
Vlado Simcich Vava non ha bisogno di presentazioni. Il chitarrista, compositore e scrittore fiumano, noto soprattutto per essere stato membro del celebre gruppo “Laufer” dal 1993 al 1996, nel periodo in cui vennero sfornati tutti gli album della band, continua a essere un punto fermo della scena rock fiumana e a creare musica sempre nuova da solista e in collaborazione con altri musicisti. Di recente, ha pubblicato un nuovo album strumentale, particolare in quanto sia il titolo del disco che i brani che contiene sono in italiano. L’album, infatti, è intitolato “Il suono senza pellicola” e comprende 14 brani. Come si legge nella presentazione del disco, questo è stato concepito come una colonna sonora per un film inesistente.
Al fine di conoscere meglio Vlado Simcich Vava e la sua ultima fatica, lo abbiamo contattato per un breve colloquio, che ha accettato con grande disponibilità, dimostrandosi una persona modesta, consapevole dei mali del mondo, ma determinata a migliorarlo attraverso la musica e ad analizzarlo attraverso la sua scrittura.
Un disco dedicato al padre
La prima domanda è ovviamente legata all’idea di pubblicare un album in italiano, anche se si tratta di brani senza parole. “Innanzitutto, a casa mia si parlava l’italiano in quanto mio padre era italiano ed era membro della Comunità degli Italiani – spiega Vava –. Io, purtroppo, non parlo l’italiano in quanto da bambino e da giovane per dispetto mi rifiutavo di apprenderlo e ora me ne pento. Ad ogni modo, questo album è dedicato a mio padre e alla sua memoria. Vorrei puntualizzare che amo moltissimo la cultura italiana, viaggio spesso in Italia, adoro la cinematografia italiana e ritengo che sia la migliore del mondo. Guardo ogni film italiano con assoluta mancanza di oggettività e pieno di ammirazione, per cui alcuni brani sono ispirati a determinati film italiani. Il titolo dell’album ‘Il suono senza pellicola’ è una risposta a coloro che spesso vedono la mia musica come una colonna sonora per un film che non c’è. Finora ho raramente scritto musica per film, ma ciò che mi interessava era creare un soundtrack vero e proprio in questo album. È infatti uno dei miei sogni comporre musica per un film italiano: ci metterei dentro un po’ di atmosfere ‘morriconesche’ e malinconiche, che amo molto.
La musica di questo album è ambientale e per questo priva di ogni compromesso, mi permette di sfogarmi e di esorcizzare le emozioni e i sentimenti che mi si accumulano dentro. Per poterlo fare, ho bisogno di trascorrere un po’ di tempo da solo. In questo modo riesco a esprimere attraverso la musica tutto ciò che provo. Nella musica dell’album si sentono influenze del blues, come pure di ciò che ascoltavo intensamente nel corso della mia vita. Questo disco è anche una mia risposta all’aggressività e alla violenza che regnano nel mondo, alla distopia nella quale viviamo e che evidentemente non finirà, almeno io non ne vedo la fine. La famosa Era dell’Acquario che si attendeva negli anni Ottanta del secolo scorso non è mai arrivata: non vedo alcuna prosperità, ho l’impressione che soltanto alcuni individui riescano davvero a vivere una vita dignitosa, mentre tutti gli altri sono costretti a vivere con l’insicurezza e l’ansia. Siamo costantemente bombardati da notizie su guerre e catastrofi e mi stupisce profondamente il fatto che la civiltà umana non voglia imparare dal passato e che insista a ripetere i medesimi sbagli. Sembra che l’essere umano ha questo bisogno irrefrenabile di essere aggressivo e di fare del male al prossimo”.
Non è una visione ottimista del mondo.
“Non sono convinto che questo sia pessimismo, credo di essere realista e di vedere le cose così come sono. La situazione nel mondo mi sembra molto delicata e finché i vari Paesi del mondo continuano ad ammassare armi non vedo come questa possa migliorare”.
Brani ispirati ai film italiani
Torniamo all’album. Lei ha suonato tutti gli strumenti?
“Ho suonato tutto io e faccio sempre così quando incido questo tipo di album perché esprimo tutto ciò che provo. Se cercassi un collaboratore sarei costretto senza dubbio a fare dei compromessi e così non ho bisogno di farli. L’album è, come ho detto, ispirato ai film italiani che vedevo su Raiuno e Raidue negli anni Settanta e che avevano sempre il primo e il secondo tempo. Così ho concepito anche questo album, che è anche una dedica a un’epoca che da questa ottica mi sembra molto più innocente di ciò che viviamo oggi”.
Ha intenzione di promuovere l’album con un concerto?
“La musica strumentale generalmente non è seguita da un vasto pubblico, soprattutto se, come in questo caso, è marcatamente ambientale e atmosferica, quindi priva di un ritmo incalzante. Ovviamente, mi farebbe piacere suonare qualche volta questa mia musica in pubblico, ma credo che non sarebbe accolta con entusiasmo in un’epoca in cui tutto è molto dinamico e perfino isterico. C’è poi anche la questione dell’ambiente in cui portare questa musica e che richiede uno spazio con posti a sedere. Inoltre, da vecchio e appassionato discofilo, che continua ad acquistare dischi in vinile, non percepisco un album pubblicato virtualmente come un album vero e proprio”.
Oltre a occuparsi di musica, si dedica anche alla scrittura…
“In questo momento mi dedico molto alla promozione del mio nuovo libro ‘Kapetan onkraja’ e spero di poterlo presentare in altre sedi entro la fine dell’anno e l’anno prossimo. Negli ultimi anni mi sono dedicato con maggiore intensità a questa attività e mi piace perché non richiede nessun investimento finanziario. Molte volte vorrei unire la scrittura e la musica, ma per fare ciò è necessario avere un buon testo che si possa accostare al suono in maniera perfetta. Vorrei creare una colonna sonora per il mio nuovo romanzo, ma siccome esso si è sviluppato in un’altra direzione, ho capito che questa potrebbe diventare una forzatura e che sia la musica che il testo avrebbero richiesto degli adattamenti che non ero pronto a fare. Sono molto più tranquillo dedicandomi alla musica e alla scrittura separatamente”.
Un musicista autodidatta
La sua carriera musicale è iniziata con la chitarra. Come ha cominciato a suonare?
“Non ho mai frequentato la scuola di musica e ho concluso gli studi di lingua e letteratura croata. Ho imparato a suonare la chitarra ascoltando i dischi che collezionavo. In gioventù, alcuni miei amici suonavano la chitarra e i concerti che frequentavo all’epoca hanno definito la mia mentalità e il mio futuro: ebbi la fortuna di vedere i ‘Paraf’ e i ‘Termiti’ all’inizio della loro carriera, il che fu una delle cose più emozionanti che ebbi mai vissuto all’epoca di 14-15 anni. Non credevo che fosse possibile prendere uno strumento di punto in bianco e iniziare a suonare, per cui continuavo a collezionare dischi senza l’idea di acquistare una chitarra e iniziare a suonare. Pertanto, iniziai a suonare molto tardi, soltanto a 18 anni. Non frequentavo delle lezioni di chitarra, ma ‘assorbivo’ il modo in cui si suona guardando gli altri, senza avere una chitarra tra le mani. Finalmente, un’estate decisi ad andare a lavorare onde racimolare il denaro necessario per acquistare una chitarra. Dopo tre mesi raccolsi la somma necessaria, andai nei grandi magazzini Ri e indicai alla commessa una chitarra che quindi acquistai. Da quel momento in poi iniziai a esercitarmi ogni giorno e ad apprendere gli accordi da autodidatta. Non ho mai imparato granché, ma è da quarant’anni che suono e mi occupo di musica”.
Ha mai avuto degli idoli tra i chitarristi?
“Certo, ce ne sono tanti. Da questa ottica, credo che il chitarrista che ha avuto su di me il maggior impatto sia stato Jimmy Page, il quale non è soltanto un chitarrista perfetto, ma è stato pure il vero architetto del suono dei ‘Led Zeppelin’, un fantastico autore e arrangiatore. E non posso non menzionare l’imprescindibile Jimi Hendrix. Con l’avvento del punk ho capito, però, che non è necessario essere un chitarrista perfetto come Page, Hendrix o Blackmore e che uno può strimpellare su tutte e sei le corde e la cosa poteva andare bene lo stesso. Grazie al punk mi sono liberato dell’idea che un chitarrista debba essere un virtuoso e conoscere le note per suonare. I punk come i ‘Sex Pistols’ e i ‘Ramones’ non sapevano nulla, ma avevano energia da vendere e ciò mi piaceva”.
Quanti dischi possiede nella sua ricca collezione?
“Credo di averne più di duemila. Direi che la passione per i dischi in vinile sia la mia unica dipendenza e la mantengo consapevolmente in vita. Mi piacciono molto i negozi dell’usato e devo sbirciare ovunque. Quando viaggio con la mia famiglia chiedo sempre a mia moglie di trovarmi i negozi dell’usato nel posto in cui soggiorniamo (io, infatti, possiedo un cellulare semplice, non uno smartphone) e io vi trascorro tre-quattro ore. Torno regolarmente a casa con tre-quattro dischi nuovi-vecchi. Negli anni Novanta, quando i vinili scomparirono, continuai ad acquistare i CD, ma con il ritorno dei dischi continuai laddove mi ero fermato. Per quanto riguarda i generi musicali, ascolto di tutto, salvo le cosiddette ‘cajke’, che non sopporto. Ascolto tantissima musica ambientale, a partire da Brian Eno, dai ‘Tangerine Dream’ e altri. Ad ogni modo, nella mia collezione si possono trovare dagli ‘ABBA’ agli ‘ZZ Top’. Sono stato sempre molto geloso dei miei dischi e non li davo mai in prestito, ma non avevo alcun problema a registrarli su cassetta per tutti coloro che me lo chiedevano”.
Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.
L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.