«Vittorio De Seta è stato una delle mie più grandi fonti d’ispirazione»

Il regista olandese Sven Bresser si è ispirato al padre del cinema documentario italiano per «Reedland», la sua opera prima presentata alla Semaine de la Critique

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«Vittorio De Seta è stato una delle mie più grandi fonti d’ispirazione»
Sven Bresser. Foto: Janniek Sinnige

Attori non professionisti o, meglio, tagliatori di canne di professione. Piccole comunità rurali che conducono la loro esistenza nella cieca indifferenza di un freddo paesaggio olandese. Il corpo di una bambina rinvenuto nei campi e l’ossessione del contadino Johan per la verità. Con “Reedland”, il suo lungometraggio d’esordio, Sven Bresser, regista di 33 anni nato ad Amsterdam ma dall’animo tutt’altro che cittadino, ha portato in scena un paesaggio colpevole e minimalista, che è il vero protagonista di una narrazione visiva e intimista dove l’introspezione della natura prevale persino su quella degli esseri umani. Tutto questo ha avuto la sua prima mondiale alla Semaine de la Critique, una delle sezioni parallele del Festival di Cannes 2025, tra alberghi di lusso, negozi alla moda e scintillanti locali notturni che costeggiano il celebre Boulevard de la Croisette. C’est la vie.

Come si è avvicinato al mondo del cinema?

“Sono cresciuto in un piccolo villaggio nel nord dei Paesi Bassi. Inizialmente non ero neanche così appassionato di cinema, per il quale non ho mai avuto un vero e proprio colpo di fulmine. Un giorno ho conosciuto alcune persone che lavoravano nell’industria cinematografica e sono rimasto colpito dal loro stile di vita. Ero attratto dalla loro autonomia e indipendenza e, al tempo stesso, dalla loro capacità di lavorare in gruppo. Così ho fatto domanda per essere ammesso in una scuola di cinema e, attraverso quest’ultima, la mia passione è aumentata sempre di più”.

Com’è nata l’idea del film “Reedland”?

“Il mio villaggio natale è stato per lungo tempo circondato da vasti canneti e, di conseguenza, popolato da numerosi tagliatori di canne. Oggi la raccolta delle canne, a causa di una serie di ragioni socio-economiche, è scomparsa ed è cambiato anche il paesaggio, con gli alberi che hanno preso il sopravvento. Mentre ero alla ricerca di un posto dove girare una scena per un cortometraggio sono finito nelle zone umide del Weerribben-Wieden, sempre nel nord dei Paesi Bassi. Qui ho ritrovato esattamente lo stesso paesaggio che ammiravo da bambino. Parlando con la gente del posto sono affiorati tanti ricordi e con essi una serie di idee, toni e immagini che ho deciso di riversare nel mio primo lungometraggio”.

Come si è preparato per girare le riprese in un posto così insolito? 

“Ho deciso di fermarmi da quelle parti per circa tre anni. Inizialmente facendo avanti e indietro, ma poi mi sono trasferito stabilmente per l’intera stagione della raccolta delle canne. Ho studiato il mestiere, il modo di vivere, la natura e ho aiutato con le mie mani i tagliatori di canne, con i quali mi sono confrontato costantemente. Con il passare del tempo ho acquisito la fiducia delle comunità locali e questo è stato fondamentale per poter effettuare le riprese”.

Cosa vuole comunicare con questo film?

“Non sono il tipo di regista che si mette in testa un messaggio preciso e cerca di trasmetterlo al pubblico. Il mio scopo è soltanto quello di esprimermi tramite toni e immagini, lasciando che la gente rifletta da sola sulla natura e sulla natura umana del protagonista. Spero che quest’uomo che vive in un paesaggio sperduto possa suscitare domande diverse tra gli spettatori”.

Come si è svolta la fase di selezione del cast?

“Non ho mai pensato a questo o quell’attore a priori. Non a caso ho scelto attori non professionisti tra gli abitanti del posto. Ho conosciuto Gerrit Knobbe, che è realmente un tagliatore di canne, mentre cercavo di fornire il mio aiuto nella raccolta. Ho capito subito di aver incontrato una persona speciale e qualche tempo dopo gli ho chiesto se davvero se la sentisse di interpretare Johan, il protagonista del film”.

Quali emozioni ha provato nel presentare a Cannes il suo primo lungometraggio?

“Cannes è una cornice completamente nuova rispetto al posto in cui vivo e prima di questa esperienza avevo presentato soltanto cortometraggi. Comunque non l’ho mai vissuta come una competizione. Sono felice e onorato di aver presentato il mio film al mondo in un luogo così prestigioso. Inoltre ho avuto modo di apprezzare lo sforzo della Semaine de la Critique per un cinema più democratico e accessibile per i giovani registi”.

Nel 2018, invece, aveva presentato il suo primo cortometraggio “L’été et tout le reste” alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti: quali ricordi conserva di quell’esperienza?

“Ho lavorato a quel cortometraggio con la stessa mentalità e metodologia di ‘Reedland’. Prima di girare le riprese in Corsica mi sono integrato nella comunità locale, che già conoscevo bene perché ho alcuni parenti che provengono da quelle parti e da bambino andavo spesso a trovarli. La Mostra del Cinema di Venezia sarà sempre indimenticabile per me perché è stato il mio primo festival internazionale”.

Le piace il cinema italiano?

“Certo. Il cinema italiano occupa un posto speciale nel mio cuore. Per ‘Reedland’ una delle mie più grandi fonti di ispirazione è stato Vittorio De Seta. Ho visto tutti i suoi documentari ambientati nell’Italia meridionale. Infine, un altro regista italiano che apprezzo tanto è Ermanno Olmi. Ho preso spunto anche dal suo film ‘L’albero degli zoccoli’, che è ambientato in una comunità rurale di contadini e agricoltori”.

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