“L’italiano e il libro: il mondo fra le righe” è il tema quadro della XXIV Settimana della lingua italiana nel mondo che il Consolato Generale d’Italia a Fiume celebra in condivisione con gli enti e le istituzioni del territorio. L’edizione 2024 della Settimana della lingua italiana nel mondo, appena inaugurata, ha l’obiettivo di esplorare il nesso tra lingua e letteratura nel mondo contemporaneo, valorizzando al contempo il ruolo del libro quale veicolo del patrimonio culturale, valoriale e identitario italiano.
Uno degli appuntamenti fiumani è stato il monologo in atto unico di Andrea De Manincor ispirato a “Enrico IV” di Luigi Pirandello, realizzato in collaborazione con il Dipartimento di Italianistica della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Fiume, l’Istituto Italiano di Cultura di Zagabria e la Società “Dante Alighieri” – Comitato di Fiume.
La messinscena è stata pensata per una platea di studenti del Dipartimento di Italianistica della Facoltà di Lettere e Filosofia di Fiume.
Un ospite d’eccezione
A dare il benvenuto ai numerosi studenti e alle autorità è stata la capodipartimento di Italianistica, Corinna Gerbaz Giuliano, la quale ha salutato in particolar modo la console generale d’Italia a Fiume, Iva Palmieri, per la prima volta presente al Dipartimento. “L’evento che sta per inaugurare la Settimana della lingua italiana nel mondo – ha esordito Gerbaz Giuliano – è un monologo teatrale utilissimo soprattutto per gli studenti che seguono la materia ‘Letteratura contemporanea'”, ha specificato la capodipartimento. Gerbaz Giuliano ha quindi presentato l’attore Andrea De Manincor, il quale vanta una trentennale carriera di regista, doppiatore, drammaturgo. L’ospite dell’Italianistica fiumana dirige una serie di laboratori teatrali ed è anche un insegnante. Ad affiancare il protagonista è stato il produttore Enrico Carretta. Ha seguito il monologo anche la lettrice Chiara Cenci, la quale ha contribuito alla realizzazione del progetto.
L’immortalità della vita
Parola quindi alla console Iva Palmieri, alla quale è spettato l’onore di inaugurare la XXIV Settimana della lingua italiana nel mondo, “una delle massime rassegne organizzate dagli Istituti Italiani di Cultura del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale”. Rivolgendosi agli studenti – giunti per assistere a un monologo molto istruttivo durato per un’ora e mezza – Palmieri ha ricordato quanto sia bello incontrare giovani appassionati alla studio della lingua italiana, “la più bella lingua del mondo”. Proseguendo il suo intervento ha condiviso con i presenti in aula una riflessione: “Pirandello è molto interessante e istruttivo; esprime l’immortalità delle cose della vita”.
L’essenza della falsità
“Aperto il sipario” l’attore veronese Andrea De Manincor si è soffermato sull’interpretazione che avrebbe offerto di “Enrico IV” ossia sulla riduzione di “Enrico IV”. “Assieme a Goldoni, Eduardo De Filippo e Dario Fo, Pirandello è uno dei più tradotti e più rappresentati al mondo”, ha ricordato De Manincor. Il personaggio di Enrico IV è una prova d’attore; come succede per molti personaggi shakespeariani, cimentarsi col protagonista della commedia di Pirandello – scritta appositamente nel 1921 per Ruggero Ruggeri, uno degli attori della compagnia del Teatro d’Arte fondato dal drammaturgo a Roma – significa offrire un’interpretazione personale di una delle figure teatrali che incarnano la follia, la simulazione, l’essenza stessa della finzione, che sta alla base del gioco scenico. È quello che ha fatto in modo egregio Andrea De Manincor nell'”Enrico IV”.
“Preferii restare pazzo e vivere con la più lucida coscienza la mia pazzia … questo che è per me la caricatura, evidente e volontaria, di quest’altra mascherata, continua, d’ogni minuto, di cui siamo i pagliacci involontari quando senza saperlo ci mascheriamo di ciò che ci par d’essere”. Ecco come l’Enrico IV di Luigi Pirandello svela la sua “strategia di sopravvivenza” agli altri protagonisti di questo dramma che lo scrittore agrigentino compose in sole due settimane.
Essere e fare
“Nella grande poetica pirandelliana la divisione tra essere e fare è molto importante – ha continuato De Manincor –. Le persone ti credono pazzo ma tu non ti consideri pazzo. Si vede solo la superficie di quello che siamo ma non quello che è dentro. Ognuno di noi ha il proprio pensiero; ciascuno ha la propria verità. Ognuno se la fa propria. Come anche quello che si finge di essere pazzo”.
Il tema affrontato da quest’interessante opera dello scrittore siciliano ci porta a riflettere sulla contrapposizione tra realtà e finzione nonchè sulla normalità e l’anormalità: chi può dirsi realmente normale? Il protagonista, affetto da una iniziale e poi “cosciente” follia causata da una caduta da cavallo durante una battuta di caccia nella quale veste i panni dell’imperatore del Sacro Romano Impero Enrico IV, riesce con arguzia a smascherare l’ipocrisia che si cela dietro le persone “care” che lo circondano, alla fine un maldestro esperimento medico volto a rinsavirlo. Ma questo non contribuirà comunque a salvarlo dalla “meschinità del mondo”. Come ha sottolineato il protagonista, questo sfortunato eroe pirandelliano di mezza età è infatti schiacciato dalla “paura di vivere e paura di amare”. La follia è quindi l’unico rifugio dalla solitudine, l’unica protezione da un mondo ingrato che spinge l’uomo verso l’autodistruzione e la morte.
Tra pazzia e realtà
Entrando nel vivo Andrea De Manincor ha cambiato codice, personaggi, ha interpretato ben quattro Enrico, da Enrico I, colui che si ammalava spesso, ma era bravo a giocare a pallone e aveva il “mal caduco”, è passato a Enrico II, “furbo come tutti i secondi”, uno che faceva molto con il minimo degli sforzi. Enrico III era il più gentile e il più intelligente di tutti. “Anche se conosceva la storia e la geografia, un giorno sparì. Quest’ultimo era l’unico che infastidiva Enrico II”. E siamo giunti a Enrico IV che cavalcava. Quest’ultimo racconta la sua storia e si finge pazzo. Ride e piange ma è perfettamente conscio del suo stato. “Sono o non sono pazzo?” è la domanda che si pone. “Tutta la vita è schiacciata dal peso delle parole”.
De Manincor dà voce ai temi pirandelliani per eccellenza, come l’amore, la follia, l’ossessione e la coscienza di vivere, con più o meno entusiasmo o fastidio, con una maschera, che cela agli altri i fantasmi della mente, quelle “immagini scompigliate che ridono” che turbano le ore e i giochi di Enrico IV. De Manincor regala un’infinita gamma di emozioni nei monologhi-fiume che spostano così spesso il punto di vista tra follia e saggezza e non è semplice schierarsi con “la verità”.
La fine dell’incontro con l’attore è stata contraddistinta da un dialogo tra gli studenti e il protagonista stesso. “Passare da un personaggio all’altro non è per niente facile – ha spiegato De Manincor –. Ho lavorato molto sui contenuti del film ‘A beautiful mind’ diretto da Ron Howard e interpretato da Russell Crowe. La mia può essere la storia di uno che si immedesima”. Il protagonista ha tracciato infine un parallelo tra “Enrico IV” e “Amleto” di Shakespeare.
Quella che ha inaugurato la Settimana della lingua italiana nel mondo a Fiume è un’ampia riflessione sul tema della pazzia, uno studio sull’inestricabile rapporto tra verità e finzione, e una manifestazione di eccesso di sensibilità di fronte al cinismo del mondo, perfettamente rappresentati da una storia di teatro nel teatro.
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