramous, tutt’altro che neutrale, in quanto difese il Dramma Italiano da censori ideologici, organizzò a Cittadella nel 1964 il primo convegno tra scrittori italiani e jugoslavi, e curò la fondamentale antologia “Poesia jugoslava contemporanea”, introducendo al pubblico italiano oltre cinquanta poeti slavi. Per lui, la minoranza italiana era un incrocio dialogico tra culture, e nonostante ostacoli politici ed editoriali, Ramous non cessò mai di scrivere. Le sue raccolte – “Nel canneto”, “Pietà delle cose”, “Realtà dell’assurdo”, “Viaggio quotidiano” – testimoniano una voce poetica limpida, essenziale, nutrita dalla tradizione italiana (da Leopardi a Foscolo, da Pascoli agli ermetici) e proiettata verso una modernità inquieta, capace di interrogare l’essere umano nella sua fragilità.

La poetica come speranza
Il suo romanzo “Il cavallo di cartapesta”, rimasto a lungo inedito, costituisce il vertice della sua produzione, tradotto in una narrazione simbolica di Fiume, attraverso lo sguardo dell’alter ego Roberto, in cui la città si fa emblema di un’identità cangiante, fragile e profondamente umana. Il suo lessico poetico, misurato e musicale, è attraversato da immagini naturali che non fungono da sfondo, ma si rivelano presenze ontologiche. La poesia “Io so” riflette sulla funzione dell’artista come creatore di costellazioni mentali e custode della memoria. Legatissimo al teatro, Ramous lottò per portare in scena Pirandello, allora rifiutato come autore “negativo”. In opere come “Ritratto sfuggente”, indagò con maestria l’identità mutevole dell’uomo contemporaneo. Alcuni suoi racconti sfumano nel realismo magico: in “I figli della cometa”, il passaggio di un corpo celeste luminoso scatena comportamenti estremi in una città, ma l’evento apocalittico non si compie. Un personaggio si proclama “figlio della cometa”, metafora perfetta dell’identità fiumana, dispersa, molteplice, ostinatamente viva.
La sua poesia “Qui come dappertutto” è un manifesto di umanesimo cosmico – “ci sono anche gli uomini […] parlano, peccano, cantano… la terra non sa degli uomini e gli uomini non sanno di sé”. Qui Ramous tocca il culmine della sua arte nell’abitare le periferie culturali, nel farsi voce dell’altro, nel cercare senso nell’irrequietezza dell’essere. Commovente anche il ricordo del carteggio con Quasimodo, Ungaretti, Luzi, e la stima nei suoi confronti di Ivo Andrić, che a lui concesse la prima intervista dopo il Nobel. Ramous fu intellettuale di frontiera, poeta della soglia, mediatore tra mondi. E oggi, grazie anche all’instancabile lavoro di Gianna Mazzieri Sanković, la sua opera comincia finalmente a ricevere l’attenzione che le spetta.

Una passeggiata nella storia
A concludere la giornata, l’eccezionale contributo dello storico dell’arte Theodor de Canziani, il quale, dopo un’introduzione nel Salone delle feste di Palazzo Modello, ha condotto i presenti in un tour narrato tra i luoghi più significativi della città, dalla Fiumara a Cittavecchia, lungo il Corso, attraverso i padiglioni del mercato, fino alla Casa Turca e al TNC “Ivan de Zajc”. L’incontro si è chiuso con riflessioni condivise e il desiderio, espresso da più voci, di dar vita a nuove occasioni di confronto, scambio e memoria attiva tra le “due rive” di un’unica storia.

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